Assegno divorzile e concreta verifica dell’attitudine dell’ex coniuge al lavoro

In tema di diritto all’assegno divorzile, l’attitudine dell’ex coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata una effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già sulla base di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

Questo il contenuto dell’ordinanza n. 18522/20, depositata il 4 settembre. La Corte respingeva la richiesta, proposta dall’ex marito, di revoca dell’ assegno divorzile di euro 400, disposto a favore della ex moglie con la sentenza definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio pronunciata dal Tribunale. Avverso la decisione l’ex marito propone ricorso lamentando che la ex moglie fosse in grado di cercare un’occupazione e di lavorare , incombendo sulla stessa almeno l’onere di provare l’impossibilità di trovare un impiego. Inoltre, il ricorrente, richiamando quanto stabilito dalla sentenza n. 789/17 della Corte, sostiene che la sua situazione economica è aggravata dall’esistenza di figli avuti con un’altra donna . La Cassazione, ritenendo inammissibile il ricorso, osserva che contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha operato una valutazione in ordine all’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, posto che la donna negli anni aveva partecipato a concorsi e aveva accettato lavori a termine. Inoltre, i Giudici rilevano che il riferimento alla decisione n. 789/17 non è pertinente poiché, anzi, afferma che il diritto alimentare del coniuge beneficiario non è recessivo rispetto a quello dei nuovi figli e che l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale , e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche . Pertanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione sez. VI Civile - 1, ordinanza 15 luglio – 4 settembre 2020, n. 18522 Presidente Scaldaferri – Relatore Parise Fatto e ragioni della decisione 1. Con decreto n. 473/2018 depositata l’11-5-2018 la Corte d’appello di L’Aquila, accogliendo il reclamo proposto da C.L., ha respinto la domanda proposta da P.A. di revoca dell’assegno divorzile dell’importo di Euro 400 mensili, disposto in favore della C. con la sentenza definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio del Tribunale di Chieti n. 715/2012. 2. Avverso il citato provvedimento P.A. propone ricorso affidato ad un solo motivo, a cui resiste con controricorso C.L 3. Con unico articolato motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 156-2697 c.c., in relazione all’art. 710 c.p.c. e alla L. n. 898 del 1970, art. 9 . Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale ha omesso di valutare la possibilità della C. di ricercare un lavoro, essendone abile, nonché di valutare la sua condizione, in ogni caso aggravata dall’esistenza di figli con altra donna . Deduce che il contributo di mantenimento divorzile non deve essere un beneficio a vita e non può tradursi in un’entrata economica di privilegio, ove l’ex coniuge beneficiaria sia in grado di lavorare, comunque incombendo in capo a quest’ultima l’onere di provare l’impossibilità di trovare un’occupazione lavorativa. Richiama, oltre che le pronunce citate nel provvedimento di primo grado reclamato, anche la sentenza di questa Corte n. 789/2017, assumendo che la Corte d’appello abbia disatteso i principi ivi affermati. 4. Il motivo è inammissibile. 4.1. Le censure non si confrontano con l’iter argomentativo principale espresso dalla Corte territoriale, secondo il quale il P. non ha allegato fatti sopravvenuti alla sentenza divorzile, con cui era stato disposto l’assegno di mantenimento di cui trattasi, e la C. ha dimostrato di essersi attivata in questi anni, ma senza successo, nella ricerca di un lavoro stabile accettando lavori a termine e partecipando a concorsi che le consenta di raggiungere l’autosufficienza economica pag. n. 3 decreto impugnato . Il ricorrente assume, invece, del tutto genericamente che detta dimostrazione sia mancata, riconoscendo, peraltro, che fossero preesistenti i fatti riguardanti la sua condizione di coniugato con altra donna e con figli, e si limita a svolgere astratte considerazioni circa l’impossibilità di configurare l’assegno divorzile come un beneficio a vita , senza specificare quali siano i parametri di legge, dettati in tema di assegno divorzile, asseritamente violati. Sotto la denuncia apparente del vizio di violazione legge chiede, in realtà, una rivisitazione del merito Cass., Sez. Un., n. 34476/2019 . Non è pertinente nel senso indicato dal ricorrente il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 789/2017, nella quale è, anzi, affermato che il diritto alimentare del coniuge beneficiario non è recessivo rispetto a quello dei nuovi figli e che l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche così Cass. n. 789/2017 citata . Nella specie, la valutazione di merito in ordine all’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive è stata effettuata dalla Corte territoriale. Le doglianze, articolate sub specie del vizio di violazione di legge, sono, pertanto, prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata Cass. n. 4036/2011 e si incentrano su argomentazioni inconferenti rispetto al caso concreto, in base a quanto accertato dai Giudici d’appello, e neppure riguardanti gli altri parametri di legge, come individuati ed interpretati dalla giurisprudenza più recente di questa Corte, secondo la quale l’assegno di divorzio ha una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 Cass. Sez. U., 11/07/2018, n. 18287 Cass., 23/01/2019, n. 1882 . 5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto Cass. S.U. n. 5314/2020 . Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.400, di cui Euro 100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.