Stabile demenza dopo il testamento: chi ne afferma la validità deve provare la stesura in un momento di lucido intervallo

In tema di incapacità di testare a causa di incapacità di intendere e di volere al momento della redazione del testamento, il giudice del merito può tratte la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità stessa essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova. Conseguentemente, quando l’attore in impugnazione abbia fornito la prova di una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, poiché in tal caso la normalità presunta è l’incapacità, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo.

Il caso. Un uomo conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trento, due donne, affermando di essere il nipote di un uomo, morto nel 2004, rispettivamente marito e padre delle convenute. Precisava che il de cuius l’aveva nominato erede universale con un primo testamento olografo risalente al gennaio 2003, e poi con un secondo testamento olografo, confermativo del primo, del febbraio 2003. L’attore chiedeva che venisse accertata la validità dei due testamenti e, contestualmente, che fosse dichiarata la nullità e l’inefficacia, per incapacità naturale del disponente, di un atto relativo alla revoca di una polizza vita e di uno riguardante la modifica, a suo discapito, della nomina del beneficiario di un’altra polizza. Chiedeva, infine, che fosse ricostruito il patrimonio del de cuius , al fine di accertare la quota di legittima spettante alla di lui moglie e figlia. L’attore affermava che, da perizia calligrafica effettuata, risultava che i due testamenti olografi erano stati redatti dallo zio in stato di capacità, mentre gli atti dispositivi, relativi alle polizze, in stato di incapacità. Le due donne si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree. La figlia del de cuius faceva valere un testamento pubblico del maggio 2004 dalla quale risultava erede universale. Le convenute chiedevano, in via riconvenzionale, che fosse accertato il credito della figlia del defunto nei confronti dell’attore, per le somme da questi percepite sine titulo dallo zio, con condanna dello stesso alla restituzione degli importi prelevati da un conto corrente del de cuius , nonché al risarcimento dei danni. Durante la prima udienza l’attore chiedeva che venisse accertata la nullità o disposto l’annullamento del testamento pubblico per incapacità di intendere e di volere del testatore. Disposta una consulenza medico legale sulla capacità del testatore nei vari momenti, il Tribunale di Trento, con sentenza non definitiva, annullava il testamento pubblico per incapacità naturale del testatore. Successivamente, con sentenza definitiva, rigettava la domanda di nullità/annullabilità dell’atto di riscatto della polizza vita mentre accoglieva la domanda dell’attore con riferimento alla modifica del beneficiario, con condanna della figlia del de cuius alla restituzione dell’importo incassato. Le due donne proponevano ricorso dinanzi alla Corte di Appello di Trento avverso la sentenza non definitiva di primo grado, di annullamento del testamento pubblico, e contro la sentenza definitiva nella parte in cui aveva accolto le domande dell’attore relativamente alle polizze vita e all’inclusione di un immobile acquistato durante il matrimonio, in regime di comunione legale dei beni , per intero, nell’asse ereditario. Si costituiva in giudizio l’uomo, eccependo l’inammissibilità dell’appello e contestando nel merito la fondatezza del gravame. Questi proponeva, altresì, appello incidentale sostenendo che le somme derivate dalle polizze non dovevano essere comprese nell’asse ereditario ai fini del conteggio delle quote di legittima spettanti al coniuge e alla figlia del de cuius . Dopo una serie di indagini in merito al decorso della patologia di cui era affetto il defunto, la Corte territoriale, nel 2016, rigettava la domanda di annullamento del testamento pubblico, sostenendo che non ci fossero elementi tali da far presumere che la malattia avesse raggiunto, già al momento della redazione del testamento pubblico, un livello tale da compromettere totalmente la capacità di testare. L’uomo proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi. Resistevano in giudizio con controricorso le due donne. Motivi di impugnazione. L’uomo, con il primo motivo di ricorso, lamentava una violazione e falsa applicazione dell’art. 591, comma 2, c.c. sostenendo che non spettava all’attore dimostrare l’incapacità del testatore al momento della redazione del testamento ma spetterebbe alla parte che ne sostiene la validità l’onere di provare un eventuale lucido intervallo nel momento della stesura. