Il bagaglio professionale inchioda il marito: nessun mantenimento dall’ex consorte

Il marito definitavamente non ottiene il mantenimento richiesto. Decisiva la constatazione che egli può svolgere attività lavorativa, sfruttando la propria esperienza nel campo delle investigazioni private.

Esperienze professionali e capacità lavorativa accertate. Respinta perciò la richiesta del marito di vedere obbligata l’ex moglie a versargli l’assegno di mantenimento Cassazione, ordinanza n. 15166, sez. VI Civile - 1, depositata oggi . Esperienza professionale da valutare. Scoppiata definitivamente la coppia, tra moglie e marito restano solo da sciogliere i nodi relativi ai rapporti economici. Questa volta, però, è l’uomo a sostenere di essere in posizione di debolezza e a chiedere, di conseguenza, il mantenimento . La domanda viene accolta in Tribunale, ma di parere opposto sono invece i giudici della Corte d’appello, che escludono categoricamente l’ipotetico diritto del marito all’assegno di mantenimento . Decisiva è la constatazione della sua possibilità di svolgere un’attività lavorativa e di ottenere quindi un reddito adeguato. E su questo punto concordano anche i giudici della Cassazione, ritenendo corretta la valutazione compiuta in Appello, valutazione centrata sul fatto che l’uomo vanta un’esperienza pluriennale nel campo delle investigazioni private , esperienza sicuramente spendibile, secondo i magistrati, nel mercato del lavoro.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 aprile – 11 giugno 2018, n. 15166 Presidente Scaldaferri – Relatore Sambito Fatti di causa La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 24.6.2016, in parziale riforma della pronuncia di separazione personale dei coniugi Is. Am. ed An. Ri., ha escluso che il marito avesse diritto all'assegno di mantenimento e lo ha condannato al pagamento dei due terzi delle spese di lite, compensando il residuo terzo. Per la cassazione della sentenza, il Ri. propone ricorso con due mezzi, lamentando a violazione e falsa applicazione degli artt. 143, 156, 2697 c.comma 101, 112, 115, 116, 183, 342, 345 e 346 c.p.c b violazione dell'art 13, co 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, nella liquidazione delle spese. Is. Am. resiste con controricorso. Ragioni della decisione 1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata. 2. L'eccezione d'inammissibilità del primo motivo, per essere l'assegno stato revocato con i provvedimenti adottati in seno all'ordinanza presidenziale emessa nel giudizio di divorzio, è, a sua volta, inammissibile perché assolutamente generica. 3. Il motivo è, tuttavia, infondato. 4. Come riconosce lo stesso ricorrente pag. 6, lett. c , il capo relativo al riconoscimento dell'assegno di mantenimento in suo favore è stato censurato con l'appello proposto ex adverso, talché la dedotta ultrapetizione non è ravvisabile. La statuizione, poi, secondo cui il ricorrente non ha diritto all'assegno di mantenimento si fonda sulla ritenuta sua possibilità di svolgere attività lavorativa, per avere esperienza pluriennale nel capo delle investigazioni private, e tale valutazione di fatto è incensurabile in questa sede di legittimità ed è idonea, già da sola, a sorreggere la conclusione restando, perciò, assorbite le critiche volte a contestare gli argomenti relativi all'apporto solidaristico del suo nuovo nucleo con la nascita di una figlia la cui costituzione risulta desunta dalla certificazione anagrafica di residenza e da affermazioni svolte dell'appellato nella memoria di replica , che sono svolti a supporto della fondatezza della tesi della donna. 5. Resta da aggiungere che la circostanza secondo cui la moglie non abbia formulato contestazioni circa la capacità lavorativa del coniuge è smentita da quanto riportato a pag. 6 del ricorso, laddove il richiamo agli artt. 346 e 710 c.p.comma è del tutto fuori luogo, poiché, rispettivamente a la Am. ha, come si è detto, proposto direttamente appello sul capo in esame b l'apprezzamento dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in sede di suo accertamento ed eventualmente la sua graduazione nel tempo costituisce prerogativa del giudice del merito e non soggiace alla necessità di deduzione di fatti sopravvenuti che ne consentono la revisione come, del resto, riconosce lo stesso ricorrente a pag. 24 . 6. Il secondo motivo è inammissibile. Premesso che la condanna al pagamento del doppio contributo di cui all'art. 13 co 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 non è collegata al regolamento delle spese ma costituisce un'obbligazione ex lege che -nelle materie o per i procedimenti assoggettati a contributo unificato consegue al rigetto integrale o alla definizione in rito quale automatica conseguenza sfavorevole dell'azionamento del diritto di impugnare, si ritiene di dover dare seguito a quella giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 22867 del 2016 e 5955 del 2014 che, a differenza di altra Cass. n. 13935 del 2017 n. 23281 del 2017 , reputa tale statuizione insuscettibile di esser impugnata con ricorso per cassazione, per l'assorbente ragione, che pare al Collegio dirimente, secondo cui, trattandosi di un'obbligazione tributaria, il credito della relativa somma e la titolarità del procedimento per la relativa riscossione spetta all'Erario, che non è parte in causa, mentre la controparte del giudizio di merito è ad essa del tutto indifferente. 7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 2.400,00, di cui Euro 100,00, per spese, oltre accessori. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma I-bis. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.