La domanda sul riconoscimento dell’efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio

In tema di riconoscimento dell’efficacia delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio, qualora la relativa domanda sia proposta da uno solo dei coniugi, non trova applicazione la disciplina del procedimento camerale, ma quella del giudizio ordinario di cognizione.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione con sentenza n. 8028/20, depositata il 22 aprile. La vicenda. Un coniuge conveniva in giudizio l’altro, per sentir dichiarare efficace nell’ordinamento italiano la sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con cui era stata dichiarata la nullità del matrimonio contratto con rito concordatario, per difetto di discrezione di giudizio da parte dell’uomo con riferimento ai diritti e ai doveri matrimoniali essenziali. Si costituiva l’altro coniuge sostenendo che tale deliberazione della sentenza si poneva in contrasto con l’ordine pubblico, in considerazione della durata prolungata della convivenza con il coniuge. La Corte d’Appello, rigettava la domanda. Intervengono così i Giudici di legittimità. Riconoscimento dell’efficacia della sentenza canonica di nullità del matrimonio. In tema di delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, la Suprema Corte, nell’attribuire efficacia impeditiva dell’accoglimento della domanda alla convivenza triennale delle parti come coniugi , quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa all’operatività della predetta pronuncia nell’ordinamento italiano, ha infatti precisato che, in quanto caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri ed assunzione di responsabilità di natura personalissima, la predetta circostanza non è rilevabile d’ufficio da parte del giudice, ma costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, che il convenuto ha l’onere di proporre a pena di decadenza nella comparsa di costituzione . Tale principio non è stato applicato dalla Corte territoriale, la quale, pur avendo riconosciuto espressamente che la convenuta era tenuta a sollevare la predetta eccezione nella comparsa di risposta, ha esaminato nel merito la stessa, ritenendola fondata, senza verificare preliminarmente se la stessa fosse stata in concreto ritualmente proposta. Nella specie, la predetta verifica consente di rilevare che effettivamente l’eccezione è stata irritualmente proposta, in quanto sollevata nella comparsa di risposta depositata tardivamente. Sul punto, occorre richiamare il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento dell’efficacia delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio, secondo cui, a seguito delle modifiche al Concordato con la Santa Sede introdotte dall’Accordo di Roma del 18 febbraio 1984, qualora la relativa domanda sia proposta da uno solo dei coniugi, non trova applicazione la disciplina del procedimento camerale, ma quella del giudizio ordinario di cognizione. Nel caso in esame, nell’atto introduttivo l’udienza di comparizione era stata fissata per l’11 dicembre 2017, la costituzione, sarebbe dovuta avvenire entro il 21 novembre 2017, ma ha avuto effettivamente luogo il 30 novembre 2017. Per tali ragioni, il ricorso viene accolto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 marzo – 22 aprile 2020, n. 8028 Presidente Giancola – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. G.P. convenne in giudizio C.S. , per sentir dichiarare efficace nell’ordinamento italiano la sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale del Lazio il 26 novembre 2015, e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con Decreto del 3 novembre 2016, con cui era stata dichiarata la nullità del matrimonio contratto dalle parti in omissis con rito concordatario, per grave difetto di discrezione di giudizio da parte dell’uomo circa i diritti ed i doveri matrimoniali essenziali. Si costituì la C. e resistette alla domanda, assumendo che la delibazione della sentenza ecclesiastica si poneva in contrasto con l’ordine pubblico, in considerazione della durata prolungata della convivenza con il coniuge, caratterizzata anche dal tentativo di procreare figli, rimasto senza esito. 