Separazione ed affido condiviso: spostamento della residenza del minore basato sugli orari di lavoro dei genitori

Il rapporto tra genitori non conviventi e figli minori non necessita di una paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi, ma deve garantire la situazione più confacente al benessere del minore.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 3652/20, depositata il 13 febbraio. La vicenda. Ricorreva per cassazione avverso il decreto della competente Corte d’Appello che, a sua volta, aveva respinto il reclamo dal medesimo soggetto proposto avverso il decreto del Tribunale con cui era stato disposto l'affido condiviso della figlia minorenne con residenza prevalente presso la madre la assegnazione a quest'ultima della casa familiare la regolazione dei tempi di diritto di frequentazione del padre l'obbligo per quest'ultimo di corrispondere alla ex moglie un assegno mensile, oltre al 50% delle spese straordinarie, quale contributo al mantenimento della predetta figlia. In particolare, la Corte d’Appello aveva ritenuto che le domande dell'uomo non fossero fondate in quanto ciò che aveva chiesto, cioè disporre una convivenza paritaria in termini di tempo dei genitori mediante lo spostamento della residenza della minore, avrebbe provocato un inutile turbamento alla originaria condizione di convivenza della stessa con la madre, rispetto alla quale non sussistevano elementi di disagio oppure di inopportunità. In concreto, per la Corte territoriale la richiesta del padre di disporre una convivenza che si basasse sullo stesso tempo di permanenza del minore con ambo i genitori risultava comportare anche essa un ingiustificato sconvolgimento della condizione attuale della figlia in vista di una condizione più faticosa e destabilizzante per la stessa. Inoltre, la Corte territoriale osservava che la regolamentazione dei tempi e delle modalità di esercizio del diritto di frequentazione della figlia da parte dell'uomo si basava sulle indicazioni dei servizi sociali che dovevano considerarsi rispondenti all'interesse della minore, perché consentivano un ampio spazio relazionale col padre senza turbare i ritmi di vita o la sua relazione con la madre. Più nello specifico, la Corte distrettuale rilevava che infondate erano le rimostranze del padre circa l'omessa pronuncia sulla propria richiesta di prevedere un tempo fisso giornaliero di conversazione audio-video tra padre-figlia, poiché tale istanza era stata originariamente accolta ma era stata poi revocata implicitamente nel successivo provvedimento del giudice e non aveva più costituito oggetto di richiesta nelle conclusioni finali rassegnate dall'uomo. La decisione della Suprema Corte. Anche i Giudici di Legittimità, in verità, rigettano il ricorso dell'uomo, condannandolo al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, sulla scorta dei seguenti ragionamenti in diritto. Il motivo di doglianza del ricorrente circa il fatto che la Corte d’Appello e, prima ancora, il Tribunale non avessero pienamente valutato le sue prospettazioni in merito alla maggiore compatibilità dei suoi orari di lavoro con il tempo a disposizione della figlia, viene ritenuto dalla Suprema Corte infondato. Infatti, i Supremi Giudici osservano come all'esito della valutazione della idoneità genitoriale di entrambe le parti ed il rapporto della minore con il padre e la madre, il Tribunale ed anche la Corte d’Appello bene avevano fatto a tenere in conto, in misura rilevante, l’esigenza di stabilità della bambina e del suo rapporto con la madre, soprattutto nella fase della prima infanzia, ritenendo maggiormente rispondente ad una sana ed equilibrata crescita della minore la sua convivenza con la madre. D’altro canto, nel provvedimento vi era anche un ampio riconoscimento della relazione e della frequentazione con il padre, motivo per il quale le istanze dell’uomo risultavano ingiustificate. In questa prospettiva, dunque, per la Suprema Corte il ricorso è infondato e va rigettato, in quanto è apparsa non confacente all'interesse della bambina una decisione sulla sua residenza basata in linea principale sugli orari di lavoro dei genitori. Mentre, con riferimento al provvedimento che autorizzava il contatto telefonico giornaliero tra padre e figlia, già analizzato anche dalla Corte territoriale, la Suprema Corte osserva che lo stesso era stato concesso ma che era risultato anche subordinato alle esigenze della minore. Inoltre, il detto strumento si era già rilevato inadeguato, perché vissuto in un clima conflittuale che si prestava a possibili strumentalizzazioni della figlia da parte dei genitori. Di conseguenza esso era stato implicitamente revocato ed è questa la ragione per cui, unitamente alla mancata esplicita riproposizione della richiesta nella propria memoria conclusionale da parte del padre, non era stato previsto alcunché nel dispositivo della decisione finale del Tribunale. Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte. In conclusione, per la Corte di Cassazione il principio cui si è ispirata la Corte di appello nella sua decisione va considerato corretto e va recepito oltre che integrato nei termini che seguono. La regolamentazione dei rapporti tra genitori non conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con ambo i genitori ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere ed alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto ad una significativa e piena relazione con entrambi i genitori nonché del diritto di questi ultimi ad una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 18 ottobre 2019 – 13 febbraio 2020, n. 3652 Presidente Di Virgilio – Relatore Bisogni Rilevato che Il sig. M.L.P.M. ricorre per cassazione avverso il decreto n. 3677/2018 con il quale la Corte di appello di Reggio Calabria ha respinto il reclamo proposto dal sig. M. avverso il decreto in data omissis del Tribunale di Reggio Calabria con il quale era stato disposto l’affido condiviso della minore M.G.P. con residenza prevalente presso la madre R.L.B.M. , l’assegnazione a quest’ultima della casa familiare, la regolazione dei tempi del diritto di frequentazione del padre, l’obbligo per quest’ultimo di corrispondere alla sig.ra R. un assegno mensile di Euro 200,00 rivalutabili annualmente secondo indici ISTAT e il 50% delle spese straordinarie quale contributo al mantenimento della figlia M.G.P. . La Corte di appello ha ritenuto che le domande del sig. M. non fossero fondate in quanto lo spostamento della residenza della piccola G.P. provocherebbe un inutile turbamento alla sua originaria e attuale condizione di convivenza con la madre rispetto alla quale non sussistono elementi di disagio o di inopportunità. La richiesta di disporre una convivenza paritaria in termini di tempo con entrambi i genitori comporterebbe anche essa un ingiustificato sconvolgimento della condizione attuale in vista di una condizione più faticosa e destabilizzante per la figlia. Infine la regolamentazione dei tempi e delle modalità di esercizio del diritto di frequentazione della figlia da parte del padre si basa sulle indicazioni dei servizi sociali che devono considerarsi rispondenti all’interesse della minore perché consentono un ampio spazio relazionale con il padre senza turbare i ritmi di vita della bambina e la sua relazione con la madre. La Corte di appello ha rilevato che non vi è stata omessa pronuncia sulla richiesta del sig. M. di prevedere un tempo fisso giornaliero di conversazione audio-video del padre con la figlia perché tale richiesta, proposta dal M. ex art. 709 ter c.p.c., era stata originariamente accolta dal g.d., sia pure con la previsione che tali conversazioni dovessero rispettare le esigenze della bambina e i limiti derivanti dalla sua tenera età, ma era stata poi revocata implicitamente nel successivo provvedimento del g.d. e non aveva più costituito oggetto di richiesta nelle conclusioni finali rassegnate dal sig. M. . Con il ricorso per cassazione il sig. M. fa valere i seguenti motivi di impugnazione a art. 360 c.p.c., n. 5 Omessa valutazione della circostanza di fatto per cui la collocazione prevalente presso la madre della minore G.P. fosse stata inizialmente disposta con i provvedimenti provvisori in primo grado, in assenza di una adeguata istruttoria e di una convergenza di posizioni fra i genitori della minore, non potendo perciò il giudice dell’appello far discendere la presunta stabilità della esistenza della minore da un assenso nascente dalla dovuta esecuzione di un provvedimento giudiziale temporaneo, da subito contestato e comunque impugnato una volta divenuto definitivo b art. 360 c.p.c., n. 5. Omessa valutazione della circostanza di fatto relativa ai turni lavorativi della sig.ra R. , documentati nel relativo prospetto esibito dalla medesima nel procedimento di primo grado, alla udienza del 5.4.2016, e delle circostanze di fatto inerenti l’assetto relazionale tra i due ex conviventi e tra ciascuno di essi e la minore, per come analizzato e tratteggiato dai Servizi sociali del Consultorio familiare nonché dalle deduzioni tecniche a firma del prof. Z.R. c art. 360 c.p.c., n. 3 Erronea applicazione dell’art. 337 ter c.c. per come inserito dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 55 con decorrenza dal 7.2.2014, nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che i principi che presiedono alla