Per decidere sul collocamento del minore si deve tener conto di quale sia la residenza maggiormente corrispondente al suo interesse

La tutela del diritto fondamentale di sorellanza e fratellanza impone che, in caso di separazione dei genitori, i fratelli e le sorelle debbano essere collocati presso il medesimo genitore, salvo che emerga la contrarietà in concreto di tale collocamento al loro interesse.

Sul tema l’ordinanza n. 12957/18, depositata il 24 maggio. Il caso. In un giudizio di separazione instaurato, il Tribunale di Roma respingeva le rispettive domande di addebito dei due coniugi e disponeva l’affidamento della figlia minorenne della coppia ai Servizi sociali, stabilendo la sua residenza prevalente presso il padre e prevedendo una regolamentazione delle frequentazioni con la madre, tenuta, peraltro, a versare un contributo mensile per il mantenimento della figlia, oltre al 50% delle spese straordinarie. Il giudice di primo grado invitava i coniugi a tenere un comportamento di maggiore cooperazione nell’interesse della minore. In grado di appello, dinanzi alla Corte di Appello di Roma, entrambi i coniugi insistevano per l’accoglimento delle rispettive domande di addebito della separazione. La madre, inoltre, chiedeva che fosse disposto l’affidamento condiviso della figlia, con fissazione della sua residenza principale presso di lei, con obbligo del padre di versare un assegno di mantenimento per la figlia, nonché la revoca della sanzione disposta ex art. 709 ter c.p.c. in primo grado. Il padre, dal canto suo, chiedeva che fosse aumentato l’importo del mantenimento della figlia posto dal giudice di primo grado a carico della madre. Chiedeva, inoltre, che la donna restituisse quanto le era stato corrisposto durante il giudizio di primo grado a titolo di assegno di mantenimento, poi revocato. La Corte territoriale, nel 2016, si pronunciava accogliendo quest’ultima domanda dell’uomo di restituzione degli importi versati alla donna e respingeva la domanda della donna di revoca della sanzione disposta ex art. 709 ter c.p.c Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma la donna proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di sette motivi. L’uomo resistenza in giudizio con controricorso. Interesse del minore. La donna lamentava, col primo motivo, che non fosse stata nominata alla minore data l’elevata conflittualità tra i genitori un curatore speciale. Con i motivi dal secondo al sesto si doleva del fatto che la minore non fosse stata ascoltata dal giudice, il quale, non aveva considerato la volontà espressa dalla stessa di abitare con la madre e la sorella. Il consulente tecnico aveva ritenuto la donna come il genitore maggiormente idoneo alla cura della minore e più attenta ai suoi bisogni e aveva riscontrato un peggioramento delle condizioni della bambina, sostenendo, quindi, la necessità di un tempestivo supporto psicologico alla minore, al fine di scongiurare possibili conseguenze depressive legate alla separazione forzata dalla madre e dalla sorella. Infine, col settimo motivo, contestava la condanna alla restituzione delle somme da lei percepite a titolo di assegno di mantenimento, in base a provvedimenti presidenziali poi revocati nel corso del giudizio di primo grado. I Supremi Giudici, con riferimento al primo motivo, affermano che in caso di separazione, pur sussistendo una elevata conflittualità dei genitori, non esiste automaticamente una situazione di conflitto di interessi tra genitori e figli. Tale situazione si determina piuttosto quando il comportamento delle parti tende ad impedire al giudice una adeguata valutazione dell’interesse del minore. Secondo la Corte quella sottoposta al suo esame è una situazione di conflitto di interesse che richiede la nomina di un curatore speciale al minore ma la cui individuazione compete al giudice del merito. Con riferimento ai motivi dal secondo al sesto – ritenuti fondati i Giudici di piazza Cavour affermano che in tema di separazione personale tra coniugi, l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, di un consulente o del personale dei servizi sociali costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore. Quindi il giudice deve motivare le ragioni per le quali ritiene che il minore infradodicenne non sia capace di discernimento se decide di non disporre l’ascolto e, per quale motivo, ritiene, invece, un ascolto effettuato durante le indagini peritali idoneo a sostituire un ascolto diretto o demandato a un esperto. Nel caso in esame era emersa la chiara ed espressa volontà della minore di vivere con la madre e la sorella, con la quale esiste un rapporto affettivo rilevante e di reciproco sostegno. Il consulente tecnico, infatti, aveva ritenuto il legame con la sorella il maggiore riferimento affettivo e stabilizzante per la bambina. Pertanto, ad avviso dei Supremi giudici, il punto di vista del minore infradodicenne nelle decisioni che lo riguardano ha un valore estremamente rilevante e ci si può esimere dall’ascolto soltanto qualora, alla luce di una rigorosa verifica, esso risulti contrario all’interesse dello stesso. La decisione sul collocamento della bambina quindi va cassata per consentire alla Corte d’Appello di verificare nuovamente quale sia la residenza più corrispondente ai suoi interessi, partendo dal suo ascolto ed esaminando, poi, il contesto dei due nuclei familiari, l’idoneità genitoriale e l’esigenza di conservare il forte legame di sorellanza. Con riguardo, infine, al settimo e ultimo motivo la Corte stabilisce che, in tema di separazione personale, la riduzione e la revoca dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge e dei figli decorre normalmente dal momento della pronuncia giudiziale che ne modifica la misura o ne accerta l’inesistenza dei presupposti. Non sono, quindi, rimborsabili le somme percepite in forza di precedenti provvedimenti non definitivi, qualora, per la loro non elevata entità, tali somme siano state comunque destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino all'eventuale esclusione del diritto stesso o al suo affievolimento in un obbligo di natura solo alimentare, e si debba presumere, proprio in virtù della modestia del loro importo, che le stesse siano state consumate per fini di sostentamento personale. I Giudici della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, accolgono il ricorso e cassano la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 27 ottobre 2017 – 24 maggio 2018, n. 12957 Presidente/Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Tribunale di Roma, nel giudizio di separazione fra i coniugi S.F. e Su.Vi. ha emesso sentenza n. 20755/2013 con la quale ha respinto le reciproche domande di addebito, ha affidato la figlia E.S. , nata il omissis ai servizi sociali, ha disposto la sua residenza prevalente presso il padre regolando la frequentazione con la madre e ponendo a carico di quest’ultima un contributo mensile al mantenimento della figlia di 300 Euro oltre al 50% delle spese straordinarie. Il Tribunale ha inoltre condannato la S. ex art. 709 ter c.p.c. al pagamento di 1.000 Euro in favore della Cassa Ammende e ha ammonito i genitori a tenere comportamenti di maggiore cooperazione nell’interesse della minore. 2. La sentenza è stata appellata da entrambi i coniugi che hanno insistito nelle reciproche domande di addebito della separazione. La S. ha chiesto che fosse disposto l’affidamento condiviso della figlia con fissazione della sua residenza principale presso di sé e imposizione al Su. di un contributo mensile al mantenimento della figlia, pari a 1.000 Euro oltre al 50% delle spese straordinarie. Ha chiesto infine la revoca della sanzione irrogata ex art. 709 ter c.p.c Il Su. ha chiesto l’elevazione a 580 Euro del contributo mensile al mantenimento della figlia a carico della S. e la sua condanna alla restituzione di quanto corrisposto durante il giudizio di primo grado a titolo di assegno di mantenimento poi revocato. Ha proposto domanda di condanna della controparte ai sensi dell’art. 96 c.p.c 3. La Corte di appello di Roma ha accolto la domanda del Su. di condanna della S. alla restituzione della somma di 6.000 Euro, percepita, a titolo di assegno di mantenimento, nel corso del giudizio di primo grado. Ha respinto le domande proposte, nel corso del giudizio di appello, dalla S. ex art. 709 ter c.p.c. e 330 c.c. e la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dal Su. . Ha compensato le spese del giudizio di appello. 