Nell’assegnazione della casa coniugale è sempre prioritario l'interesse dei figli affidati a risiedere nella stessa

In tema di separazione la casa familiare deve essere assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti e che costituisce il centro dei propri affetti, al fine di garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale ambiente si sono radicate. Pertanto, quando il legame con la casa familiare dei figli, maggiorenni, anche se non economicamente autosufficienti, risulta reciso ovvero quando la casa familiare non costituisce più l'habitat domestico necessario a garantire, nella quotidianità, il riferimento affettivo utile e di sostegno ad una crescita sana si avrà la revoca dell'assegnazione.

Il Tribunale di Salerno dichiarava la separazione personale di una coppia di coniugi, addebitandola al marito, per violazione del dovere di fedeltà . Revocava l’assegnazione della casa coniugale disposta in favore della moglie con l’ordinanza presidenziale e fissava un assegno mensile, a carico dell’uomo, per il mantenimento del figlio maggiorenne, con versamento diretto all’avente diritto, dando atto del raggiungimento dell’indipendenza economica dell’altra figlia maggiorenne. Riconosceva poi un assegno mensile di mantenimento alla signora. La sentenza veniva impugnata dinanzi alla Corte di Appello di Salerno. La donna contestava la revoca dell’assegnazione della casa coniugale e la quantificazione dell’assegno riconosciutole, chiedendone un cospicuo aumento. L’uomo proponeva appello incidentale al fine di ottenere la condanna dell’ex moglie al rilascio della casa coniugale in suo favore. La Corte territoriale rigettava l’appello principale e confermava la sentenza impugnata. La donna quindi proponeva ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi. Il marito resisteva in giudizio con controricorso. La Suprema Corte affronta, in primis, la questione dell’addebito della separazione e dell’ammontare dell’assegno di mantenimento a favore della signora. L’art. 156, comma 1, c.c., prevede che il giudice possa stabilire, a favore del coniuge al quale non sia addebitata la separazione, il diritto di ricevere dall'altro quanto sia necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. Per quantificare l’entità dell’assegno il giudice del merito dovrà verificare, innanzitutto, se i mezzi economici di cui dispone il richiedente gli consentano o meno di conservare un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, per poi procedere, nel caso in cui l’accertamento dia esito negativo, a una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, nonché di particolari circostanze come, ad es., la durata della convivenza. Dovrà tenere conto, poi, di ulteriori elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti. Per i Supremi giudici la Corte salernitana ha correttamente applicato tali principi con la sentenza impugnata, avendo confermato la decisione del Tribunale il quale, nel quantificare l’assegno di mantenimento, aveva tenuto conto sia delle attuali condizioni economiche del marito, sia dei costi per il godimento di altro immobile che dovevano essere sostenuti dalla signora per effetto della revoca dell’assegnazione. In merito poi all’assegnazione della casa coniugale , poiché la ratio dell’istituto è costituita dalla specifica esigenza di assicurare ai figli minori o maggiorenni economicamente non autosufficienti la permanenza nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti e dove si incentrano gli interessi e le consuetudini della famiglia, la Corte distrettuale aveva giustamente evidenziato come fosse venuto meno il presupposto inderogabile per la stessa. Infatti, la figlia maggiorenne della coppia, contratto matrimonio, viveva in un’altra città mentre il figlio maggiorenne si era trasferito in una diversa abitazione. La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigetta il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 luglio – 6 agosto 2020, n. 16740 Presidente Giancola – Relatore Caradonna Fatti di causa 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Salerno ha respinto l’appello presentato da D.P.R. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 4998 del 25 ottobre 2014, che aveva dichiarato la separazione personale fra i coniugi, addebitando la separazione a I.M. attesa la violazione del dovere di fedeltà aveva revocato l’assegnazione della casa coniugale disposta in favore di D.P.R. con l’ordinanza presidenziale resa ai sensi dell’art. 708 c.p.c. aveva determinato in Euro 450,00 l’assegno mensile posto a carico di I.M. per il mantenimento del figlio maggiorenne I. Fernando con versamento diretto all’avente diritto aveva dato atto che la figlia maggiorenne I.I. aveva raggiunto l’indipendenza economica aveva quantificato in Euro 1.600,00 mensili l’assegno posto a carico di I.M. per il mantenimento della moglie, con condanna al pagamento delle spese processuali. 2. Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno ha proposto appello D.P.R. censurando le ragioni della decisione relativa alla quantificazione dell’assegno di mantenimento a lei attribuito e alla revoca dell’assegnazione della casa coniugale, chiedendo che l’assegno in suo favore venisse aumentato ad Euro 5.500,00 mensili e l’assegnazione della casa coniugale. 3. I.M. ha proposto appello incidentale diretto a ottenere la condanna di D.P.R. al rilascio della casa coniugale in suo favore. 3. La Corte territoriale ha rigettato l’appello principale proposto da D.P.R. confermando la sentenza impugnata e compensando interamente le spese del giudizio. 4. D.P.R. ricorre per la cassazione della sentenza con atto affidato a quattro motivi. 5. I.M. ha presentato controricorso e memoria difensiva. Ragioni della decisione 1. Va preliminarmente rigettata, perché infondata, l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente sul presupposto che lo stesso sia stato proposto in violazione del disposto di cui all’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1, posto che l’onere di indicare nel ricorso sufficienti argomentazioni in diritto tali da modificare le statuizioni della Corte di appello censurate conformi a consolidati principi in materia e di indicare in modo puntuale e preciso gli atti processuali sui si fonda il ricorso e le circostanze di fatti che potrebbero portare ad una diversa statuizione della Suprema Corte così a pagina 2 del controricorso sussiste solo nell’ipotesi di una giurisprudenza di legittimità consolidata nella materia oggetto di controversia, contraria alla tesi della parte ricorrente, che è circostanza nella specie insussistente Cass., n. 19190 del 2 agosto 2017 . 2. Parimenti va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente per l’inosservanza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiché la ricorrente avrebbe reiterato le stesse questioni proposte in appello, respinte dalla Corte territoriale con diffusa ed adeguata motivazione, e non avrebbe soddisfatto il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, così a pag. 3 del controricorso . 2.1 Ed invero, secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione Cass., 28 febbraio 2012, n. 3010 Cass., 26 giugno 2013, n. 16038 . 2.2 Le modalità di deduzione del vizio sono state rispettate, nel caso di specie, poiché la parte ricorrente non si è limitata a ribadire le medesime censure sollevate dinanzi alla Corte territoriale e a sovrapporre alle argomentazioni della Corte le proprie senza prospettare differenti profili argomentativi, ma ha richiamato, nella illustrazione dei motivi, le parti della motivazione della sentenza impugnata oggetto di censura e svolto contestazioni riguardo alla stessa con la specificazione dei vizi e delle norme che ha assunto essere state violate o erroneamente applicate. 2.3 Risulta rispettato, poi, nel caso in esame, anche il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 , in ossequio del quale il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati causa petendi e petitum Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926 Cass. 28 maggio 2018, n. 13312 , nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, poiché nel ricorso è stato dato conto dei fatti di causa e delle vicende processuali alle pagine 1-5, oltre che dei motivi di censura alle pagine 5 - 13. 3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 151 e 153 c.c., ed insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, perché nel caso in esame la pronuncia di addebito era rimasta priva di sanzione e vuota di contenuto, avendo la Corte di appello diminuito l’assegno di mantenimento e tenuto conto, quali circostanze richiamate dall’art. 156 c.c., soltanto della modesta flessione in negativo dei redditi dell’obbligato e non anche della professione di medico anestesista dell’I. con attività anche nel settore della donazione di organi, nelle sue proprietà immobiliari e nel suo tenore di vita e dell’addebito della separazione. 4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la violazione in relazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, avendo la Corte di appello confermato la riduzione dell’assegno di mantenimento, non tenendo conto delle spese necessarie per locare un altro immobile a seguito della revoca dell’assegnazione della casa coniugale. 4.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono infondati. 4.2 È orientamento di questa Corte che l’addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento, con la conseguenza che la risarcibilità dei danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all’addebito integrano gli estremi dell’illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma citata Cass., 26 maggio 1995, n. 5866 Cass., 6 aprile 1993, n. 4108 . Inoltre, l’assegno di separazione presuppone, invero, la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio al contrario tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, Cass., 26 giugno 2019, n. 17098 Cass., S. Un., 11 luglio 2018, n. 18287 . Detto ciò deve evidenziarsi l’art. 156 c.c., comma 1, dispone che il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri . L’obbligo di assistenza materiale trova attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi. Questa Corte, al riguardo, ha affermato che la norma con l’espressione redditi adeguati si riferisce al tenore di vita consentito dalle possibilità economiche dei coniugi Cass., 24 aprile 2007, n. 9915 . È, quindi, necessaria dapprima la verifica per appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente gli consenta o meno di conservare un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi e, nel caso di esito negativo di detto accertamento, deve procedersi a una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, nonché di particolari circostanze, quali ad esempio la durata della convivenza Cass.,16 maggio 2017, n. 12196 . Inoltre, in materia di assegno di separazione, si è affermato che l’art. 156 c.c., comma 2, stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno tenendo conto non solo dei redditi delle parti ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, nè determinabili a priori , ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi Cass., 12 gennaio 2017, n. 605 Cass., 11 luglio 2013, n. 17199 . 4.3 Tale norma risulta correttamente applicata nella decisione in esame. Ed invero, la Corte di appello di Salerno ha seguito tale orientamento, in quanto, richiamando la sentenza del Tribunale, ha affermato che il Tribunale è pervenuto alla quantificazione dell’assegno di mantenimento tenendo conto sia delle attuali condizioni economiche di I.M. , sia dei costi per il godimento di altro immobile che dovranno essere affrontati da D.P.R. per effetto della revoca dell’assegnazione della casa coniugale pagg. 8 e 9 del provvedimento impugnato . Più specificamente, la Corte territoriale ha richiamato gli accertamenti espletati dalla Guardia di Finanza che ha accertato i redditi IRPEF degli anni d’imposta 2005-2010 di I.M. , quale dipendente dell’Azienda Sanitaria Locale di Salerno, con la qualifica di dirigente medico, e ha affermato che il reddito di oltre 177.000,00 che sarebbe stato percepito dal soggetto obbligato, valorizzato nell’atto di impugnazione, non aveva trovato riscontro nella documentazione in atti. Alla luce di quanto evidenziato, la Corte territoriale non ha violato il dettato normativo di riferimento nell’interpretazione, peraltro, costante, data da questa Corte, con la conseguenza che dall’esito positivo della verifica della corretta applicazione dei principi sopra esposti, la determinazione in concreto dell’assegno di mantenimento costituisce una questione riservata al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della motivazione, per la quale valgono le limitazioni derivanti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.c., comma 1, n. 5, essendo deducibile come vizio soltanto la totale omissione dell’esame di un fatto decisivo e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054 . 5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 337 sexies c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, avendo la Corte di appello ritenuto imprescindibile, ai fini dell’assegnazione della casa alla ricorrente la convivenza con i figli, mentre l’art. 337 sexies c.c., dispone che il godimento della casa coniugale è attribuito tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli. 5.1 Il motivo è infondato. 5.2 La ricorrente, infatti, dopo aver illustrato la natura e la funzione dell’assegnazione della casa coniugale, sottolineando il rilievo primario da attribuire all’interesse dei figli, ed aver affermato che l’orientamento della Corte di Cassazione è in linea con quello espresso dalla Corte di appello, propone quella che, a parere della ricorrente, dovrebbe essere la corretta lettura dell’art. 337 sexies c.c., incentrata sulla rilevanza da attribuire all’avverbio prioritariamente , rispetto all’avverbio esclusivamente . 5.3 In verità, tali argomentazioni sembrano non tenere nella dovuta considerazione la effettiva ratio decidendi utilizzata dalla Corte distrettuale, da ricercarsi nel fatto che i figli delle parti in causa, entrambi maggiorenni, non convivevano più con la madre, in quanto la figlia I. aveva contratto matrimonio e viveva a XXXXXX e il figlio F. si era trasferito in un’altra abitazione e che sul punto la censura della ricorrente non riguardava che il figlio si fosse effettivamente trasferito presso un’altra abitazione, quanto piuttosto che detto trasferimento fosse stato un espediente escogitato da I.M. per conseguire la revoca della casa coniugale in favore della moglie, evidenziando il mancato riferimento ad emergenze processuali specifiche di riscontro a quanto affermato pag. 11 e pag. 14 del provvedimento impugnato . 