regolamentazione dei rapporti fra genitori non conviventi e figli non si identificano, ancora una volta in parametri aritmetici, vale a dire in una simmetrica ripartizione dei tempi di permanenza della minore con ciascuno dei genitori d art. 360 c.p.c., n. 5. Omessa valutazione della circostanza di fatto per cui con il provvedimento reso in primo grado, alla udienza del 5.7.2016 il giudice delegato aveva autorizzato un contatto telefonico quotidiano tra padre e figlia, provvedimento che non può ritenersi implicitamente revocato per l’avvenuta rinuncia al ricorso proposto ex art. 709 ter c.p.c. in corso di causa. Si difende con controricorso R.L.B.M. . Ritenuto che Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché nonostante il richiamo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non indica un fatto il cui omesso esame risulti decisivo nell’economia della decisione impugnata. Evidentemente la decisione immediata concernente l’affidamento della minore non poteva che essere adottata sulla base di una valutazione immediata e allo stato degli atti. Ma tale valutazione si è dimostrata fondata, secondo la valutazione del giudice del merito, all’esito della successiva istruttoria. Esplicitamente la Corte di appello ha poi motivato in ordine alla richiesta non accolta di esaminare e tenere conto degli incontri dei due ex conviventi presso il Consultorio familiare dai quali emergerebbe la refrattarietà della sig.ra R. a parteciparvi e la sua volontà di non riaprire un dialogo con il sig. M. . La Corte distrettuale ha infatti ribadito la non rilevanza di tali circostanze rispetto al thema decidendum concernente esclusivamente la minore e il suo rapporto con i genitori che si era svolto senza ostacoli anche dopo la separazione. Il secondo motivo è infondato perché la Corte di appello e prima ancora il Tribunale hanno pienamente valutato le prospettazioni dell’odierno ricorrente in merito alla maggiore compatibilità dei suoi orari di lavoro con il tempo a disposizione della figlia. Così come hanno ampiamente valutato la idoneità genitoriale di entrambi e il rapporto della piccola G.P. con il padre e la madre. All’esito di questa valutazione, e tenendo conto in misura rilevante della esigenza di stabilità della bambina e del suo rapporto con la madre, nella fase della prima infanzia, sia il Tribunale che la Corte di appello hanno ritenuto maggiormente rispondente a una crescita serena e equilibrata della minore la sua convivenza con la madre con un ampio riconoscimento della relazione e della frequentazione con il padre. In questa prospettiva è apparsa riduttiva e non confacente all’interesse di M.G.P. una decisione sulla sua residenza basata in linea principale sugli orari di lavoro dei genitori. Si è già detto invece circa la non rilevanza dei rapporti tra i due ex conviventi e sull’ampio esame che la Corte di appello ha compiuto sugli esiti dell’istruttoria e sulle valutazioni espresse dai consulenti e dai Servizi sociali. Il terzo motivo è infondato perché il principio cui si è ispirata la Corte di appello nella sua decisione è corretto e va recepito e integrato nel principio di diritto per cui la regolamentazione dei rapporti fra genitori non conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dalla esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo. Infine il quarto motivo è infondato perché, come ha ben spiegato la Corte di appello, il provvedimento che autorizzava il contatto telefonico giornaliero era comunque subordinato alle esigenze della minore e si era rivelato inadeguato perché vissuto in un clima conflittuale che si prestava a possibili strumentalizzazioni della figlia da parte dei genitori. Di conseguenza esso è stato implicitamente revocato ed è questa la ragione, unitamente alla mancata esplicita riproposizione della richiesta da parte del sig. M. , per cui non è stato previsto alcunché nel dispositivo della decisione finale del Tribunale. Tuttavia la richiesta è stata comunque valutata e ritenuta infondata dalla Corte di appello che al riguardo ha espresso un giudizio discrezionale motivato e non sindacabile in questa sede. Il ricorso va pertanto respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. Il procedimento è esente dall’applicazione del contributo e pertanto non si applica la disposizione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.600 Euro di cui 200 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Dà atto della insussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Dispone omettersi l’indicazione dei nominativi e di ogni altro riferimento identificativo delle parti e della minore in caso di pubblicazione della presente ordinanza.