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente sosteneva che, con la propria impugnazione, egli aveva chiaramente rivendicato che le somme derivanti dal riscatto delle polizze gli spettavano in virtù di designazione e non quale erede. Osservazioni della Corte di Cassazione. Nell’accogliere entrambi i motivi di ricorso, i Giudici della Seconda Sezione ribadiscono un principio già affermato secondo il quale, per essere causa di annullabilità del testamento, la prova dell'incapacità del testatore – che, ai sensi dell’art. 591, comma 2, n. 3, c.c., deve esistere al momento dell'atto e non genericamente al tempo dell'atto – può tuttavia essere ricavata anche da presunzioni, e quindi da uno stato di grave infermità mentale del testatore o anche dallo stato mentale del testatore stesso in epoca anteriore o posteriore al testamento, purché il giudice spieghi, con adeguata motivazione, le ragioni del suo apprezzamento in tal senso. In altre parole, colui che impugna il testamento per incapacità naturale deve provare che la causa del vizio sussisteva al momento in cui fu redatto il testamento peraltro detta prova può essere desunta dalla dimostrata incapacità prima e dopo il tempo in cui fu stilato il testamento. Le condizioni mentali del testatore, posteriori o anteriori, sono rilevanti non quale prova diretta dell’incapacità a tempo della redazione del testamento, ma perché autorizzano il giudice a fondare una presunzione. Ad avviso della Cassazione, la Corte d’Appello, nonostante il consulente tecnico avesse accertato che nel giugno del 2004, ossia meno di due mesi dopo la formazione del testamento pubblico, la malattia del de cuius aveva raggiunto la condizione di stabile demenza” aveva finito per definire la lite applicando la regola della presunzione di capacità. Invece, considerato il breve lasso temporale, spettava a chi affermava la validità del testamento provare che il decorso della malattia non aveva ancora raggiunto lo stadio dell’incapacità al momento della testamenti factio . Inoltre, in merito al secondo motivo di ricorso, i Giudici della legittimità hanno affermato che l’uomo, nel formulare quel tipo di censura, non aveva speso la propria qualità di erede, bensì quella di beneficiario della designazione, operata dallo stipulante. Pertanto, risulta esclusa la formazione del giudicato sul riconoscimento della legittimazione in funzione esclusiva della qualità di erede. Conclusione. I Giudici della Seconda Sezione, con l’ordinanza in oggetto, accolgono il ricorso, cassano la sentenza e rinviano la causa alla Corte d’Appello di Trento in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 11 giugno – 22 ottobre 2019, n. 26873 Presidente San Giorgio – Relatore Tedesco Ritenuto che G.C. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Trento M.R. e G.L. . Precisava che era nipote di Go.Li. , deceduto l’ omissis , lasciando il coniuge M.R. e la figlia G.L. . Precisava che il de cuius l’aveva nominato erede universale con un primo testamento olografo del 31 gennaio 2003, poi confermato da un secondo testamento olografo del 27 febbraio 2003 avente il medesimo contenuto. Chiedeva quindi accertarsi la validità dei due testamenti. Nello stesso tempo chiedeva dichiararsi la nullità e inefficacia, per incapacità naturale, del disponente, dei seguenti atti a riscatto della Polizza Vita n. omissis attuato da Go.Li. il 26 maggio 2004 polizza stipulata il omissis per l’importo di Euro 40.000,00 con nomina di G.C. quale beneficiario b modifica della nomina del beneficiario della polizza Itas Vita S.p.A. n. omissis attuata da Go.Li. il omissis in favore di G.L. polizza stipulata il omissis per l’importo di Euro 60.000,00 con nomina quali beneficiario di G.C. e di B.N. , poi eliminata dal beneficio l’1 dicembre 2003. Chiedeva inoltre che fosse ricostruito il patrimonio del de cuius per accertare la quota di legittima del coniuge e della figlia. A sostegno della domanda precisava che il de cuius aveva subito un primo ricovero ospedaliero il 2 aprile 2003, con diagnosi di dimissione di demenza senile , per poi subire un nuovo ricovero il 18 aprile 2004, con diagnosi episodio confusionale in paziente affetto da encefalopatia vascolare cronica . Precisava ancora di avere fatto sottoporre a perizia grafica sia i due testamenti olografi sia le firme apposte sulla revoca della polizza e sulla modifica del beneficiario della polizza Itas, con il seguente risultato testamenti scritti in stato di capacità e atti di disposizione sulle polizze firmate in stato di incapacità. Le convenute si costituivano nel giudizio e chiedevano il rigetto delle domande avversarie. G.L. faceva valere un testamento pubblico del 12 maggio 2004, che la nominava unica erede universale. Le convenute chiedevano, in riconvenzionale, che fosse accertato il credito di G.L. nei confronti dell’attore per le somme da lui percepite senza titolo dal defunto e la condanna del medesimo, previo rendiconto, alla restituzione degli importi prelevati dal conto corrente del de cuius, del quale aveva a disposizione in via fiduciaria una tessera bancomat, nonché al risarcimento dei danni ex artt. 88 e 96 c.p.c G.C. chiedeva a verbale, nella prima udienza, accertarsi la nullità o disporsi l’annullamento del testamento pubblico per incapacità di intendere e di volere del testatore. Il giudice ammetteva i capitoli di prova per testimoni dedotti dall’attore e disponeva consulenza medico legale sulla capacità del testatore con riferimento a tutte le date rilevanti in relazione alle contrapposte domande delle parti la data dei due testamenti olografi, la data degli atti di disposizione sulle polizze e la data del testamento pubblico. Eseguita l’istruzione, il Tribunale di Trento, con sentenza non definitiva, disponeva l’annullamento del testamento pubblico per incapacità naturale del testatore e rimetteva la causa in istruttoria per il prosieguo. Con sentenza definitiva il medesimo tribunale rigettava la domanda di nullità o annullabilità per incapacità naturale dell’atto di riscatto della polizza XXX accoglieva la analoga domanda con riferimento alla modifica del beneficiario della Polizza Itas, riconoscendo che l’attore, quale erede di Go.Li. , era legittimato a chiedere l’annullamento dell’atto e che egli era altresì legittimato, quale originario beneficiario della polizza, ad agire nei confronti della convenuta per la restituzione dell’importo da questa incassato. Condannava quindi G.L. a corrispondere a Go.Li. la relativa somma, con gli interessi legali dall’1 novembre 2004. Il tribunale disponeva ancora la riduzione delle disposizioni testamentarie, riconoscendo la quota di legittima al coniuge e alla figlia del testatore. A tal fine ricostruiva il patrimonio relitto del de cuius, inserendovi la piena proprietà dell’immobile p.m. 17 p.ed. 367 in PT 4905, ancorché acquistato in costanza di matrimonio e in regime di comunione legale, tenuto conto della rinuncia del coniuge in sede di separazione a qualsiasi pretesa sulla comproprietà del bene. Disponeva la divisione dei beni, rigettava la domanda di rendiconto proposta dalle convenute e regolava le spese di lite. G.L. e M.R. proponevano appello contro la sentenza non definitiva, che aveva annullato il testamento pubblico per incapacità naturale del testatore, e contro la sentenza definitiva nella parte in cui aveva accolto le domande dell’attore relativamente alle polizze vita e in relazione all’inclusione dell’immobile per intero nell’asse ereditario. G.C. si costituiva, eccependo l’inammissibilità dell’appello e contestando nel merito la fondatezza dell’impugnazione. Il G. proponeva appello incidentale inteso a fare accertare, per quanto interessa in questa sede, la nullità e annullabilità del riscatto della polizza vita XXX e della modifica del beneficiario della polizza Itas e, conseguentemente, a fare accertare che i relativi importi non dovevano essere conteggiati nell’asse ereditario ai fini della formazione delle quote di legittima spettanti al coniuge e alla figlia del testatore. La Corte d’appello di Trento disponeva accertamento medico legale. In base a tale consulenza la corte stabiliva che il G. era realmente affetto da demenza vascolare e che tale patologia aveva avuto il suo esordio il 18 aprile 2004. Aggiungeva che l’esordio della malattia, di per sé, non poteva farsi coincidere con una condizione di stabile e permanente incapacità. La corte ricostruiva poi, in linea teorica e scientifica, il decorso di tale patologia a dente di sega , per concludere che la malattia era certamente sfociata in una condizione di stabile demenza alla data del 29 giugno 2004, ovvero a far data dalla certificazione redatta dalla commissione preposta alla valutazione dell’invalidità civile. Nello stesso tempo la corte di merito riteneva, in considerazione del decorso della malattia, che non ci fossero elementi tali da far presumere che essa avesse raggiunto, già al momento del testamento pubblico, un livello tale da compromettere totalmente la capacità del testatore. La corte rigettava pertanto la domanda di annullamento del testamento pubblico, facendo da ciò conseguire l’assorbimento delle questioni introdotte dalle appellanti in via subordinata. Aggiungeva che l’accertamento che l’originario attore non era erede del defunto precludeva la possibilità di lui di agire per l’annullamento degli atti di disposizione sulle polizze, essendo passata in giudicato, in assenza di censura, la sentenza definitiva del tribunale nella parte in cui aveva riconosciuto che, rispetto all’impugnativa di quegli atti, la legittimazione di G.C. discendesse dall’essere il predetto erede di Go.Li. . Per la cassazione della sentenza G.C. ha proposto ricorso affidato a due motivi, illustrati anche da memoria. G.L. e M.R. hanno resistito con controricorso. Considerato che 1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 591, comma 2, degli artt. 2697 e 2729 c.c. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 . Il ricorrente lamenta che gli esiti delle indagini cliniche avrebbero dovuto indurre la corte a fare applicazione del principio dell’inversione dell’onere della prova. Non era l’attore a dover provare l’incapacità del testatore al momento di redazione del testamento, spettando alla parte che sosteneva la validità del testamento l’onere di provare un eventuale lucido intervallo nel momento della testamenti factio. Il motivo è fondato. Ai sensi dell’art. 591 c.c., comma 2, n. 3, la prova dell’incapacità del testatore deve esistere al momento dell’atto e non genericamente al tempo dell’atto, come stabiliva l’art. 763 c.c. dell’abrogato codice civile. Tuttavia la regola non implica che la prova debba limitarsi a tale momento. Il giudice di merito può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali in epoca anteriore o posteriore al testamento, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova ricorrendo tale ipotesi spetta alla parte che sostiene la validità del testamento l’onere di provare un eventuale lucido intervallo nel momento della formazione del testamento Cass. n. 2666/1975 n. 3411/1978 n. 6236/1980 . È un fatto che il 29 giugno 2004, data della certificazione redatta dalla commissione preposta alla valutazione della invalidità civile, il testatore versasse in una condizione di stabile demenza. È altrettanto certo che l’incapacità riscontata alla fine di giugno non era dovuta a un fatto acuto, ma rappresentava l’esito di una patologia il cui esordio è pacificamente collocato nel mese di aprile dello stesso anno 2004. Tuttavia, secondo la corte d’appello, solo quando si tratti di malattia che influisca sulla psiche permanentemente e abitualmente, in modo che non siano ipotizzabili periodi di lucido intervallo, ben può il giudice, dall’accertamento di una tale malattia in data posteriore alla redazione del testamento ricavare la presunzione di incapacità anche nel momento del compimento dell’atto . , mentre nel caso in esame ciò che è proprio escluso è che la patologia dalla quale il defunto era affatto fosse pervenuta, al momento della redazione del testamento, ad uno stadio tale da determinare una situazione di stabile incapacità . In altra parte della motivazione della sentenza impugnata si legge contrariamente a quanto sostiene la difesa dell’appellato il c.t.u. non ha affatto ritenuto che dal 18 aprile 2014 il de cuius si trovasse in condizione di stabile e permanente incapacità e che la malattia fosse compatibile con momenti di lucido intervallo, ma al contrario ha sostenuto che, proprio per l’andamento c.d. a gradini della patologia, non vi sono elementi concreti che consentano di affermare che, al momento in cui il de cuius ha sottoscritto il testamento pubblico, la patologia avesse già determinato una condizione permanente e totale di incapacità di intendere e di volere . Si desume da tali rilievi che la corte di merito non ha disconosciuto, in linea di principio, che l’accertamento di una malattia in data posteriore alla redazione del testamento potrebbe giustificare una presunzione di incapacità. Essa ha negato l’applicazione del principio nel caso concreto, in mancanza di una evenienza scientifica che consentisse di affermare che il decorso della malattia avesse già raggiunto la fase dell’incapacità al momento della redazione del testamento. Ma a tale argomento è facile obiettare che le condizioni mentali del testatore, posteriori o anteriori, sono rilevanti non quale prova diretta della incapacità al tempo di redazione del testamento, ma perché autorizzano il giudice a fondare una presunzione. Al contrario la corte d’appello, nonostante il consulente tecnico avesse accertato che il 29 giugno 2004, meno di due mesi dopo la formazione del testamento, la malattia aveva completato il suo naturale sviluppo, con il raggiungimento di una condizione di stabile demenza v. passo della relazione riportato a pag. 39 della sentenza impugnata , ha definito la lite in applicazione della regola della presunzione di capacità. Diversamente, in base ai principi sopra indicati, tenuto conto del minimo distacco temporale, spettava a chi affermava la validità del testamento provare che il decorso della malattia non avesse ancora raggiunto lo stadio dell’incapacità al momento della testamenti factio. Si impone pertanto la cassazione della sentenza e il giudice di rinvio dovrà attenersi a tale principio in tema di incapacità di testare a causa di incapacità di intendere e di volere al momento della redazione del testamento, il giudice del merito può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità stessa essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova conseguentemente, quando l’attore in impugnazione abbia fornito la prova di una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, poiché in tal caso la normalità presunta è l’incapacità, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo . 3. Il secondo motivo denuncia error in procedendo per violazione degli artt. 112 e 343 c.p.c. e error in iudicando per violazione dell’art. 1920 c.c Ai fini della comprensione della censura occorre premettere che, secondo la ricostruzione operata con la sentenza di primo grado, gli atti di disposizione sulle polizze costituivano atti unilaterali, il cui annullamento per incapacità naturale poteva essere richiesto dall’incapace, dall’erede o dal suo avente causa, qualora ne fosse derivato un pregiudizio per il suo autore. Ha quindi riconosciuto che G.C. , nella sua qualità di erede, era legittimato a impugnare sia il riscatto della polizza XXX, sia la modifica del beneficiario della polizza Itas. Con riferimento alla prima polizza ha tuttavia negato il pregiudizio, in base al rilievo che l’importo, riscosso dal de cuius, era andato a vantaggio di lui e, di riflesso, dell’erede G.C. . Con riferimento alla modificazione del beneficiario della polizza Itas, ha riconosciuto che la modifica di intestazione era stata fatta dal de cuius in condizioni di incapacità da ciò la legittimazione dell’attore ad agire per l’annullamento della modificazione quale erede e per la restituzione dell’importo quale beneficiario. G.C. , di fatto già beneficiario delle somme in base alla sentenza, ha ugualmente impugnato la decisione, deducendo che le somme derivanti dalle polizze non dovevano essere computate ai fini della formazione dell’asse ereditario a beneficio delle legittimarie pretermesse. La corte d’appello ha riconosciuto di non dovere entrare nel merito della censura, in assenza di impugnazione della preliminare affermazione del giudice di primo grado secondo cui la legittimazione del G. sussisteva solo in funzione della sua qualità di erede. Sulla base di tale affermazione la stessa corte ha riconosciuto che il rigetto della domanda con la quale il G. aveva rivendicato tale qualità esauriva la lite. Con il motivo ora in esame il ricorrente sostiene che, con la propria impugnazione, egli aveva chiaramente rivendicato che le somme derivanti dal riscatto delle polizze gli spettavano in virtù della designazione e non quale erede. Il motivo è fondato. Ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione Cass. n. 2217/2016 n. 16583/2012 . Or bene, nel momento in cui il G. ha attaccato la sentenza di primo grado sostenendo che le somme derivanti dalle polizze non dovevano essere comprese nell’asse ereditario ai fini del conteggio della legittima, aveva per ciò solo assunto una posizione incompatibile con la premessa che egli era legittimato all’impugnativa di quegli atti solo in qualità di erede. In altri termini, nel formulare quel tipo di censura, egli, per forza di cose, non aveva speso la propria qualità di erede, ma di beneficiario della designazione operata dallo stipulante. Tanto basta, in base al principio di cui sopra, a escludere la formazione del giudicato sul riconoscimento della legittimazione in funzione esclusiva della qualità di erede. Del resto, dal punto di vista teorico, nulla esclude che il beneficiario della polizza sia nello stesso tempo erede dello stipulante, ma ciò non toglie che le somme gli competano comunque, ex art. 1920 c.c., comma 3, iure proprio, non iure successionis Cass. n. 6531/2006 , non entrando a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante Cass. n. 26606/2016 . Si ricorda che in tema di assicurazione sulla vita a favore di un terzo le norme sulla collazione e la riduzione delle donazioni sono fatte salve in riferimento ai premi pagati dallo stipulante, non alle somme percepite dal beneficiario cfr. art. 1923 c.c., comma 2 . La sentenza va pertanto cassata anche in relazione a tale motivo e il giudice di rinvio dovrà decidere sulla relativa ragione di censura proposta dal G. contro la sentenza di primo grado. In conclusione il ricorso va accolto con rinvio della causa alla Corte d’appello di Trento in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa la sentenza rinvia la causa alla Corte d’appello di Trento in diversa composizione anche per le spese.