Sopravvenienza di un figlio del testatore e revocazione del testamento

In tema di revocazione del testamento per sopravvenienza dei figli, la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 687 c.c. presenta un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 13680/19, depositata il 21 maggio, chiamata ad intervenire all’interno di una causa di successioni familiari. In particolare, con il motivo di ricorso, il ricorrente, considerato figlio naturale del de cuius, il quale non lo aveva riconosciuto come tale ma sapeva della sua esistenza, denuncia violazione dell’art. 687 c.c., vista l’irrilevanza del requisito dell’effettiva consapevolezza del testatore circa il fatto che lo stesso fosse suo figlio. Quest’ultimo sostiene, infatti, che va revocato il diritto di testamento di chi sapeva dell’esistenza del proprio figlio naturale non riconosciuto e al quale, dopo la morte del de cuius , sia stato attribuito, a seguito di azione giudiziaria esperita vittoriosamente, il relativo status formale. Quando avviene la revocazione del testamento. Al riguardo, come più volte affermato già dalla Suprema Corte, in tema di revocazione del testamento per sopravvenienza dei figli, la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 687 c.c. presenta un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni pertanto, ritenendo che la suddetta modificazione sussista non solo quando il testatore riconosca un figlio, ma anche quando venga esperita vittoriosamente nei suoi confronti l’azione di accertamento della filiazione, il testamento viene revocato anche nell’ipotesi in cui si verifichi il secondo evento, ora detto, senza che assuma rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del testatore, né che quest’ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza . Sulla base di tale richiamato principio gli Ermellini accolgono il ricorso con cassazione della sentenza impugnata, poiché la Corte di merito è partita, nel giudicare il caso in esame, dall’erroneo presupposto che l’art. 687 c.c. non trovi applicazione nell’ipotesi in cui l’accertamento giudiziale della filiazione sia stato compiuto nei confronti di un soggetto che aveva fatto testamento essendo consapevole di avere un figlio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 febbraio – 21 maggio 2019, n. 13680 Presidente Manna – Relatore Giusti Fatti di causa 1. - Con atto di citazione notificato nel gennaio 2013, L.A., nato a omissis , esponeva a di essere figlio di L.M., nata a omissis e ivi deceduta il omissis , e di S.N. fu B., nato a Venezia nel 1894, in forza di sentenza del Tribunale di Venezia n. 11/2012, passata in giudicato, attributiva della paternità naturale b che S.N. fu B. morì a omissis , scapolo e senza prole legittima o riconosciuta e senza altri discendenti, per cui esso attore ne era l’unico erede secondo legge c che S.N. fu B. aveva redatto testamento olografo, pubblicato dal notaio T. al n. [] di repertorio in data 10 aprile 1948, con il quale aveva istituito erede la sorella nubile S.L. d che all’accertamento della paternità naturale conseguiva la revocazione ex art. 687 c.c., del citato testamento olografo e l’apertura della successione legittima e che S.L. a sua volta decedette il omissis e il omissis fu pubblicato dal notaio P. il suo testamento pubblico con il quale ella aveva istituito unico erede S.G., nato a omissis f che quest’ultimo morì nel [], lasciando eredi secondo legge i suoi quattro figli S.S.A., S.S.N., S.S.A. e S.S.S. . Tanto premesso, l’attore conveniva in giudizio S.S.A., S.S.N., S.S.A. e S.S.S., eredi dell’erede S.G. dell’erede apparente S.L. di S.N. fu B., chiedendo, tra l’altro a che venisse accertata e dichiarata la revoca ex art. 687 c.c., del testamento di S.N. fu B. e l’apertura della successione legittima in favore di L.A. b che venisse accertato che L.A. era il legittimo proprietario dei beni immobili, caduti in successione, posti nel Comune di Venezia, e di tutti i beni mobili in essi contenuti c che venisse accertato e dichiarato che esso attore era creditore dei prezzi effettivi riscossi da S.G., o dagli altri titolari apparenti, dei prezzi dei beni alienati. Si costituivano i convenuti, resistendo. 