L’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli va commisurato alle risorse economiche di entrambi i genitori

In sede di quantificazione dell’ammontare del contributo di mantenimento dei figli dovuto dal genitore non collocatario, è necessario che il giudice osservi il principio di proporzionalità, in base al quale egli dovrà effettuare una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre a tenere in considerazione le esigenze attuali dei figli ed il tenore di vita da essi goduto.

Così si esprime la Suprema Corte nell’ordinanza n. 19299, depositata il 16 settembre. Il Giudice di prima istanza riduceva l’ assegno di mantenimento versato dall’attuale ricorrente per i figli maggiorenni e non autosufficienti sotto il profilo economico da euro 3000,00 ad euro 1900,00, considerando la flessione della capacità reddituale del padre, dovuta alla cessazione dell’attività di lavoro. In parziale riforma della suddetta pronuncia, la Corte d’Appello di Bologna rideterminava il suddetto assegno di mantenimento in euro 1400,00. Insoddisfatto, il padre propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, il fatto che l’assegno di mantenimento per i figli fosse stato quantificato senza il rispetto del principio di proporzionalità , non avendo la Corte considerato la maggiore capacità economica dell’altro genitore. I Giudici di legittimità dichiarano fondato il motivo di ricorso illustrato dal ricorrente, osservando come nella decisione impugnata sia del tutto assente il confronto tra i redditi dei due genitori. A tal proposito, la Corte richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, dopo la separazione personale, in sede di quantificazione dell’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario in vista del mantenimento dei figli minori, deve essere osservato il principio di proporzionalità , il quale richiede un raffronto tra i redditi dei due genitori e la considerazione delle attuali esigenze dei figli e del tenore di vita da essi goduto. Per questo motivo, la Corte dii Cassazione annulla la decisione impugnata con rinvio al Giudice di seconde cure, il quale dovrà attenersi al principio, già affermato, in base al quale l’art. 155 c.c., nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 2 luglio – 16 settembre 2020, n. 19299 Presidente Ferro – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - B.F.M. proponeva ricorso per la cessazione degli effetti civili del suo matrimonio con C.I. domandando la riduzione a Euro 1.000,00 dell’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni a privi di autosufficienza economica, già fissato in Euro 3.000,00. Deduceva, in particolare, l’insorgenza di un glaucoma invalidante, tale da compromettere la sua capacità lavorativa di medico dentista. Il Tribunale, vista la flessione della capacità reddituale del ricorrente dovuta alla cessazione dell’attività lavorativa, fissava il contributo da lui dovuto per il mantenimento dei figli in Euro 1.900,00, confermando le restanti condizioni pattuite in sede di separazione. 2. - In sede di gravame la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, determinava in Euro 1.400,00 il contributo mensile in questione. Rilevava che in sede di separazione l’appellante, che ora godeva di una pensione di circa Euro 15.000,00 annui, si era obbligato a contribuire al mantenimento dei figli per Euro 3.000,00 mensili, somma superiore al reddito di allora, che era pari a Euro 33.118,00 annui secondo il giudice distrettuale ciò faceva presumere che l’odierno ricorrente potesse contare su apporti stabili, dei familiari, dalla C. sempre affermati e da lui mai contestati, tali da consentirgli di versare un contributo di quell’ammontare in conseguenza, spiegava la Corte, nella quantificazione dell’assegno doveva tenersi conto di tali elargizioni che, evidentemente, si protraevano con regolarità. 3. - La sentenza della Corte emiliana è impugnata per cassazione da B.F.M. con un ricorso che è affidato a due motivi ed è corredato di memoria. Resiste con controricorso C.I. . Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata. Ragioni della decisione mputa alla Corte di merito di aver mancato di considerare l’effettivo, e del tutto insufficiente, reddito personale complessivo da lui documentato reddito riferito a un invalido totale che aveva dovuto cessare la propria attività professionale di medico dentista. Il motivo è inammssibile. Rammentato che la fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha riguardo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 , è evidente che ciò di cui si duole l’istante e non già il mancato apprezzamento della percezione, da parte di lui, del trattamento pensionistico di cui si è detto - evenienza, questa, che è stata invece tenuta in conto dalla Corte di appello -, quanto del complessivo accertamento compiuto dal giudice distrettuale sulla base degli ulteriori elementi acquisiti al giudizio e, segnatamente, della incontestata percezione di ulteriori contribuzioni che andavano a incrementare le risorse di cui lo stesso B. poteva disporre. Ma è questo un profilo, estraneo alla previsione del citato art. 360 c.p.c., n. 5, che sfugge, in sé, al sindacato di legittimità. 2. - Il secondo mezzo reca la seguente rubrica Vizio di violazione di legge, in particolare dell’art. 316 bis c.c. e dell’art. 337 ter c.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 . Viene dedotto che l’assegno di mantenimento per i figli dovuto dal ricorrente era stato quantificato senza rispettare il principio di proporzionalità rispetto al reddito dell’istante, trascurando per l’effetto la maggiore capacità economica dell’altro genitore, tra l’altro nemmeno aggiornata. Esso risulta essere fondato. Nella decisione della Corte di appello è completamente assente il raffronto tra i redditi dei due coniugi. Per contro, a seguito della separazione personale, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto Cass. 1 marzo 2018, n. 4811 . La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio. Alla Corte di Bologna è demandato un rinnovato esame conformato al principio in base al quale l’art. 155 c.c., nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella,, determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori Cass. 10 luglio 2013, n. 17089 . Al giudice del rinvio è rimessa la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo e dichiara inammissibile il primo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.