1.1. Con sentenza del 18 maggio 2018, la Corte d’appello di Roma ha rigettato la domanda. A fondamento della decisione, la Corte ha richiamato il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la convivenza fra i coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, costituisce elemento essenziale del matrimonio-rapporto, cui si correla un complesso di diritti, doveri ed aspettative che, in quanto regolati da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, dà luogo ad una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, la cui inderogabile tutela risulta ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto. Ciò posto, e precisato che nel giudizio di delibazione la relativa deduzione ha natura di eccezione in senso stretto, da proporsi a pena di decadenza nella comparsa di costituzione, con l’allegazione dei fatti specifici su cui la stessa si fonda e l’indicazione dei mezzi di prova, anche presuntiva, la Corte ha rilevato che nella specie la C. aveva dedotto e provato l’instaurazione di un consorzio familiare ed affettivo protrattosi per circa tre anni, dal quale poteva desumersi l’implicito superamento della causa originaria di invalidità del matrimonio. Ha osservato infatti che dalla documentazione prodotta emergeva una significativa durata della vita in comune, connotata anche dal tentativo di avere un figlio, aggiungendo che lo stesso G. aveva riconosciuto di aver intrattenuto una solida relazione con la moglie almeno fino al omissis , data in cui aveva scoperto, attraverso la lettura di messaggi telefonici dal contenuto inequivocabile, che la donna intratteneva una relazione extraconiugale. Ha concluso pertanto che tra le parti non era intercorso un rapporto di mera coabitazione privo di affectio coniugalis, ma un significativo consorzio familiare ed affettivo, avente carattere di stabilità e quindi idoneo a sanare l’invalidità del vincolo coniugale. 3. Avverso la predetta sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. La C. ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Prioritario, rispetto all’esame degli altri motivi d’impugnazione, è quello del secondo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione degli artt. 101, 112, 166, 167 e 168-bis c.p.c., sostenendo che, nell’accogliere l’eccezione sollevata dalla convenuta, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’irritualità della stessa, in quanto proposta nella comparsa di costituzione tardivamente depositata. Premesso infatti che la deduzione della convivenza triennale ha natura di eccezione in senso stretto, da proporsi a pena di decadenza nella comparsa di risposta da depositarsi entro il termine di cui all’art. 166 c.p.c., osserva che nella specie l’udienza di prima comparizione, fissata dall’atto di citazione per l’11 dicembre 2017, era stata rinviata al 21 dicembre 2017 ai sensi dell’art. 168-bis c.p.c., comma 4 precisato che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade in quella prevista dal comma 5 del medesimo articolo, il termine di cui all’art. 166, dev’essere computato con riferimento alla data dell’udienza originariamente fissata, afferma che esso è venuto a scadere il 21 novembre 2017, mentre la convenuta si è costituita soltanto il 30 dicembre, con la conseguente decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio e domande riconvenzionali. 2. Congiuntamente alla predetta censura dev’essere esaminata, per identità dell’oggetto, quella proposta con il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che, nell’accogliere l’eccezione sollevata dalla convenuta, la sentenza impugnata non si è pronunciata in ordine alla tardività della stessa, fatta valere da esso ricorrente fin dalla prima udienza di comparizione. 3. Il terzo motivo è inammissibile, mentre il secondo è fondati. In tema di delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, questa Corte, nell’attribuire efficacia impeditiva dell’accoglimento della domanda alla convivenza triennale delle parti come coniugi , quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa all’operatività della predetta pronuncia nell’ordinamento italiano, ha infatti precisato che, in quanto caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri ed assunzione di responsabilità di natura personalissima, la predetta circostanza non è rilevabile d’ufficio da parte del giudice, ma costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, che il convenuto ha l’onere di proporre a pena di decadenza nella comparsa di costituzione cfr. Cass., Sez. Un., 17/07/2014, n. 16379 Cass., Sez. I, 8/10/2018, n. 24729 19/12/2016, n. 26188 . Tale principio è stato correttamente richiamato dalla sentenza impugnata, la quale tuttavia non ne ha fatto buon governo, in quanto, pur avendo riconosciuto espressamente che la convenuta era tenuta a sollevare la predetta eccezione nella comparsa di risposta, nonché ad allegare i fatti specifici e gli specifici comportamenti dei coniugi, successivi alla celebrazione del matrimonio, sui quali l’eccezione era fondata, anche mediante la puntuale indicazione di atti del processo canonico e di pertinenti elementi risultanti dalla sentenza da delibare, e a dedurre i mezzi di prova, anche presuntiva, idonei a dimostrare la sussistenza di detta convivenza coniugale, ha esaminato nel merito la predetta eccezione, ritenendola fondata, senza verificare preliminarmente se la stessa fosse stata in concreto ritualmente proposta. 