Abbandona il tetto coniugale: nonostante l’addebito della separazione ha diritto al mantenimento per i figli

Respinte tutte le obiezioni proposte dal marito. Confermato il suo obbligo di versare alla moglie ben 2.500 euro al mese. Decisiva la valutazione delle differenti posizioni economiche solida quella dell’uomo, precaria quella della donna.

La moglie lascia il marito, va via di casa e porta con sé la prole. Inevitabile per lei l’addebito della separazione. Allo stesso tempo, però, la donna può legittimamente pretendere dall’oramai ex compagno un corposo assegno di mantenimento – 2.500 euro al mese – per i figli. Decisiva, secondo i Giudici, la valutazione della sua precaria posizione economica, testimoniata dalla perdita di un lavoro ‘in nero’ e dalla scelta obbligata di andare a vivere a casa della madre Cassazione, ordinanza n. 21272/18, sez. VI Civile, depositata oggi . Comparazione. Vittoria agrodolce per l’uomo. Egli ha sì visto riconosciute le colpe della moglie, che, secondo i Giudici, col proprio comportamento ha portato alla separazione coniugale , ma allo stesso tempo si è ritrovato a dover ottemperare all’obbligo di versarle un assegno per il mantenimento dei figli . Su quest’ultimo fronte, in particolare, la cifra stabilita in Tribunale, cioè 1.500 euro al mese, è stata portata a 2.500 euro al mese in Corte d’Appello. Inevitabili le proteste dell’uomo, che col ricorso in Cassazione punta a mettere in discussione almeno il quantum della somma da versare per i figli. Ogni obiezione si rivela però inutile. Centrale è difatti, secondo i Giudici, la comparazione delle situazioni economiche dei due coniugi. Da un lato è emersa la florida situazione dell’uomo, che, sempre secondo i Giudici, ha parzialmente occultato le proprie disponibilità, non producendo le ultime dichiarazioni dei redditi e sottostimando i redditi dell’azienda familiare , mentre, dall’altro lato, sono parse evidenti le difficoltà affrontate dalla donna. Ella, in particolare, ha raccontato di avere perso l’unica fonte di reddito che derivava dall’attività svolta ‘in nero’ in favore del marito e ha spiegato di essere attualmente costretta a vivere nell’angusta abitazione della madre, insieme ai figli , che, invece, hanno la legittima aspirazione di conservare, almeno tendenzialmente, il tenore di vita goduto prima della separazione tra i genitori e di disporre di una casa adeguata in cui risiedere insieme alla madre , casa che, osserva la donna, richiederebbe il pagamento di un canone di locazione indicativamente quantificato in 1.500 euro mensili . Impossibile, quindi, mettere in discussione l’obbligo a carico dell’uomo, concludono i Giudici della Cassazione, proprio tenendo presenti il tenore di vita dei figli, precedentemente alla separazione dei genitori e le disponibilità economiche dei coniugi .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 8 febbraio – 28 agosto 2018, n. 21272 Presidente Scaldaferri – Relatore Bisogni Fatto e Diritto Rilevato che Il Tribunale di Napoli ha dichiarato la separazione dei coniugi D.L. e N.Z. con addebito alla L., per abbandono, insieme ai due figli, della casa familiare e ha imposto, a carico del sig. N.Z. un assegno per il mantenimento dei figli pari a 1.000 euro mensili. La Corte di appello, confermando nel resto la decisione di primo grado ha elevato la misura di tale assegno sino a 2.500 euro mensili. 2. Ricorre per cassazione Z. affidandosi a quattro motivi di impugnazione a omessa pronuncia su una eccezione determinante ai fini della decisione. Violazione dell’art. 112 c.p.c. alla luce dell’art. 360 n. 4 c.p.c. b omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 342 c.p.c. c violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. d violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c. in combinato disposto con gli artt. 155 c.c. prima della riforma di cui all’art. 5 del decreto legislativo n. 154 del 28 dicembre 2013 e altrimenti in combinato disposto con l’art. 377 ter c.c. e violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. 3. Si difende con controricorso D.L Ritenuto che 4. Con i primi tre motivi il ricorrente lamenta che la Corte di appello non ha pronunciato o comunque non ha di fatto esaminato e, in ogni caso, ha erroneamente deciso sulla sua eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. 5. I motivi sono infondati. La Corte di appello ha esplicitamente respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’appellato e ha motivato tale rigetto in relazione alla specifica e chiara indicazione delle parti contestate della motivazione della decisione di primo grado e delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto nonché in relazione alle circostanze rilevanti da cui secondo l’appellante deriva la violazione di legge dedotta con riferimento ai capi della sentenza di primo grado impugnati. Dalla stessa lettura delle conclusioni dell’atto di appello, riportate nella parte espositiva della motivazione, risulta la correttezza di tale valutazione perché emerge chiaramente che la L. ha impugnato la sentenza di primo grado ritenendola non conforme ai parametri normativi e giurisprudenziali in materia di determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli e sotto il profilo fattuale ha messo in rilievo che ella ha perso la unica fonte di reddito che derivava dall’attività svolta, in nero”, in favore del marito, che è attualmente costretta a vivere nella angusta abitazione della madre insieme ai figli e che questi ultimi hanno la legittima aspirazione di conservare, almeno tendenzialmente, il tenore di vita goduto prima della separazione, quanto meno potendo disporre di una abitazione adeguata in cui risiedere insieme alla madre e per la quale si rende necessario il pagamento di un canone di locazione indicativamente quantificato in 1.500 euro mensili. Va pertanto escluso che la Corte di appello abbia omesso l’esame di fatti decisivi, peraltro non indicati dal ricorrente, ovvero che abbia reso una motivazione apparente o violato o falsamente applicato le disposizioni dell’art. 112 e 342 c.p.c. 6. Con il quarto motivo N.Z. deduce violazione di legge quanto alla decisione di elevare l’ammontare dell’assegno perché in violazione delle norme sull’assegno di mantenimento dei figli e sulla prova. Rileva in particolare di aver costituito una nuova famiglia e di essere padre di due figli avuti dalla sua attuale partner. Contesta le argomentazioni della Corte di appello sulla disponibilità di una florida situazione economica e patrimoniale, che secondo la Corte territoriale sarebbe stata parzialmente occultata dall’odierno ricorrente, che non ha prodotto le ultime dichiarazioni dei redditi e ha dimostrato di sottostimare i redditi dell’azienda familiare, nonché sulla insufficienza dell’assegno di mantenimento dei figli così come determinato in primo grado. 7. Il motivo è inammissibile perché, nonostante sia formulato con la prospettazione di violazioni e false applicazioni di norme di legge, che sono rimaste del tutto generiche e non motivate, consiste in realtà in una contestazione delle valutazioni di merito compiute dalla Corte di appello secondo un iter motivazionale coerente e basato sulla ricostruzione del tenore di vita dei figli precedentemente alla separazione e sulla ricostruzione delle disponibilità economiche dei coniugi. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi euro 4.100, di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 comma 1 bis del D.P.R. n. 115/2002.