Assegno divorzile ed onere probatorio: come si può procedere al confronto reddituale tra coniugi

E’ il coniuge che richiede l’assegno a dover dimostrare che le differenze reddituali, all’epoca del divorzio, sono direttamente causate dalle vecchie scelte comuni di vita.

Cosi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 10781/19, depositata il 17 aprile. Scelte di vita nel matrimonio. Cosa accade quando, tra le scelte correlate al proprio matrimonio, la donna decide di rinunciare al lavoro ed alla carriera per dedicarsi interamente alla famiglia? Nulla di che, in verità, purché la scelta sia stata oggetto di discussione tra i coniugi e liberamente assunta dalla moglie. Ma poiché la vita reale è ben diversa dalle favole che da piccole raccontavano i nostri cari, può accadere che, a seguito della crisi familiare, la donna sia costretta a far valere i propri diritti prima, in sede di separazione, e dopo, nel divorzio. E, soprattutto, in quest’ultima ipotesi, sarà sempre a carico della donna, richiedente l’assegno divorzile, l’onus probandi di dimostrare al giudice che le differenze reddituali, all’epoca del divorzio, discendono direttamente dalle vecchie scelte comuni di vita della ex coppia. Nel caso pervenuto alla Suprema Corte accadeva che, successivamente al proprio divorzio, una donna ricorreva presso la corte di appello competente avverso la sentenza che aveva rigettato la sua domanda di assegno divorzile nei confronti dell'ex coniuge ma la corte, a sua volta, rigettava il gravame in quanto la appellante non aveva dimostrato la mancanza di adeguati mezzi economici nè di non essere in grado di procurarseli, non avendo prodotto la documentazione dimostrativa degli stessi, così precludendo il confronto reddituale tra le parti. Inevitabile era, a questo punto, la proposizione del ricorso per Cassazione della donna avverso questa pronuncia. Il decisum della Suprema Corte di Cassazione. Tuttavia, la fortuna risultava non essere dalla parte della ricorrente che, ancora una volta, vedeva rigettate le proprie richieste con diverse motivazioni. In particolare, gli Ermellini dichiaravano infondate le doglianze della stessa relative alla violazione, da parte della corte di appello, del principio secondo cui l'assegno divorzile deve tendere a ricostituire il tenore di vita coniugale ma, principalmente, di assistere il coniuge che è privo incolpevolmente di mezzi adeguati e poi di riequilibrare le condizioni economiche degli ex coniugi, nei casi in cui vi sia la prova che la sperequazione reddituale in essere, all'epoca del divorzio, sia direttamente causata dalle scelte comuni di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno oppure di quello comune. Inoltre, la Suprema Corte rigettava anche le difese della donna fondate sull’omesso esame, ritenuto decisivo per il giudizio, della percezione da parte dell'ex marito di rendite immobiliari in aggiunta al reddito da lavoro dipendente, nonché della percezione da parte dello stesso di un reddito netto nel 2003 superiore a quello indicato in corso di causa dall’uomo. In conclusione, la ricorrente evidenziava la significativa capacità economica dell'ex coniuge contrariamente alla propria, in quanto disoccupata e priva di redditi. Ma secondo la Corte il motivo presenta profili di perplessità là dove censura l'accertamento dei redditi dell’ex marito con riferimento sia al reddito da lavoro sia alle rendite da locazione e si appunta sui redditi accertati con riferimento ad un anno risalente nel tempo e, quindi, non decisivo per l'esito del giudizio. Dunque, per gli Ermellini bene hanno fatto i giudici di appello che hanno giudicato non provata la allegazione della ricorrente di avere scarse capacità reddituali con riferimento alla quale la stessa si è limitata di genericamente dedurre di essere priva di redditi senza precisare se, quando e quali prove abbia proposto a riguardo nel giudizio di merito. E ciò, come rilevato nella stessa sentenza impugnata, ha precluso il confronto reddituale che è un passaggio necessario ai fini dell'attribuzione della quantificazione dell'assegno. Con riferimento alle doglianze della ricorrente sul fatto che la corte di appello avesse trascurato altri fatti decisivi per il giudizio e, precisamente, di aver ella svolto lavori in nero che non poteva dimostrare documentalmente ma dai quali ricavava redditi comunque insufficienti a farle conservare il tenore di vita matrimoniale oltre che la prova del proprio stato di disoccupazione, costituita da un certificato del centro per l'impiego della competente provincia. Per gli Ermellini