Pensione di reversibilità: la ripartizione del trattamento tra coniuge divorziato e coniuge superstite

Ove sia il coniuge divorziato che quello superstite abbiano i requisiti per percepire la pensione di reversibilità, la ripartizione del trattamento va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, anche tenendo conto di ulteriori elementi correlati, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali.

Questo quanto affermato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 5268/20, depositata il 26 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello rideterminava nella minor misura del 35% la quota della pensione di reversibilità spettante alla coniuge divorziata del de cuius e attribuiva la restante quota del 65% alla coniuge superstite. Avverso la decisione l’ex moglie propone ricorso per cassazione lamentando che la Corte territoriale abbia valorizzato una ipotetica convivenza prematrimoniale tra il defunto e la coniuge superstite, senza che ciò fosse provato da documentazione. Pensione di reversibilità. La Cassazione chiarisce che la Corte d’Appello si è attenuta ai principi elaborati dalla giurisprudenza Cass. n. 26358/11, Cass. n. 16093/12 e Cass. n. 10391/12 , secondo cui la ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge divorziato e quello superstite, ove entrambi siano in possesso dei requisiti per percepire la pensione, va effettuata tenendo conto del criterio della durata dei matrimoni, insieme con ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, tra i cui la durata delle convivenze prematrimoniali. Infatti, alla convivenza more uxorio occorre riconoscere non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, ma un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale, oltre che ponderando ulteriori elementi, quali l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali . Tuttavia, non bisogna mai confondere la durata della convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, né individuare nell’entità dell’assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all’ex coniuge, posto che mancanza un’indicazione normativa in tal senso. Chiarito questo, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 22 gennaio– 26 febbraio 2020, n. 5268 Presidente Scaldaferri – Relatore Pazzi Ritenuto che La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe indicata, ha parzialmente accolto il gravame proposto da P.M. nei confronti di G.A. avverso la pronuncia del Tribunale di Lecce, ed ha rideterminato la quota della pensione di reversibilità spettante a quest’ultima, in qualità di coniuge divorziata di S.A. , nella minor misura del 35%, attribuendo alla coniuge superstite P. la restante quota del 65%, confermando la prima decisione nel resto. G. ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi P. ha replicato con controricorso e ricorso incidentale con un mezzo. È stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. Considerato che 1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 134 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché l’erronea valutazione delle prove prodotte in giudizio. La ricorrente, coniuge divorziata, sostiene che la Corte salentina avrebbe valorizzato una ipotetica convivenza prematrimoniale del S. con la P. , senza che ciò fosse stato dimostrato documentalmente. Il motivo è inammissibile. Premesso che nel caso di specie non ricorre l’ipotesi ventilata dalla G. mediante il richiamo alla decisione Cass.n. 22318/2016, perché relativa ad un convivente more uxorio non coniugato, va osservato che la Corte territoriale si è attenuta ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità riconoscendo alla convivenza prematrimoniale un autonomo rilievo nella determinazione delle quote di rispettiva pertinenza tra le parti. Invero la Corte di legittimità ha affermato che La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale. Cass. n. 26358 del 07/12/2011 , oltre che ponderando ulteriori elementi, quali l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali Cass. n. 16093 del 21/09/2012 , senza mai confondere, però, la durata della convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell’entità dell’assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all’ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso Cass. n. 10391 del 21/06/2012 . Ciò posto si deve osservare che la contestazione circa la mancanza di prova documentale in merito alla durata della convivenza prematrimoniale della P. è inammissibile perché appare del tutto nuova, alla stregua del motivo e della sentenza impugnata, nè la ricorrente ne illustra con la dovuta specificità la tempestiva introduzione nel giudizio, a fronte della statuizione che tale durata ha accertato in fatto. 2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, e della L. n. 263 del 2005, art. 5. La censura, proposta come violazione di legge, appare intesa a pervenire ad un riesame del merito, in quanto si sostanzia nella critica alla rilevanza attribuita nel raffronto tra le posizioni delle due contendenti, all’importo dell’assegno divorzile spettante alla coniuge divorziata, alla irrilevanza della sua inidoneità a svolgere attività lavorative per l’età raggiunta - poiché avrebbe ben potuto inserirsi nel mondo del lavoro all’epoca del divorzio-, all’irrilevanza del compendio ereditario immobiliare di cui aveva beneficiato la P. a seguito del decesso del coniuge, elementi di fatto su cui la Corte di appello ha sufficientemente motivato e di cui la ricorrente sollecita una revisione. Risulta pertanto inammissibile, perché una diversa valutazione del merito non è consentita in sede di legittimità se non nei limiti previsti per la prospettazione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis , presuppone che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile , mentre resta irrilevante il semplice difetto di sufficienza della motivazione. Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014 Cass. n. 20721 del 13/08/2018 . 3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, P. denuncia l’errata interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, e lamenta che la Corte territoriale, omettendo di considerare la sua doglianza o implicitamente rigettandola, non avesse ritenuto che la fruizione di un assegno divorzile costante nel tempo non abilitava l’ex coniuge a richiedere una quota di pensione superiore a tale importo e invoca, a sostegno, l’applicazione dei principi espressi nella sentenza della Cass. n. 11504/2017. La ricorrente chiede anche di sollevare in merito questione di legittimità costituzionale. Il motivo è infondato alla luce dei principi già richiamati Cass. n. 10391 del 21/06/2012 , nè rileva la pronuncia di legittimità resa sul distinto e diverso tema dell’assegno divorzile. Va inoltre rimarcata la assoluta genericità della sollecitata questione di legittimità costituzionale, di cui non viene illustrata nè la rilevanza, nè la possibile fondatezza alla stregua dei parametri costituzionali, che va pertanto disattesa. 4. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile ed il ricorso incidentale va rigettato. Le spese si compensano in ragione della reciproca soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. l, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019 . Va disposto che siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nell’ordinanza, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52. P.Q.M. - Dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale - Compensa le spese di lite tra le parti - Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 - Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. l, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.