Ex moglie disoccupata e senza redditi: assegno minimo

Respinte tutte le osservazioni proposte dall’ex moglie ella continuerà a percepire solo 200 euro al mese dall’ex marito. Le precarie condizioni da lei lamentate vanno valutate, secondo i Giudici, alla luce della sua autosufficienza economica, e non con riferimento al tenore di vita matrimoniale.

Disoccupata e senza una qualifica professionale da spendere nel mercato del lavoro. Difficile la posizione della moglie, che, una volta ufficializzato il divorzio dall’oramai ex marito, si ritrova senza redditi e, quindi, impossibilitata a conservare il tenore di vita matrimoniale. Tutti questi elementi non sono però sufficienti per convincere i Giudici del ‘Palazzaccio’ a rivedere la decisione pronunciata in Corte d’Appello, decisione con cui alla donna è stato riconosciuto un assegno divorzile di soli 200 euro mensili Cassazione, ordinanza n. 14231/18, sez. VI Civile, depositata oggi . Disparità. Nodo centrale nella vicenda è la cifra che i Giudici hanno stabilito come assegno divorzile in favore della donna. Su questo punto hanno concordato Tribunale e Corte d’Appello sono sufficienti 200 euro al mese. Soddisfatto, ovviamente, il marito. Perplessa, invece, la moglie, che sceglie di portare la battaglia legale in Cassazione, ponendo all’attenzione dei Giudici del ‘Palazzaccio’ le proprie precarie condizioni economiche. Più nello specifico, la ricorrente, tramite il proprio legale, spiega che non è in grado di mantenere autonomamente il tenore di vita precedente alla rottura coniugale, poiché ella è disoccupata e sfornita di redditi, in quanto priva di una qualificazione professionale e non ha a disposizione una propria abitazione, per effetto della vendita della casa coniugale da parte del marito . Secondo la donna è evidente la disparità sul fronte economico tra lei e il marito. Questa considerazione non è considerata però rilevante dai Giudici della Cassazione, i quali confermano il diritto della moglie a percepire dall’ex marito un assegno mensile di 200 euro. Ciò perché l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione della donna va valutata esclusivamente con riferimento alla sua indipendenza o autosufficienza economica , spiegano i Magistrati, e non certo alla luce del tenore di vita matrimoniale .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 19 aprile – 4 giugno 2018, n. 14231 Presidente Scaldaferri – Relatore Mercolino Fatto e diritto Rilevato che An. Br. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, illustrati anche con memoria, avverso la sentenza del 3 maggio 2016, con cui la Corte d'appello di Salerno ha rigettato il gravame da lei interposto avverso la sentenza emessa il 30 luglio 2014, con cui il Tribunale di Salerno, nel dichiarare cessati gli effetti civili del matrimonio contratto dalla ricorrente con Ni. Ca., aveva posto a carico di quest'ultimo l'obbligo di corrispondere un assegno divorzile di Euro 200,00 mensili che il Ca. ha resistito con controricorso che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, che la motivazione dell'ordinanza sia redatta in forma semplificata. Considerato che con il primo motivo d'impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5 della legge 1. dicembre 1970, n. 898, sostenendo che, nel procedere alla valutazione delle condizioni economiche delle parti, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della disparità delle rispettive posizioni, non avendo considerato che, a seguito della separazione, essa ricorrente non è in grado di mantenere autonomamente il tenore di vita pregresso, essendo disoccupata e sfornita di redditi, in quanto priva di una qualificazione professionale, non disponendo di una propria abitazione, per effetto della vendita della casa coniugale da parte del Ga., e avendo dovuto per tale motivo trasferirsi da Torino ad Altavilla Silentina SA che, nella parte in cui invoca il tenore di vita pregresso, quale parametro di riferimento per la commisurazione dell'assegno divorzile, la censura è infondata, avuto riguardo al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, al cui accertamento l’art. 5 della legge n. 898 del 1970 subordina il riconoscimento del contributo in questione, dev'essere valutata con esclusivo riferimento all'indipendenza o autosufficienza economica dello stesso cfr. Cass., Sez. VI, 9/10/2017, n. 23602 Cass., Sez. I, 10/05/2017, n. 11504 che, anche a voler ritenere che, attraverso l'allegazione del proprio stato di disoccupazione e dell'indisponibilità di redditi propri e di un'abitazione, la ricorrente abbia inteso fare riferimento a tale diverso parametro, la censura non può trovare ingresso in questa sede, risolvendosi nel richiamo ad elementi già presi in considerazione dalla sentenza impugnata, e quindi nella sollecitazione di un nuovo apprezzamento dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione impugnata cfr. Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547 16/12/2011, n. 27197 Cass., Sez. lav., 19/03/2009, n. 6694 che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 216, 244, 345 e 346 cod. proc. civ. e dell'art. 24 Cost., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto inammissibile la prova testimoniale da lei articolata nella memoria di cui all'art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., in quanto non riproposta all'udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, senza considerare che essa ricorrente si era riportata a tutti gli atti di causa, nonché per aver reputato generici i relativi capitoli, aventi ad oggetto fatti e non già valutazioni che, nella parte concernente la riproposizione in appello dell'istanza di ammissione della prova testimoniale rigettata in primo grado, il motivo è infondato, essendosi la Corte di merito correttamente conformata al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di rigetto delle richieste istruttorie formulate nel corso del giudizio di primo grado, la parte che intenda insistere per la loro ammissione ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, dovendo altrimenti le stesse intendersi rinunciate, e non potendo essere quindi riproposte in sede di gravame cfr. Cass., Sez. III, 4/08/2016, n. 16290 14/10/ 2008, n. 25157 che, nell'enunciare il predetto principio, questa Corte ha precisato che il predetto onere non può ritenersi assolto mediante il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la sua funzione, consistente nel delineare con precisione il thema sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle sole richieste istruttorie e di merito definitivamente proposte cfr. Cass., Sez. III, 3/08/2017, n. 19352 che resta conseguentemente assorbita la censura riguardante la genericità dei capi di prova articolati in primo grado che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.