Età, scarse competenze professionali e contesto territoriale difficile: la moglie ha diritto all’assegno divorzile

Respinto il ricorso proposto dall’ex marito. Confermato l’obbligo di versare all’ex consorte 150 euro al mese. Decisiva la constatazione che quest’ultima è priva di reddito e avrà difficoltà a procurarsi mezzi sufficienti per vivere dignitosamente. A questo proposito, vengono sottolineate l’età, la mancanza di competenze professionali e la collocazione in un contesto territoriale caratterizzato da una grave crisi del mercato del lavoro.

Età, mancanza di specializzazione professionale e difficile contesto territoriale – caratterizzato da una profonda crisi del mercato del lavoro – rendono precaria la posizione della moglie nella gestione del post divorzio. Sacrosanto, quindi, il suo diritto a percepire un assegno – seppur minimo, pari cioè a 150 euro al mese – dall’ex marito. Cassazione, ordinanza n. 10084/19, sezione VI Civile, depositata oggi . Difficoltà. Passaggio decisivo per la battaglia tra i coniugi è quello in Corte d’Appello. Lì, difatti, i Giudici ritengono evidente la debolezza della donna, che è priva di reddito non essendovi alcuna prova che ella lavori, né che percepisca una pensione o introiti da affitti vive con la madre e con il figlio avuto da un’altra relazione ha 43 anni e non risulta avere acquisito una specifica professionalità e non è neanche iscritta nelle liste di disoccupazione . In sostanza, per i giudici la donna è destinata ad incontrare grosse difficoltà, per forza di cose, nel post divorzio. Ella difatti, non solo non ha mezzi adeguati per essere economicamente indipendente , ma, allo stesso tempo, non ha, per ragioni oggettive la possibilità di procurarseli , soprattutto tenendo presenti l’età, la mancanza di specializzazione professionale e la prolungata crisi del mercato del lavoro che risulta ancora più severa nel suo contesto territoriale – la Sardegna –. Consequenziale è il diritto della donna a ricevere 150 euro al mese dall’ex marito a titolo di assegno divorzile . Cifra bassa ma connessa alla valutazione del matrimonio della coppia, durato nella sostanza appena tre anni, cioè il tempo trascorso tra il fatidico ‘sì’ e la separazione di fatto , senza dimenticare poi, aggiungono i giudici, il contributo minimo dato dalla donna alla formazione del patrimonio comune e le incompatibilità di carattere tra i coniugi che hanno portato alla separazione ufficiale, arrivata tredici anni dopo le nozze. Tali valutazioni sono condivise in toto dalla Cassazione, che, difatti, respinge il ricorso proposto dal legale dell’uomo, e ribadisce quindi il diritto dell’ex moglie, ritenuta non autosufficiente economicamente , a percepire l’assegno divorzile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 5 marzo – 10 aprile 2019, n. 10084 Presidente Genovese – Relatore Bisogni Rilevato che 1. Nel giudizio per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da An. Gi. e Ka. So. il Tribunale di Nuoro ha negato il riconoscimento in favore della So. del diritto all'assegno divorzile. 2. Sull'appello della sig.ra So. la Corte di appello di Cagliari ha disposto la corresponsione, in suo favore, di un assegno mensile di 150 Euro con la seguente motivazione. L'appellante vive con la madre e con il figlio avuto da altra relazione, la stessa è priva di reddito, non essendovi alcuna prova che la medesima lavori, né che percepisca pensione, o introiti da affitti è verosimile che essa percepisca un assegno dal padre del minore risulta avere 43 anni non risulta aver acquisito una specifica professionalità non risulta peraltro neppure iscritta nelle liste di disoccupazione. Deve quindi affermarsi contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice - che non soltanto l'appellante non ha mezzi adeguati per essere economicamente indipendente, ma - considerata l'età, la mancanza di specializzazione professionale e la prolungata crisi del mercato del lavoro, che risulta ancora più severa in Sardegna - non ha la possibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con la conseguenza che deve ritenersi sussistente la prova relativa all'an del diritto all'assegno di divorzio . Per pervenire alla quantificazione dell'assegno la Corte di appello ha considerato che il matrimonio è stato celebrato nel 1997, che i coniugi si sono separati di fatto nel 2000, che nel 2012 l'appellante ha avuto un figlio con un'altra persona, con la quale non vi è prova dell'instaurazione di una convivenza more uxorio, che il contributo dell'istante alla formazione del patrimonio comune è stato pertanto minimo, che le incompatibilità di carattere sono indicate come la ragione della separazione, richiesta nel 2008 e intervenuta nel 2010 . 3. Ricorre per cassazione contro tale decisione il sig. Gi. deducendo a nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.comma in relazione all'art. 111 comma 6 Cost. per omessa pronuncia sui motivi di cui all'appello, per mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale e/o manifesta e irriducibile contraddittorietà e/o motivazione apparente b violazione della legge n. 898 del 1970 art. 5 in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.comma per avere la Corte di appello omesso l'esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti e pertanto per aver riconosciuto il diritto dell'ex coniuge all'assegno di divorzio in assenza delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dalla richiedente c violazione della legge n. 898 del 1970 art. 5 in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.comma per omesso esame circa la sussistenza di una famiglia di fatto, circostanza decisiva per il giudizio e che è stata oggetto di discussione tra le parti, a pronuncia. I primi due motivi si riferiscono, dunque, alla mancanza di prova dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno, il terzo all'omesso esame della relazione con il padre del figlio avuto dalla So. dopo la separazione. 4. Non svolge difese la sig.ra So 5. Il ricorrente deposita memoria difensiva. Ritenuto che 6. Anche al di là della contraddittoria formulazione delle rubriche dei suoi motivi deve in ogni caso dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. 7. Lungi dal presentare una inesistenza della motivazione la decisione della Corte di appello, sia pure sinteticamente, verifica e analizza, con riferimento al caso in esame, tutti i parametri normativi e giurisprudenziali finalizzati all'accertamento del diritto all'assegno divorzile e alla sua quantificazione. Né, per altro verso, il ricorrente impugna la decisione in conformità ai requisiti richiesti dal nuovo testo dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità a partire dalla nota sentenza delle S.U. n. 8053 del 7 aprile 2014 , indicando specifici fatti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito pur a fronte di una specifica deduzione nel corso del giudizio. Ciò vale anche per la asserita instaurazione di una convivenza more uxorio e di una stabile relazione affettiva e di vita con il padre del piccolo Th., nato da una relazione di Ka. So. successiva alla separazione dal ricorrente. La Corte di appello, a tale riguardo, registra, infatti, il difetto di prova all'esito dell'istruttoria circa l'instaurazione di una convivenza more uxorio e il ricorrente non indica alcun fatto rilevante ai fini di smentire tale affermazione del giudice di appello. Tanto meno il ricorrente fornisce indicazioni sui modi e tempi della deduzione di tali fatti nel corso del giudizio di merito. 8. Per quanto riguarda la generica asserzione di violazione dell'art. 5 della legge n. 898/1970 deve rilevarsi che la motivazione della Corte di appello appare conforme sia alla invocata decisione della I sezione di questa Corte n. 11504 del 10 maggio 2017 che alla successiva pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287 dell'11 luglio 2018 in quanto ha accertato sia la condizione di non autosufficienza economica della So. sia la ricorrenza dei parametri indicati dall'art. 5 della legge divorzio come sono stati valorizzati dalle Sezioni Unite con la citata pronuncia dell'11 luglio 2018. 9. Il ricorso per cassazione va pertanto dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 2.100 Euro di cui 100 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 comma 1 bis del D.P.R. n. 115/2002.