entrambi i motivi, trattati congiuntamente, sono inammissibili nella parte in cui sono diretti a criticare apprezzamenti di fatto incensurabili, contrapponendo loro elementi fattuali, come quello riguardante il proprio stato di disoccupazione, valutati in senso diverso dalla corte di merito che ha fondato il giudizio di capacità lavorativa sulla base di dati ulteriori. Inoltre, per la Corte è plausibile quanto rilevato nella sentenza impugnata, la quale ha ritenuto essere conseguenza di una scelta della stessa donna il fatto dedotto di non poter dimostrare adeguatamente i propri redditi, in quanto derivanti da lavori svolti in nero per esercizi commerciali. Inoltre, gli stessi motivi sono ritenuti dalla Suprema Corte infondati nella parte in cui la ricorrente rivendica l'inesistente diritto alla conservazione del tenore di vita matrimoniale nè si potrebbe giungere ad una diversa conclusione valorizzando oltremodo la funzione perequativa e compensativa dell'assegno divorzile, nei casi in cui il coniuge richiedente -come nel caso di specie non abbia dimostrato nel giudizio di merito di non avere redditi adeguati o di non potersi procurare per ragioni oggettive. Ragionando diversamente, cioè riconoscendo l’assegno divorzile anche alla moglie che non si trova nelle condizioni richieste dalla legge, risulterebbe negata la funzione assistenziale che deve pur sempre di conoscersi all'assegno ma in pari misura, o in via equiordinata, alle altre sue note funzioni, mentre sarebbe attuata solo la funzione perequativo-compensativa dell'assegno. Tanto premesso, il suddetto criterio perequativo-compensativo viene in rilievo nei casi in cui vi sia la prova, di cui è onerato il coniuge che richiede l'assegno, che la sperequazione reddituale in essere all'epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte comune di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio individuale e comune, condizioni queste che, secondo la Corte, nel caso di specie la ricorrente non ha dimostrato nè dedotto nel giudizio di merito.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 4 febbraio – 17 aprile 2019, n. 10781 Presidente Valitutti – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d’appello di Napoli, con sentenza dell’11 novembre 2011, ha rigettato il gravame di F.A. avverso l’impugnata sentenza che, per quanto ancora interessa, aveva rigettato la sua domanda di assegno divorzile nei confronti dell’ex coniuge A.G. . Secondo la Corte, la F. non aveva dimostrato la mancanza di adeguati mezzi economici né di non essere in grado di procurarseli, non avendo prodotto la documentazione dimostrativa degli stessi, ciò precludendo il confronto reddituale tra le parti. Avverso questa sentenza la F. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi l’A. resiste con controricorso. Ragioni della decisione Il primo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, è in parte inammissibile, perché del tutto astratto e avulso dalla fattispecie concreta, e infondato nella parte in cui lamenta la violazione del principio secondo cui l’assegno divorzile deve tendere a ricostituire il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, atteso che la funzione dell’assegno divorzile non è quella di ricostituire il tenore di vita coniugale in tal senso S.U. n. 18287 del 2018 sez. I, n. 11504 del 2017 , ma principalmente di assistere il coniuge privo incolpevolmente di mezzi adeguati e poi di riequilibrare le condizioni economiche degli ex coniugi, nei casi in cui vi sia la prova - di cui è onerato il coniuge richiedente l’assegno, trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato - che la sperequazione reddituale in essere all’epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte comuni di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune. Con il secondo motivo la F. denuncia omesso esame dei fatti, ritenuti decisivi per il giudizio, della percezione da parte dell’A. di rendite immobiliari, in aggiunta al reddito da lavoro dipendente, nonché della percezione da parte dello stresso di un reddito netto, nel 2003, superiore a quello indicato in conclusione, evidenzia la significativa capacità economica dell’ex coniuge, contrariamente alla sua, essendo essa disoccupata e priva di redditi. Il motivo presenta profili di perplessità, laddove censura l’accertamento dei redditi dell’ex marito, pur contestualmente e contraddittoriamente riconoscendo al tribunale e alla corte d’appello di avere sostanzialmente correttamente valutato la attuale forza reddituale del Sig. A. , con riferimento sia al reddito da lavoro sia alle rendite da locazione e si appunta sull’entità dei redditi accertati con riferimento ad un anno 2003 risalente nel tempo e, quindi, non decisivo per l’esito del giudizio. I giudici d’appello hanno giudicato non provata la sua allegazione di avere scarse capacità reddituali con statuizione alla quale la ricorrente si è limitata ad opporre genericamente di essere priva di redditi, senza precisare se, quando e quali prove - che, se ammesse e valutate, avrebbero senz’altro condotto ad un esito della decisione in senso diverso - abbia proposto al riguardo nel giudizio di merito. E ciò, come rilevato nella sentenza impugnata, ha precluso il confronto reddituale vale a dire la comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti all’epoca della decisione sull’assegno che, secondo le Sezioni Unite del 2018, è un passaggio necessario ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dello stesso. Al secondo motivo, che è quindi da rigettare, sono connessi il terzo e il quarto, che denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere trascurato che la F. aveva svolto lavori in nero che non poteva dimostrare documentalmente, dai quali ricavava redditi comunque insufficienti a farle conservare il tenore di vita matrimoniale, e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal suo stato di disoccupazione risultante da un certificato del Centro per l’impiego della provincia di Ravenna. Entrambi i motivi sono inammissibili nella parte in cui sono diretti a criticare apprezzamenti di fatto incensurabili, contrapponendovi elementi fattuali - come quello riguardante il suo stato di disoccupazione che risulterebbe dal menzionato certificato dal quale, peraltro, risulta che aveva svolto attività lavorativa sino alla data del 14 aprile 2012, come riferito nella sentenza impugnata e nel ricorso valutati in senso diverso dalla corte di merito, la quale ha fondato il giudizio di capacità lavorativa sulla base di dati ulteriori. È plausibile, inoltre, quanto rilevato nella sentenza impugnata che ha ritenuto essere conseguenza di una scelta della stessa F. il fatto dedotto di non poter dimostrare adeguatamente i propri redditi, in quanto derivanti da lavori svolti in nero presso esercizi commerciali. I suddetti motivi sono inoltre infondati nella parte in cui la ricorrente rivendica l’inesistente diritto alla conservazione del tenore di vita matrimoniale, né a una diversa conclusione potrebbe giungersi valorizzando oltremodo la funzione anche perequativa e compensativa attribuita all’assegno divorzile dalle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, nei casi in cui - come nella specie - il coniuge richiedente l’assegno non abbia dimostrato nel giudizio di merito di non avere redditi adeguati o di non poterseli procurare per ragioni oggettive. Opinando diversamente, qualora si riconoscesse l’assegno anche all’ex coniuge che non versi nelle suddette condizioni richieste dalla legge per beneficiarne, risulterebbe negata la funzione assistenziale che, secondo la citata sentenza del 2018, deve pur sempre riconoscersi all’assegno in pari misura o in via equiordinata alle altre funzioni indicate, mentre sarebbe attuata soltanto la funzione perequativo-compensativa dell’assegno. In tal caso, tuttavia, l’imposizione patrimoniale nei confronti dell’ex coniuge non potrebbe più giustificarsi invocando il principio costituzionale di solidarietà postconiugale, che è invece a fondamento dell’istituto. Tanto premesso, il suddetto criterio perequativo - compensativo viene in rilievo nei casi in cui vi sia la prova - di cui è onerato il coniuge richiedente l’assegno, trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato - che la sperequazione reddituale in essere all’epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte comuni di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio individuale e comune, condizioni queste che, nella specie, la ricorrente non ha dimostrato né dedotto nel giudizio di merito. Il quinto motivo è inammissibile, appuntandosi su un’affermazione della Corte d’appello - circa la convivenza della F. con altra persona - non costituente ratio decidendi della sentenza impugnata, avendo la stessa Corte rilevato la mancanza di rilievo della stessa ai fini della decisione. In conclusione, il ricorso è rigettato. Sussistono le condizioni di legge per disporre la compensazione delle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa le spese. È dovuto il raddoppio del contributo, a carico della ricorrente come per legge. Non menzione dei dati in caso di diffusione dell’ordinanza.