Testamento olografo dell’inabilitato: il curatore ha la capacità a succedere al proprio assistito

E’ valido il testamento redatto dal de cuius se, al momento della redazione della scheda testamentaria contestata, questi viene ritenuto capace di autodeterminarsi. Lo stato di incapacità naturale, rilevante ai sensi dell'art. 591 c.c., deve essere provato in modo rigoroso e con specifico riferimento temporale all'atto di redazione del testamento, e non può essere sbrigativamente desunto su mera base congetturale dal quadro d'insieme della vita del testatore come un portato dell'asserita costante e irrimediabile instabilità di quest'ultimo.

Il caso. Nel 2003 un uomo, inabilitato, redigeva testamento olografo. Istituiva erede il proprio curatore, attribuendogli l’intera quota disponibile dell’asse, devolveva alla propria convivente una rendita vitalizia annuale pari alla metà dei frutti della suddetta quota disponibile e riservava ai suoi tre figli la sola quota di legittima, al netto delle elargizioni già ricevute in vita dal padre e di quanto da essi trattenuto direttamente, senza titolo, sull’eredità della madre del testatore. I figli adivano il Tribunale di Palermo chiedendo che fosse dichiarata aperta la successione legittima del defunto padre, previa dichiarazione di nullità o l’annullamento del testamento olografo. Facevano presente che la scheda testamentaria era stata redatta dal padre in condizioni di incapacità naturale o comunque che era stato determinato da errore, violenza o dolo. Ritenevano, infine, che il curatore doveva essere ritenuto incapace di succedere al proprio assistito. Si costituivano in giudizio il curatore e la convivente del testatore. Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo non raggiunta la prova né dell’esistenza dell’incapacità del testatore, né del vizio della volontà. Riteneva, inoltre che il curatore non fosse incapace di succedere al de cuius . Avverso la pronuncia proponevano ricorso dinanzi alla Corte di Appello di Palermo due figli, mentre il terzo restava contumace. Resistevano in giudizio la convivente e il curatore, chiedendo che venisse confermata la sentenza di primo grado. Il gravame veniva rigettato e gli appellanti condannati alle spese del giudizio. Veniva proposto ricorso per Cassazione, sulla base di quattro motivi, da parte della procuratrice generale di uno dei figli del testatore. Il curatore resisteva in giudizio con controricorso. Gli altri intimati non svolgevano attività difensiva. Motivi di impugnazione. La ricorrente, con il primo motivo, riproponeva l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 596 c.c., in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui tale norma non prevede l’incapacità del curatore dell’inabilitato a succedere al proprio assistito, ma soltanto quella del tutore e protutore. Ciò anche alla luce del fatto che l’art. 596 c.c. è espressamente richiamato dall’art. 411 c.c. per l’amministratore di sostegno, il quale, secondo la ricorrente, si occuperebbe di gestire situazioni di gravità minore rispetto a quelle oggetto di inabilitazione. Con il secondo motivo faceva presente che la Corte territoriale si era pronunciata sulla base di una Consulenza tecnica d’ufficio, disposta in seconde cure - che confermava la capacità del testatore al momento della redazione della scheda testamentaria -, senza provvedere sull’istanza di rinnovazione della stessa, proposta dalla ricorrente in seconda istanza. Con il terzo motivo lamentava il fatto che la Corte d’Appello, prima di decidere nel merito, non avrebbe valutato le richieste istruttorie proposte dalla ricorrente e né provveduto sulle stesse. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente si doleva della statuizione sulle spese operata. Osservazioni della Corte di Cassazione. I Giudici della II Sezione, nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, giungono ad affermare che la tesi della ricorrente si basa sul paragone tra gli istituti della tutela dell’interdetto, della curatela dell’inabilitato e dell’amministrazione di sostegno, ritenendosi che a tali forme di assistenza corrispondano gradi crescenti gradi di incapacità del beneficiato a curare i propri affari o di infermità. In realtà, ritengono i Supremi Giudici, viene a mancare proprio il presupposto logico della questione di costituzionalità posta con il primo motivo di ricorso. Affermano, infatti, che non è possibile configurare l’amministrazione di sostegno come un quid minus rispetto agli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. L'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. In linea generale, all’amministratore di sostegno non è preclusa la capacità di succedere per testamento al proprio assistito, potendosi configurare un tale limite soltanto con riferimento ai casi di amministrazione c.d. sostitutiva o mista - in coerenza con la normativa prevista in tema di