3.1. La natura processuale della questione sollevata dal ricorrente esclude peraltro la deducibilità della stessa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi di un error in procedendo, nel cui accertamento questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, e può quindi procedere alla verifica della violazione lamentata attraverso l’esame diretto degli atti di causa, indipendentemente dall’esistenza e dalla logicità della motivazione della sentenza impugnata cfr. Cass., Sez. II 2/09/2019, n. 21944 11/03/2018, n. 20716 Cass., Sez. lav., 21/04/2016, n. 8069 . Nella specie, la predetta verifica consente di rilevare che effettivamente l’eccezione è stata irritualmente proposta, in quanto sollevata nella comparsa di risposta depositata tardivamente. In proposito, occorre innanzitutto richiamare il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento dell’efficacia delle sentenze canoniche di nullità del matrimonio, secondo cui, a seguito delle modifiche al Concordato con la Santa Sede introdotte dall’Accordo di Roma del 18 febbraio 1984, ratificato unitamente al Protocollo addizionale con L. 25 marzo 1985, n. 121, ove la relativa domanda sia proposta da uno solo dei coniugi, non trova applicazione la disciplina del procedimento camerale, ma quella del giudizio ordinario di cognizione, ai sensi dell’art. 796 c.p.c. cfr. Cass., Sez. Un., 1/03/1988, n. 2164 5/02/1988, n. 1212 tale disposizione, richiamata dall’art. 4, lett. b , del Protocollo addizionale, deve infatti considerarsi tuttora applicabile nella materia in esame, nonostante l’abrogazione disposta dall’art. 73 della L. 31 maggio 1995, n. 218 e della sostituzione della relativa disciplina con quella dettata dallo art. 67 della medesima legge, nonché delle modifiche successivamente introdotte dall’art. 30 del D.Lgs. n. 1 settembre 2011, n. 150 n.d.r. , in quanto, ai sensi dell’art. 7 Cost., le norme pattizie possono essere modificate, in mancanza di accordo tra le Parti contraenti,, soltanto con norme costituzionali, e resistono quindi alle modificazioni normative introdotte con legge formale ordinaria cfr. Cass., Sez. I, 7/06/2007, n. 13363 . In applicazione del predetto principio, la costituzione della convenuta dinanzi alla Corte d’appello doveva ritenersi disciplinata dall’art. 167 c.p.c., il quale, imponendo al convenuto, a pena di decadenza, di proporre nella comparsa di risposta, oltre alle domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, comporta l’assoggettamento delle stesse al medesimo termine stabilito per la costituzione dallo art. 166 c.p.c Poiché nell’atto introduttivo del giudizio l’udienza di comparizione era stata fissata per l’11 dicembre 2017, la costituzione, ai sensi della predetta disposizione, sarebbe dovuta avvenire entro il 21 novembre 2017, mentre ha avuto effettivamente luogo il 30 novembre 2017, con la conseguenza che la convenuta avrebbe dovuto considerarsi ormai decaduta dalla facoltà di proporre l’eccezione in esame. Nessun rilievo può assumere, in proposito, la circostanza che la comparizione delle parti sia stata poi rinviata all’udienza immediatamente successiva, tenutasi il 21 dicembre 2017, in quanto nella data originariamente fissata il consigliere designato come relatore non teneva udienza tale rinvio, disposto ai sensi dell’art. 168-bis c.p.c., comma 4, non ha infatti comportato anche il differimento del termine per la costituzione della convenuta, non operando in tal caso la disciplina particolare dettata dall’art. 166 c.p.c., per l’ipotesi di cui dell’art. 168-bis, comma 5, avente carattere eccezionale e quindi non suscettibile di applicazione in via analogica cfr. Cass., Sez. II, 30/01/2017, n. 2299 20/12/2013, n. 28571 Cass., Sez. III, 22/01/ 2015, n. 1127 . 4. Il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti gli altri motivi, con cui il ricorrente ha dedotto la violazione della L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8, artt. 122, 123 e 143 c.c., art. 29 Cost., art. 797 c.p.c., comma 1, n. 7, L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 6 e dell’art. 91 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver attribuito efficacia sanante alla convivenza tra i coniugi e all’affectio coniugalis, senza tener conto della durata infratriennale della coabitazione e dell’inganno perpetrato dalla moglie ai suoi danni, nonché per averlo condannato al pagamento delle spese processuali, nonostante la sussistenza di giustificati motivi per la compensazione. 5. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con il rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo ed assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .