I presupposti del diritto di prelazione nella comunione ereditaria e i limiti dell’azione di riscatto

Il diritto di prelazione sui beni oggetto di comunione ereditaria comporta una manifesta deroga alla libera disponibilità del diritto di proprietà . Per questi motivi è esclusa l’applicabilità del riscatto successorio quando vi è solo la comunione ordinaria che si può creare tra gli interessati dopo la divisione per la congiunta attribuzione di un bene.

Lo ha ribadito la Cassazione con ordinanza n. 12504/18, depositata il 21 maggio. Il caso. Il Tribunale rigettava la domanda dell’attrice volta ad ottenere il diritto di prelazione con la conseguente declaratoria di inefficacia del contratto di vendita con il quale la convenuta, sorella dell’istante, aveva venduto a terzi la quota indivisa dei beni immobiliari ricevuti in eredità, senza alcuna comunicazione. La Corte territoriale, adita in secondo grado, rilevava che il Tribunale aveva rigettato la domanda in quanto l’eredità materna era già stata oggetto di altro Giudice, il quale con sentenza aveva sciolto definitivamente la comunione ereditaria. L’appellante chiedeva, invece, che il riscatto sussistesse in relazione all’eredità paterna, in quanto il padre era deceduto nelle more del giudizio del primo Giudice adito. Ciò premesso la Corte d’Appello aveva ritenuto inammissibile il gravame in quanto vi era stata una mutatio libelli in appello. Contro la decisione di merito la soccombente ha proposto ricorso in Cassazione deducendo con un unico motivo violazione degli artt. 732 Diritto di prelazione e 345 c.c. Denunzie al giudice tutelare . Finalità del diritto di prelazione e deroga al diritto di proprietà. In particolare, secondo il ricorrente, il padre era deceduto nel corso del primo giudizio e la quota di eredità materna era stata a lui devoluta. Per questo motivo, secondo la ricorrente, la domanda di retratto successorio in relazione all’eredità paterna, proposta in appello, non doveva essere considerata nuova, quanto meno in relazione alle quote trasferite riconducibili all’eredità paterna . Ricorda la Cassazione che il diritto di prelazione e di riscatto, ai sensi dell’art. 732 c.c., hanno lo scopo di evitare un ingresso estraneo alla comunione ereditaria e, per questo motivo, si prevede che il coerede che decida di alienare la sua quota ad un terzo deve comunicarlo agli altri coeredi indicandone il prezzo, in modo che quest’ultimi possano, entro 60 giorni, esercitare il dritto di prelazione. In caso di mancanza di comunicazione gli altri coeredi hanno diritto al riscatto della quota dall’acquirente, tale diritto può essere esercitato solo finché dura lo stato di comunione ereditaria e cessa con la divisione. Da ciò consegue, continua la Suprema Corte, che la disposizione dell’art. 732 c.c. opera, quindi, solo tra coeredi comproprietari in virtù di un’unica successione, attesa, che non può trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti . Infatti la giurisprudenza di legittimità ha più volte escluso l’applicabilità del retratto successorio anche nell’ipotesi di comunione ordinaria fra alcuni condividenti creatasi a seguito della divisione per la congiunta attribuzione ad esse di un bene . Nuovo tema di indagine, azioni distinte. Nella fattispecie in esame, secondo la Cassazione, la Corte territoriale ha correttamente applicato questi principi rilevando che lo scioglimento delle comunione ereditaria abbia determinato il venir meno del diritto di prelazione. Del tutto irrilevante è il fatto che il padre sia deceduto nel corso del giudizio e che abbia acquisito una quota dell’eredità paterna. Infatti, secondo i Giudici di legittimità, l’eredità paterna è oggetto di un’altra successione e, quindi, correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto inammissibile la domanda. In particolare, conclude il Suprema Collegio, l’azione di riscatto proposta in primo grado aveva come presupposto la vendita di una quota dell’eredità materna, invece, l’azione promossa in appella aveva oggetto i beni di eredità paterna. Per tutti questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato parte ricorrente alle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 18 gennaio – 21 maggio 2018, n. 12504 Presidente Manna – Relatore Giannaccari Fatto B.d.R.O.A. citava in giudizio innanzi al Tribunale di Rovereto M.M.P. , B.d.R.A. e la CRS Immobiliare s.r.l. deducendo che la sorella Adelaide aveva venduto a M.M.P. , in data 7.6.2004, la quota indivisa di beni immobiliari ricevuti in eredità senza aver effettuato alcuna comunicazione nei suoi confronti, per consentirle di esercitare il diritto di prelazione. Detti beni erano stati successivamente trasferiti in data 18.1.2011 da M.M.P. alla CRS Immobiliare s.r.l. Chiedeva pertanto accertarsi il suo diritto di prelazione con conseguente declaratoria di inefficacia dei contratti di vendita. M.M.P. e la CRS Immobiliare resistevano alla domanda. Il Tribunale di Rovereto rigettava la domanda e la decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Trento. La corte territoriale rilevava che B.d.R.O.A. aveva fondato la domanda di retratto successorio sul presupposto che i beni venduti facessero parte dell’eredità materna, a seguito di precisazione effettuata all’udienza ex articolo 183 comma VI. Rigettata la domanda da parte del Tribunale perché l’eredità della madre D.M.G. era stata oggetto di altro giudizio innanzi al Tribunale di Milano, che aveva definitivamente sciolto la comunione ereditaria con sentenza N. 13812/96, B.d.R.O.A. chiedeva in appello che il riscatto sussistesse in relazione alla eredità paterna, posto che il padre era deceduto nelle more del giudizio innanzi al Tribunale di Milano. La corte territoriale aveva ritenuto inammissibile la domanda, ritenendo che la comunione ereditaria relativa all’asse ereditario della madre era stata sciolta e, quanto all’eredità paterna, vi era stata una inammissibile mutatio libelli in appello. Per la cassazione della sentenza ricorre B.d.R.O.A. con un unico motivo di ricorso resistono con controricorso M.M.P. e la CRS Immobiliare. In prossimità dell’udienza B.d.R.O.A. e M.M.P. hanno depositato memorie illustrative. Motivi della decisione Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente si duole della violazione dell’articolo 732 c.c. e dell’articolo 345 c.c. per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibile la domanda di retratto successorio relativa all’eredità paterna in quanto in primo grado la domanda aveva per oggetto l’eredità materna. Deduce la ricorrente che il padre era deceduto nel corso del giudizio innanzi al Tribunale di Milano e la quota di eredità della madre era stata a lui devoluta conseguentemente la domanda di retratto successorio in relazione all’eredità paterna, proposta in appello, non doveva essere considerata domanda nuova, quanto meno in relazione alle quote trasferite riconducibili all’eredità paterna. Viene, inoltre, censurato il contrasto tra la motivazione della sentenza, con cui viene dichiarato inammissibile il ricorso, ed il dispositivo di rigetto. Il motivo è infondato. Il diritto di prelazione e di riscatto, disciplinato dall’articolo 732 c.c. ha come finalità quella di impedire l’ingresso dell’estraneo alla comunione ereditaria e, a tal fine, prevede che il coerede, che vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, per l’eventuale esercizio del diritto di prelazione. La legge prevede il termine di giorni sessanta per l’esercizio della prelazione e aggiunge che, in caso di mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa. Il riscatto, secondo l’articolo 732 c.c., può essere esercitato solo finché dura lo stato di comunione ereditaria e cessa con la divisione, attraverso la quale si verifica la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote ideali dell’eredità in diritti di proprietà individuali su singoli beni. A seguito della divisione, la comunione ereditaria si trasforma in comunione ordinaria, alla quale non è applicabile l’articolo 732 c.c La disposizione dell’articolo 732 c.c. opera, quindi, solo tra coeredi comproprietari in virtù di un’unica successione, attesa la manifesta deroga al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, che non può trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti. In applicazione di tale principio la giurisprudenza di questa Corte ha escluso l’applicabilità del retratto successorio anche nell’ipotesi di comunione ordinaria fra alcuni condividendi creatosi a seguito della divisione per la congiunta attribuzione ad essi di un bene. Si è argomentato nel senso che, in materia di comunione ordinaria, vige il principio secondo cui, ai sensi dell’articolo 1103 c.c., ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota. Ha, conseguentemente, ritenuto non d’applicabile l’articolo 732 c.c. in virtù del rinvio di cui all’articolo 1116 c.c., che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall’estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria. Cassazione civile, sez. II, 23/02/2007, n. 4224, e conformemente, Cass. n. 4224/2007 e n. 8599/2004 . La corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo che la sentenza del Tribunale di Milano N. 13812/96 abbia posto fine alla comunione ereditaria sui beni relitti della madre, con ciò determinando il venir meno del presupposto previsto dall’articolo 732 c.c. È del tutto irrilevante che il padre sia deceduto nel corso del giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Milano e che abbia acquisito una quota dell’eredità della moglie, poiché, una volta definito il giudizio di divisione dell’asse ereditario materno, l’azione di riscatto non poteva più essere esercitata. Quanto all’eredità paterna, è agevole rilevare che si tratta di altra successione, e, correttamente, la corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda perché tardivamente proposta in sede d’appello. Si tratta, infatti, di domanda nuova poiché l’azione di riscatto proposta in primo grado trovava il presupposto nella vendita di beni costituenti quota dell’eredità materna mentre l’azione proposta in appello trovava il diverso presupposto nel fatto che detti beni fossero parte dell’eredità paterna. Veniva, pertanto, introdotto un nuovo tema di indagine che implicava un diverso accertamento di fatto. Pur trattandosi di domanda connessa a quella originaria, per essere la quota di eredità materna confluita nell’asse ereditario del padre, erano certamente maturate le preclusioni di cui all’articolo 345 c.p.c Questa Corte, con la sentenza a Sezioni Unite del 15/06/2015 n. 12310, pur ammettendo l’introduzione della domanda nuova all’udienza ex articolo 183 c.p.c., sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, ha esclusoria mutatio libelli possa avvenire in appello, a causa dell’esplicito divieto normativo nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e se proposte devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio . L’introduzione di nuove domande in appello sarebbe contraria, infatti, a ragioni di economia processuale non ravvisabili invece nell’ambito del giudizio di primo grado, laddove, in caso di domanda nuova, è previsto un termine di trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni suddette ed indicare i mezzi di prova e le produzioni documentali, nonché ancora un termine di ulteriori venti giorni per le indicazioni di prova contraria. Inoltre, mentre la modificazione della domanda all’udienza di comparizione, risulta logicamente comprensibile, poiché si tratta di una udienza in cui non è ancora sostanzialmente iniziata la trattazione della causa e non è intervenuta l’ammissione di mezzi di prova, la mutatio libelli in grado d’appello arrecherebbe pregiudizio all’ordinato svolgimento del processo ed alla sua ragionevole durata. È, infine, inammissibile la censura relativa al contrasto tra la motivazione della sentenza, con cui viene dichiarato inammissibile il ricorso, ed il dispositivo di rigetto, per carenza di interesse in quanto, in entrambi i casi, la parte risulta soccombente. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 4200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge, iva e cap come per legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13