tutela - che ricorre quando l’amministrato, pur non essendo tecnicamente incapace di compiere atti giuridici non è comunque in grado di determinarsi autonomamente, in mancanza di un intervento sostitutivo ovvero di ausilio attivo dell’amministratore. Non è possibile, dunque, ravvisare un rapporto di inferiorità dell’amministrazione di sostegno rispetto all’inabilitazione o all’interdizione, poiché tali istituti rispondono ad esigenze diverse, non sempre suscettibili di essere collocate su una scala unitaria di crescente gravità del disagio dell’assistito. Non è ritenuta condivisibile neppure la tesi della ricorrente secondo la quale il rinvio che l’art. 411, comma 2, c.c. opera all’art. 596 c.c. estenderebbe in via automatica all’amministratore di sostegno il divieto di succedere, previsto espressamente per il tutore e protutore e non anche per il curatore dell’inabilitato. Ad avviso dei Supremi Giudici la sentenza impugnata è ampiamente ed adeguatamente motivata. La prova del vizio della volontà dedotto dalla ricorrente non è stata fornita e, inoltre, i motivi del ricorso per Cassazione al riguardo non appaiono sufficientemente specifici, poiché la ricorrente non ha dedotto di aver fornito la prova ritenuta mancante dalla Corte palermitana, né ha indicato in quale atto e momento del processo di merito ciò sarebbe avvenuto. Conclusione. La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese sostenute per il giudizio di legittimità, dando atto, infine, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 settembre 2019 – 4 marzo 2020, n. 6079 Presidente Tedesco – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione notificato l’8.11.2005 A.G. , L. e S. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Palermo D.M. e C.B. chiedendo che fosse dichiarata aperta la successione legittima di Ag.Gi. , previa la dichiarazione di nullità o l’annullamento del testamento olografo redatto dal de cuius in data 27.2.2003, con il quale il testatore, inabilitato, aveva istituito erede il proprio curatore D.M. attribuendogli l’intera quota disponibile dell’asse, devoluto alla propria convivente C.B. una rendita vitalizia annuale pari alla metà dei frutti della predetta quota disponibile, e riservato ai figli la sola quota di legittima, al netto delle elargizioni già ricevute da questi ultimi in vita del testatore, nonché di quanto dai medesimi direttamente trattenuto senza titolo sull’eredità della madre del testatore. A sostegno della domanda, gli attori deducevano che il loro padre aveva redatto la scheda testamentaria in condizioni di incapacità naturale o comunque in quanto determinato da errore, violenza o dolo sostenevano inoltre che il curatore del soggetto inabilitato doveva essere ritenuto incapace di succedere al proprio assistito. Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda. Con sentenza n. 2737/2011 il Tribunale rigettava la domanda ritenendo non raggiunta la prova, tanto dell’incapacità naturale che del vizio della volontà. Considerava inoltre non pertinente il richiamo all’art. 596 c.c. e quindi insussistente la dedotta incapacità del D. a succedere al defunto. Avverso detta decisione interponevano appello A.L. e G. . Si costituivano in seconde cure, con separate comparse, D.M. e C.B. , resistendo al gravame e concludendo per la conferma della decisione di prime cure. Restava invece contumace A.S. . Con la sentenza oggi impugnata, n. 288/2017, la Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame condannando gli appellanti alle spese del grado. Riteneva la Corte territoriale che non fosse stata raggiunta la prova del vizio della volontà del testatore, e che la sua dedotta incapacità naturale fosse invece esclusa in radice dalla sentenza del 21.3.2012 con la quale il Tribunale di Palermo aveva revocato la precedente interdizione del defunto, dichiarandolo soltanto inabilitato, sul presupposto della sua capacità di autogestirsi, accertata all’atto della predetta pronuncia. Inoltre, la Corte palermitana valorizzava gli esiti della C.T.U. disposta in seconde cure, che aveva confermato la capacità del testatore all’atto della redazione della scheda testamentaria oggetto di causa. Infine, riteneva manifestamente infondata l’eccezione di costituzionalità della norma di cui all’art. 596 c.c., che prevede l’incapacità del tutore e protutore di succedere per testamento al proprio assistito, sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto alla figura del curatore dell’inabilitato, per il quale la legge non contempla analogo divieto eccezione che era stata formulata dagli appellanti, in relazione all’art. 3 Cost., anche alla luce del fatto che l’art. 596 c.c., è espressamente richiamato dall’art. 411 c.c., per l’amministratore di sostegno, il quale si occuperebbe di gestire situazioni di gravità inferiore a quelle oggetto dell’istituto dell’inabilitazione. Ricorre per la cassazione di detta decisione S.A. , in qualità di procuratrice generale di A.G. , affidandosi a quattro motivi, con il primo dei quali ripropone l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 596 c.c., nella parte in cui detta norma non prevede l’incapacità a succedere al proprio assistito anche in capo al curatore del soggetto inabilitato. Resiste con controricorso D.M. . C.B. , A.S. e A.L. , intimati, non hanno svolto attività difensiva in questo giudizio di legittimità. La parte controricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello non ha ritenuto manifestamente fondata la questione - riproposta anche in questa sede - di legittimità costituzionale degli artt. 596, 597 e 598 c.c., in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui dette norme non prevedono l’incapacità a succedere per testamento del curatore dell’inabilitato che, nel periodo della curatela e al tempo della redazione del testamento, abbia assolto la funzione di amministrare e gestire il patrimonio dell’amministrato che non sia parente, anche con riferimento all’art. 411 c.c., il quale prevede invece -ad avviso della ricorrente - l’incapacità a succedere per testamento dell’amministratore di sostegno, oltre il quarto grado di parentela, che abbia amministrato il patrimonio del beneficiato. La censura, e con essa la questione di legittimità costituzionale degli artt. 596, 597 e 598 c.c., è manifestamente infondata. La tesi prospettata da parte ricorrente, invero, si fonda sulla ritenuta paragonabilità tra gli istituti della tutela dell’interdetto, della curatela dell’inabilitato e dell’amministrazione di sostegno, nonché sul presupposto logico che alle predette forme di assistenza corrispondano gradi crescenti di inattitudine a curare i propri affari, o di infermità, del soggetto beneficiato. L’assunto non è coerente con il quadro normativo e con i precedenti di questa Corte, la quale ha espressamente escluso la possibilità di configurare l’istituto dell’amministrazione di sostegno come un quid minus rispetti ai preesistenti istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. In particolare, si è affermato il principio, che questo collegio condivide ed al quale intende dare continuità, secondo cui L’amministrazione di sostegno -introdotta nell’ordinamento dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, art. 3 - ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 c.c Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22332 del 26/10/2011, Rv. 619848 conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18171 del 26/07/2013, Rv. 627498 . Da quanto precede deriva l’infondatezza manifesta dello stesso presupposto logico della questione di costituzionalità posta con il motivo in esame. Va inoltre osservato che l’art. 411 c.c., comma 2, rinvia agli artt. 596, 599 e 779 c.c., in quanto compatibili . Trattandosi di rinvio a carattere residuale, esso vale per la sola parte delle disposizioni contenute nei predetti articoli che risulta compatibile con le finalità e le caratteristiche dell’istituto dell’amministrazione di sostegno. Il che esclude che si possa ritenere - come invece vorrebbe la ricorrente - l’automatica estensione anche all’amministratore di sostegno di tutte le prescrizioni contenute nelle norme oggetto del rinvio, inclusa quella relativa all’incapacità di succedere all’assistito. A tal riguardo vanno infatti nettamente distinte le diverse ipotesi dell’amministrazione di sostegno cd. sostitutiva o mista e dell’amministrazione puramente di assistenza. Nel primo caso l’amministrazione di sostegno presenta caratteristiche affini alla tutela, poiché l’amministrato, pur non essendo tecnicamente incapace di compiere atti giuridici, non è comunque in grado di determinarsi autonomamente in difetto di un intervento, appunto sostitutivo ovvero di ausilio attivo, dell’amministratore. Nel secondo caso, invece, l’istituto dell’amministrazione di sostegno si avvicina alla curatela, in relazione alla quale l’ordinamento non prevede i divieti di ricevere per testamento e donazione che, al contrario, sono previsti per tutore e protutore dagli artt. 596, 599 e 779 c.c Dal che discende che, in assenza di divieto previsto dalla legge, nel caso dell’amministrazione di mera assistenza il beneficiato è pienamente capace di disporre del suo patrimonio, anche per testamento e con disposizione in favore dell’amministratore di sostegno, a prescindere dalla circostanza che tra i due soggetti amministratore e beneficiato sussistano vincoli di parentela di qualsiasi genere, o di coniugio, ovvero una stabile condizione di convivenza - la quale ultima è stata evidentemente ritenuta dal legislatore, ai fini che qui interessano ed in funzione del suo connotato di stabilità e del vincolo affettivo che essa implica, assimilabile al rapporto coniugale. In tale contesto, non rileva il fatto che dell’art. 411 c.c., comma 3, prescriva soltanto che Sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che ne sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente senza nulla dire circa le disposizioni e le convenzioni eseguite in favore di parenti oltre il quarto grado. Dalla mancata inclusione di dette disposizioni nella norma in esame, invero, non si può farne discendere la loro automatica invalidità o inefficacia, nè l’esistenza di un divieto che, in funzione del contesto generale in cui l’art. 411 c.c., è inserito, non è previsto dalla legge. Del pari infondato è l’ulteriore argomento proposto da parte ricorrente, secondo cui l’art. 411 c.c., prevedrebbe l’incapacità a succedere per testamento dell’amministratore di sostegno, oltre il quarto grado di parentela, che abbia in concreto amministrato il patrimonio del beneficiato la norma, infatti, non prevede affatto tale limitazione. In definitiva, è vero esattamente il contrario di quanto ritenuto da parte ricorrente, ovvero che all’amministratore di sostegno, in linea generale, non è preclusa la capacità di succedere per testamento al proprio assistito, potendosi configurare un simile limite soltanto con riguardo ai casi di amministrazione mista o sostitutiva, in coerenza con la normativa prevista in tema di tutela. Non potendosi quindi, conclusivamente, ravvisare un rapporto di inferiorità dell’amministrazione di sostegno rispetto all’inabilitazione o all’interdizione, posto che i detti istituti, pur tesi tutti ad assicurare la protezione del soggetto debole, rispondono ad esigenze diverse che non sempre sono suscettibili di essere collocate su una scala unitaria di crescente gravità del disagio dell’assistito, nè potendosi condividere la tesi di parte ricorrente, secondo cui il rinvio residuale operato dall’art. 411 c.c., comma 2, estenderebbe in via automatica all’amministratore di sostegno il divieto di succedere espressamente previsto dall’art. 596 c.c., comma 1, solo per il tutore e protutore, e non invece per il curatore dell’inabilitato, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 596, 597 e 598 c.c., va dichiarata manifestamente infondata. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 196 c.p.c., nonché l’omesso esame della richiesta di rinnovazione della C.T.U., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente deciso la causa sulla scorta della consulenza tecnica agli atti del giudizio, senza nulla provvedere in merito all’istanza di rinnovazione della stessa che era stata proposta dall’odierna ricorrente in seconda istanza. Con il terzo motivo, inoltre, quest’ultima lamenta l’ulteriore profilo di violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, perché la Corte di Appello non avrebbe, prima di decidere nel merito l’impugnazione, valutato le richieste istruttorie proposte dalla ricorrente e provveduto sulle stesse. Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono inammissibili, in quanto esse si risolvono nella richiesta di riesame del merito e di rivalutazione del compendio istruttorio e - in particolare - del giudizio di rilevanza e concludenza dei singoli mezzi istruttori reso, anche in via implicita, dal giudice di merito. Giova sul punto ribadire il principio secondo cui L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595 conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330 . Va altresì evidenziato che la sentenza impugnata è ampiamente ed adeguatamente motivata, poiché la Corte di Appello ha ritenuto che la prova del vizio della volontà dedotto dall’odierna ricorrente non fosse stata dalla stessa fornita ha valorizzato la circostanza che il Tribunale di Palermo avesse, con sentenza resa nel 2012, revocato l’interdizione del defunto disponendone l’inabilitazione, avendolo ritenuto capace di autodeterminarsi ed infine ha dato atto che la C.T.U. esperita in seconde cure aveva confermato la capacità del testatore al momento della redazione della scheda contestata. La prima delle predette affermazioni, relativa alla mancata dimostrazione del vizio della volontà, non risulta peraltro neppure specificamente attinta dai motivi in esame, che di conseguenza non appaiono sufficientemente specifici, posto che in essi la ricorrente non deduce di aver fornito la prova ritenuta mancante dalla Corte di merito, nè indica in quale atto e momento del processo di merito ciò sarebbe avvenuto. Con il quarto motivo la ricorrente si duole infine del governo delle spese operato dal giudice di merito. La censura, che neppure è idonea ad integrare un motivo autonomo, stante la natura accessoria della condanna alle spese, rispetto alla statuizione sul merito dell’impugnazione e dunque sul merito della domanda, rimane comunque assorbita dal rigetto del primo motivo e dalla dichiarazione di inammissibilità del secondo e terzo motivo. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità, determinate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.