2. - Con sentenza non definitiva n. 1533/2016, depositata in data 13 giugno 2016, il Tribunale di Venezia, in accoglimento delle domande proposte da L.A. - disponeva, ai sensi dell’art. 687 c.c., la revoca del testamento pubblicato in data 10 aprile 1948 con cui S.N. fu B. aveva istituito quale propria erede universale la sorella nubile S.L., dichiarando conseguentemente l’apertura della successione legittima in favore di L.A., il cui rapporto di filiazione naturale con il de cuius era stato accertato dal Tribunale di Venezia con sentenza n. 11/2012, passata in giudicato - accertava che L.A., quale unico erede legittimo di S.N. fu B., era il proprietario dei beni immobili appartamento e magazzino caduti in successione, posti nel Comune di Venezia - condannava i convenuti, eredi ab intestato di S.G., nipote di S.L., alla consegna all’attore degli immobili suddetti o dei contratti in forza dei quali detti immobili erano stati eventualmente locati a terzi - rimetteva le spese di lite al definitivo. A tale conclusione il primo giudice perveniva sulla base del rilievo che l’art. 687 c.c., salva la previsione del comma 3, prescinde dalla manifestazione di volontà del de cuius, disponendo l’effetto di eliminazione delle disposizioni di ultima volontà in relazione alla mera oggettività della nuova situazione. Secondo il Tribunale, l’art. 687 c.c., ha quale fondamento oggettivo la mera modificazione della situazione familiare in relazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni e tale modificazione sussiste sia quando il testatore abbia riconosciuto il figlio naturale, sia quando nei suoi confronti sia stata esperita vittoriosamente - come nel caso di L.A. - l’azione di accertamento della filiazione naturale. 3. - Avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Venezia proponevano appello i S.S., sulla base di cinque motivi, cui resisteva il L. . 4. - La Corte d’appello di Venezia, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 1 marzo 2018, in accoglimento del gravame, ha annullato i capi A , B, C e F della sentenza non definitiva n. 1533/2016 del Tribunale di Venezia, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del grado. A tale esito la Corte territoriale è giunta esaminando il secondo motivo di gravame con il quale gli appellanti avevano sostenuto che il Tribunale avesse erroneamente interpretato l’art. 687 c.c. e ritenendo superfluo lo scrutinio degli altri motivi di censura, dichiarati assorbiti. La Corte d’appello non ha condiviso la lettura data dal Tribunale dell’art. 687 c.c., e ha affermato che questa disposizione non risulta applicabile nel caso in esame, in cui l’accertamento giudiziale della filiazione è stato compiuto da un soggetto che aveva testato nella consapevolezza di avere già un figlio in tale ipotesi, secondo i giudici del gravame, la tutela dei diritti successori dei figli e dei discendenti viene attuata mediante la disciplina della successione necessaria, in una maniera completamente diversa, e cioè mediante il riconoscimento di un potere di impugnativa delle disposizioni lesive della riserva e non con la caducazione automatica del testamento. Quanto alla conoscenza, da parte del testatore, che L.A. era suo figlio, la Corte di Venezia ha ritenuto questo dato assolutamente pacifico . Infatti, dal ricorso che L.A. propose nel 1957, appena divenuto maggiorenne, ai sensi dell’art. 274 c.c., per radicare il giudizio di ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, emerge che già al momento della nascita S.N. fu B. era perfettamente a conoscenza che L.A. era suo figlio, avendo subito un processo penale per istigazione all’aborto processo conclusosi nel 1939 con l’assoluzione per la sola ragione che il giudice penale ritenne inidoneo il mezzo con il quale il S. aveva sollecitato la madre di L.A., L.M., all’aborto , e risultando altresì che il S. pagò le spese della levatrice e fece fronte, anche se solo temporaneamente, agli obblighi alimentari nei confronti del bambino, impegnandosi inoltre a provvedere durevolmente al suo mantenimento. 4. - Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 2 marzo 2018, L.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 5 aprile 2018, sulla base di tre motivi. Hanno resistito, con controricorso, S.S.A., S.S.N., S.S.A. e S.S.S. . Il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa in prossimità dell’udienza. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 687 c.c., stante l’irrilevanza e comunque la mancanza nel caso in esame del requisito dell’effettiva consapevolezza del testatore circa il fatto che L.A. fosse suo figlio. Sostiene il ricorrente che va revocato di diritto il testamento di chi sapeva dell’esistenza del proprio figlio naturale non riconosciuto, e al quale dopo la morte del testatore sia stato attribuito, a seguito di azione giudiziaria vittoriosamente esperita, il relativo status formale. La mancanza di figli richiesta al testatore andrebbe intesa non come assenza di soggetti da lui biologicamente generati, ma come mancanza di figli, ossia di soggetti che al contempo siano da lui generati ma anche già giuridicamente a lui legati da un vincolo di parentela. Il testatore, del resto, ben potrebbe salvaguardare la propria volontà testamentaria dando le disposizioni di cui all’art. 687 c.c., comma 3, per l’ipotesi di accertamenti successivi di paternità o di sopravvenienza di figli, ma il padre di L.A. non lo ha fatto. Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c Ad avviso del ricorrente, solo la prova del d.n.a. ha consentito ad L.A. di portare a termine la sua azione di accertamento di paternità naturale, con il risultato che, quella che era una verità contestata negli anni passati e quel che conta fino a che S.N. fu B. non fece testamento nel 1945, divenne una realtà incontestabile, onde gli atti processuali con cui L.A., e prima di lui sua madre, avevano contestato a S.N. il suo rapporto di paternità con il figlio, acquistarono il loro contenuto di verità . Ma sarebbe da tali atti, che acquistarono il loro suggello di verità dalle prove scientifiche di accertamento di paternità naturale e dal passaggio in giudicato della relativa sentenza, che la Corte d’appello ha presunto induttivamente che S.N. fu B. sapesse di avere un figlio. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 345 c.p.c., a seguito della deduzione, per la prima volta in appello, del fatto nuovo della conoscenza da parte del testatore della verità della filiazione. 2. - La difesa dei controricorrenti ha sollevato eccezioni preliminari di inammissibilità, del ricorso e dei motivi. a Secondo la difesa dei S.S., il ricorso sarebbe innanzitutto inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, giacché l’esposizione dei fatti, premessa alla formulazione dei motivi, non soddisferebbe il requisito prescritto, non essendo sommaria e non contenendo gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto. b In secondo luogo, i controricorrenti hanno eccepito l’”inammissibilità del ricorso per novità delle censure formulate con il primo ed il terzo motivo . c In terzo luogo, nel controricorso si deduce l’”inammissibilità del ricorso per essere il motivo articolato sub 2 sottratto al sindacato di legittimità . 3. - Le eccezioni preliminari di inammissibilità sub 2 a e sub 2 b , quest’ultima là dove riferita al primo motivo di ricorso, sono infondate. 3.1. - Va in primo luogo ricordato che, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 , il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito Cass., Sez. VI-3, 3 febbraio 2015, n. 1926 Cass., Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19018 . Nella specie il prescritto requisito risulta soddisfatto. Dalla lettura del ricorso emerge infatti che il ricorrente ha dato sommariamente conto, prima dell’esposizione dei motivi di impugnazione, delle domande azionate in primo grado, delle allegazioni difensive, del contenuto della sentenza di primo grado, del secondo grado di giudizio e del contenuto della sentenza resa dalla Corte d’appello. In sostanza, il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a porre questo giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. 3.2. - Del pari infondata è l’eccezione di inammissibilità per novità della censura formulata con il primo motivo, là dove con lo stesso si deduce l’irrilevanza della consapevolezza, in capo al testatore, del rapporto biologico con un figlio non ancora riconosciuto al tempo del testamento e si sostiene che va revocato il testamento di chi sapeva dell’esistenza del proprio figlio naturale non riconosciuto, e al quale dopo la morte del testatore sia stato attribuito, a seguito di azione giudiziaria vittoriosamente esperita, il relativo status formale. Con la specifica doglianza sollevata, infatti, il ricorrente pone una questione di diritto deducibile in cassazione, tra l’altro costituente sviluppo di un tema di discussione, attinente all’interpretazione dell’art. 687 c.c., ampiamente trattato nella fase di merito. 4. - Le altre eccezioni di inammissibilità vanno posposte all’esame del primo motivo di ricorso. 5. - Il primo motivo è fondato. Questa Corte ha già avuto occasione di puntualizzare che, in tema di revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, il disposto dell’art. 687 c.c., comma 1, ha un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni, sicché, dovendo ritenersi che tale modificazione sussista non solo quando il testatore riconosca un figlio ma anche quando venga esperita nei suoi confronti vittoriosamente l’azione di accertamento della filiazione, il testamento è revocato anche nel caso in cui si verifichi il secondo di tali eventi in virtù del combinato disposto dell’art. 277 c.c., comma 1, e art. 687 c.c., senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius, né che quest’ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza Cass., Sez. II, 5 gennaio 2018, n. 169 . Da tale principio di diritto - che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità - si è discostata la Corte di Venezia, la quale ha deciso la causa partendo dall’erroneo presupposto che la norma dell’art. 687 c.c., non risulti applicabile là dove l’accertamento giudiziale della filiazione sia stato compiuto nei confronti di un soggetto che aveva testato nella consapevolezza di avere già un figlio. 6. - Per effetto dell’accoglimento del primo mezzo, resta assorbito l’esame degli altri motivi. La sentenza impugnata è cassata. La causa è rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.