5.4 Alla stregua delle esposte circostanze di fatto, i giudici di secondo grado, in applicazione dei principi di questa Corte Cass., 17 giugno 2019, n. 16134 , correttamente hanno ritenuto che fosse venuto meno il presupposto per l’assegnazione della casa coniugale. 5.5 Anche il richiamo alle condizioni di salute della ricorrente non legittimano l’assegnazione della casa coniugale tenuto conto che nell’assegnazione della casa coniugale non si può mai prescindere dalla valutazione del persistente interesse dei figli affidati a risiedere nella stessa, in quanto la ratio dell’istituto è specificamente l’esigenza di assicurare ai figli la permanenza nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti e dove si incentrano gli interessi e le consuetudini della famiglia di appartenenza. In conclusione, la scelta cui il giudice è chiamato, non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, che costituiscono il presupposto inderogabile dell’assegnazione Cass., 12 ottobre 2018, n. 25604 Cass., 22 novembre 2010 n. 23591 . 5.6 Non sussiste nemmeno il dedotto vizio di motivazione avendo la Corte territoriale affermato che in assenza dell’affidamento dei figli minori o della convivenza on i figli maggiorenni non ancora autosufficienti le condizioni di salute di D.P.R. non potevano giustificare l’assegnazione della casa coniugale pag. 15 del provvedimento impugnato . 6. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 282 c.p.c., non avendo la Corte territoriale rilevato che la sentenza di separazione e le domande ad essa collegate avendo natura costituiva diventavano esecutive solo con il passaggio in giudicato. 6.1 Anche il quarto motivo è infondato, avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte pure espressamente richiamato dai giudici di secondo grado secondo cui In tema di assegnazione della casa familiare, inizialmente disposta - come nella specie - con ordinanza del presidente del tribunale e poi oggetto di revoca, da parte del tribunale, con la sentenza che definisce il processo di separazione personale tra i coniugi, la natura speciale del diritto di abitazione, ai sensi dell’art. 155 quater c.c., è tale per cui esso non sussiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi non ne è titolare e, corrispondentemente, quando esso cessa di esistere per effetto della revoca, determina una situazione simmetrica in capo a chi lo ha perduto, con necessario allontanamento da parte di questi ne consegue che il provvedimento ovvero la sentenza rispettivamente attributivi o di revoca costituiscono titolo esecutivo, per entrambe le situazioni, anche quando l’ordine di rilascio non sia stato con essi esplicitamente pronunciato. Principio affermato dalla S. C. con riguardo all’opposizione, esperita dalla coniuge già assegnataria della casa familiare, al precetto notificatole dall’altro coniuge per il rilascio dell’immobile, sulla base della sola sentenza del tribunale di revoca dell’attribuzione Cass., 31 gennaio 2012, n. 1367 . Ed invero la Corte di Cassazione richiamata dalla ricorrente, la n. 4059 del 22 febbraio 2010, tratta dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita e stabilisce il diverso principio secondo cui Nell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, l’esecutività provvisoria, ex art. 282 c.p.c., della sentenza costitutiva emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., è limitata ai capi della decisione che sono compatibili con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento successivo, e non si estende a quelli che si collocano in rapporto di stretta sinallagmaticità con i capi costitutivi relativi alle modificazione giuridica sostanziale. Essa, pertanto, non può essere riconosciuta al capo decisorio relativo al trasferimento dell’immobile contenuto nella sentenza di primo grado, nè alla condanna implicita al rilascio dell’immobile in danno del promittente venditore, poiché l’effetto traslativo della proprietà del bene scaturente dalla stessa sentenza si produce solo dal momento del passaggio in giudicato, con la contemporanea acquisizione dell’immobile al patrimonio del promissario acquirente destinatario della pronuncia . È, quindi, l’effetto traslativo della proprietà del bene scaturente dalla stessa sentenza che si produce solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza stessa, mentre i capi della decisione che sono compatibili con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento successivo non si sottraggono all’operatività della regola della esecutività provvisoria l’esecutività provvisoria, ex art. 282 c.p.c 7. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente soccombente deve essere condannata a rifondere le spese di lite al controricorrente, liquidate come in dispositivo. 8. Va disposta, in ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.