4. Ricorre per cassazione S.F. che, con sette motivi di impugnazione, lamenta la mancata nomina di un curatore speciale della minore in presenza di un rilevante conflitto tra i genitori primo motivo , la mancata audizione della minore da parte del giudice e la non considerazione della volontà da lei espressa di abitare con la madre e la sorella, volontà valorizzata dal consulente tecnico che ha ritenuto la madre il genitore più attento ai bisogni della figlia e ha riscontrato un deciso peggioramento delle condizioni della minore che impongono urgentemente un intervento psicoterapeutico per contrastare la tendenza alla depressione come conseguenza della separazione dalla madre e dalla sorella motivi dal secondo al sesto . Infine la ricorrente, con il settimo motivo, censura la condanna alla ripetizione della somma di 6.000 Euro perché contraria ai principi giurisprudenziali in tema di ripetibilità delle somme percepite a titolo di assegno di mantenimento, in base a provvedimenti presidenziali revocati nel successivo corso del giudizio. In questa prospettiva ha evidenziato la modestia dell’importo dell’assegno di mantenimento di 400 Euro mensili percepito dal giugno 2007 all’agosto 2008 sino a quando non ha avuto una occupazione lavorativa stabile. 5. Si difende con controricorso Su.Vi. . 6. Le parti depositano memorie difensive. 7. Il Procuratore Generale ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte di appello e la pronuncia del seguente principio di diritto la tutela del diritto fondamentale di sorellanza e fratellanza impone che, in caso di separazione dei genitori, i fratelli e le sorelle debbano essere collocati presso il medesimo genitore, salvo che emerga la contrarietà in concreto di tale collocamento al loro interesse . Ritenuto che 8. Devono essere esaminati preventivamente e unitariamente i motivi dal secondo al sesto che si rivelano fondati. Ritiene la giurisprudenza di legittimità che nel giudizio di separazione personale tra coniugi, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento - direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, da parte di un consulente o del personale dei servizi sociali - costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore Cass. civ. sez. I n. 19327 del 29 settembre 2015 . Tuttavia l’ascolto del minore è cosa diversa dallo svolgimento di una consulenza tecnica volta a fornire al giudice strumenti di valutazione per individuare quale sia la situazione più confacente all’interesse del minore, per ciò che concerne la decisione che dovrà adottare circa la convivenza con l’uno o l’altro genitore. L’ascolto è infatti una relazione tendenzialmente diretta fra il giudice e il minore che dà spazio, all’interno del processo, alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda. La consulenza, se pure si avvale preferibilmente di un ascolto diretto del minore da parte di uno specialista, è una indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali in primo luogo la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio. Ciò comporta che il giudice deve motivare le ragioni per cui ritiene il minore infradodicenne incapace di discernimento, se decide di non disporne l’ascolto, così come deve motivare perché ritiene l’ascolto effettuato nel corso delle indagini peritali idoneo a sostituire un ascolto diretto ovvero un ascolto demandato a un esperto al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di un incarico peritale. Tale motivazione appare, in generale, tanto più necessaria quanto più l’età del minore, come nel caso in esame, si approssima a quella dei dodici anni oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto. È vero inoltre che il giudice non è tenuto a recepire, nei suoi provvedimenti, le dichiarazioni di volontà che emergono dall’ascolto del minore così come non è tenuto a recepire le conclusioni dell’indagine peritale. Tuttavia qualora il giudice intende disattendere tali dichiarazioni e tali conclusioni ha l’obbligo di motivare la sua decisione con particolare rigore e pertinenza. Nel caso in esame vi è stata una chiara volontà espressa dalla figlia di convivere con la madre e con la sorella con la quale ha un rapporto affettivo importante e di reciproco sostegno. Tale volontà è stata apprezzata dal consulente che ha ritenuto il legame con la sorella il maggior riferimento affettivo e stabilizzante per E.S. , sulla base di una valutazione psicologica che si aggiunge alla condivisibile considerazione generale del PG circa la necessità di preservare nelle separazioni la conservazione del rapporto fra fratelli e sorelle e di non adottare provvedimenti di affidamento che comportino la loro separazione se non per ragioni ineludibili e, comunque, sulla base di una motivazione rigorosa che evidenzi il contrario interesse del minore alla convivenza. In questa prospettiva, sia normativa che trova la sua fonte nel quadro legislativo nazionale e nelle convenzioni internazionali specificamente nell’art. 8 della C.E.D.U. sia riferibile a un sapere extragiuridico, quale è quello di cui si è avvalsa, nel caso in esame, la Corte di appello, mediante la consulenza, la prescrizione normativa dell’ascolto del minore richiede una valorizzazione sostanziale del punto di vista del minore ai fini della decisione che lo concerne. Si impone in questi casi pertanto una rigorosa verifica della contrarietà al suo interesse, come condizione necessaria per disattenderle, delle valutazioni e aspirazioni espresse dal minore nel corso dell’ascolto. I risultati, che peraltro sono ampiamente riportati nella motivazione della Corte di appello, dell’indagine sulle carenze genitoriali di entrambi i genitori e sulla attuale situazione gravemente insoddisfacente della minore, non consentono di ritenere che tale verifica sia stata compiuta. La conflittualità delle parti in causa non può costituire, di per sé, una giustificazione idonea a far ritenere prevalente l’interesse del minore al mantenimento dello status quo. La decisione sul collocamento di E.S. va pertanto cassata per consentire alla Corte di appello una nuova verifica su quale sia la residenza della minore, presso il padre o la madre, maggiormente corrispondente al suo interesse. Verifica che, partendo dall’ascolto della minore, prenda in esame il contesto dei due nuclei familiari, l’idoneità genitoriale e la esigenza primaria della conservazione del legame e della condivisione di vita con la sorella. 9. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso la Corte ritiene che il giudizio di separazione, nel quale vengono adottati provvedimenti che concernono il minore, non determina automaticamente, nel caso di rilevante conflittualità fra le parti in causa, una situazione di conflitto di interesse fra genitori e figli. Deve piuttosto ritenersi che essa può determinarsi in concreto in relazione a comportamenti processuali delle parti che tendano a impedire al giudice una adeguata valutazione dell’interesse del minore ovvero a frapporsi alla libera prospettazione del punto di vista del minore in sede di ascolto da parte del giudice. Si tratta, in questi casi, di una situazione di conflitto che richiede la nomina di un curatore speciale ma la cui individuazione è rimessa alla valutazione del giudice di merito. 10. Quanto all’ultimo motivo di ricorso la Corte rileva che alla luce della giurisprudenza, anche recente, di legittimità, in tema di separazione personale, la riduzione e la revoca dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge e dei figli decorre normalmente dal momento della pronuncia giudiziale che ne modifica la misura o ne accerta l’inesistenza dei presupposti. Non sono quindi rimborsabili le somme percepite in forza di precedenti provvedimenti non definitivi, qualora, per la loro non elevata entità, tali somme siano state comunque destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino all’eventuale esclusione del diritto stesso o al suo affievolimento in un obbligo di natura solo alimentare, e si debba presumere, proprio in virtù della modestia del loro importo, che le stesse siano state consumate per fini di sostentamento personale cfr. fra le molte, Cass. civ. sez. I n. 6864 del 20 marzo 2009 che ha escluso la ripetibilità di un assegno di mantenimento di 350 Euro mensili e Cass. civ. sez. VI-1 n. 15186 del 20 luglio 2015 . 11. Il ricorso va pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Roma che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti.