Incontri protetti con il figlio dopo la separazione: non c’è violazione del diritto al rispetto della vita familiare

È inammissibile il ricorso relativo alla presunta violazione dell’art. 8 Cedu con cui il padre impugna la sentenza che, dopo la separazione dalla moglie, ha disposto il collocamento del figlio minore presso quest’ultima riconoscendo il diritto del ricorrente a incontri protetti con il bambino sotto la vigilanza dei servizi sociali.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11539/18, depositata l’11 maggio. Il fatto. A seguito della separazione dei coniugi, il Tribunale disponeva l’affidamento del figlio minore ai servizi sociali con collocamento presso la madre e diritto del padre ad incontri protetti. La Corte d’Appello, adita dal padre, confermava la sentenza di prime cure affermando che l’allontanamento del minore dalla casa materna avrebbe pregiudicato i fondamentali interessi dello stesso. La pronuncia viene impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. Rapporto padre-figlio. Per quanto qui d’interesse, il padre deduce l’omesso esame di fatti decisivi risultanti dalla CTU disposta dal giudice dell’appello. Secondo il ricorrente, infatti, il giudice esaminando l’elaborato peritale nel suo complesso, avrebbe potuto rendersi conto di come la madre avesse trasmesso al figlio un’immagine negativa del padre, circostanza che sarebbe stata alimentata dalla permanenza del bambino presso la madre, giungendo così ad un’irrimediabile distruzione del rapporto padre-figlio. La Corte nega fondamento alla doglianza essendo la motivazione della sentenza impugnata immune da censure e risolvendosi il ricorso nella deduzione di critiche di merito. Il ricorrente tenta anche la strada della censura dell’art. 8 Cedu, in relazione all’art. 117 Cost. e relativo al diritto al rispetto della vita familiare. Secondo la Corte di Strasburgo tale principio impone l’adozione di misure appropriate per garantire piena attuazione del diritto del padre di stabilire una relazione con il figlio, mentre a parere del ricorrente la decisione impugnata impone provvedimenti routinari, già di per sé segnati da una endemica inefficacia, che non possono assicurate l’esercizio del diritto di visita del genitore e che comunque condizionano detto esercizio alla volontà del minore, già gravemente colpito e non in grado di autodeterminarsi in modo libero ed indipendente dalla madre . Anche tale doglianza non trova condivisione da parte dei Supremi Giudici che sottolineano come la Corte territoriale non abbia negato al ricorrente la possibilità di avere rapporti con il figlio, ma ha solo sottoposto a determinate cautele tale diritto nel prevalente interesse del minore, secondo un percorso terapeutico e sotto la vigilanza dei servizi sociali. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 23 novembre 2017 – 11 maggio 2018, numero 11539 Presidente Giancola – Relatore De Chiara Fatti di causa A conclusione del giudizio di separazione dei coniugi sig.ri G.S. e L.A. il Tribunale di Genova dispose l’affidamento ai servizi sociali del figlio minore della coppia, G. , con collocamento presso la madre e diritto del padre che la madre aveva peraltro accusato di abusare sessualmente del figlio, con denuncia però archiviata in sede penale a incontri protetti con il figlio. Dispose altresì che genitori e figlio seguissero un percorso psicoterapeutico e che i servizi sociali affidatari segnalassero alla Procura minorile l’eventuale violazione delle predette prescrizioni da parte dei genitori, ai fini della eventuale decadenza dalla responsabilità genitoriale ed eventuale diversa collocazione del minore. Adita con gravame del sig. G. , la Corte d’appello di Genova, dopo aver disposto un supplemento di indagine tecnica per verificare le ragioni della ferma opposizione del minore alla prosecuzione/ripresa degli incontri protetti con il padre, ha confermato la decisione di primo grado. La Corte ha osservato, sulla scorta del supplemento di CTU eseguito in grado di appello, che l’allontanamento del minore dalla casa materna avrebbe pregiudicato la possibile evoluzione positiva del medesimo verso il padre, in quanto tale scelta sarebbe stata da lui vissuta come azione persecutoria da parte del papà e avrebbe avallato ulteriormente l’immagine negativa del medesimo ai suoi occhi che peraltro lo stesso CTU aveva formulato soltanto in termini di plausibilità, e non di certezza, l’ipotesi che la costruzione dell’immagine del padre, da parte del minore, fosse fornita da adulti di riferimento che era attualmente ostativa alla costituzione di un buon rapporto tra padre e figlio la personalità del primo, che lo aveva portato a rivolgersi all’altro in maniera non congrua che tuttavia la situazione non poteva dirsi definitivamente compromessa, ove fossero seguite le prescrizioni del Tribunale che il minore e i genitori dovevano proseguire il percorso terapeutico già intrapreso e i servizi sociali, in stretto contatto con la psicoterapeuta di G. , dott.ssa A. , dovevano curare la ripresa degli incontri protetti padre-figlio. Sia il Procuratore generale presso la Corte d’appello, sia il sig. G. hanno presentato ricorso per cassazione, rispettivamente con un solo, complesso motivo e con quattro motivi. La sig.ra L. si è difesa con controricorso. Il sig. G. ha presentato anche memoria. Ragioni della decisione 1. Con il ricorso del Procuratore generale si denuncia insufficienza della motivazione, per avere la Corte d’appello recepito acriticamente le conclusioni del CTU senza tener conto delle altre risultanze istruttorie, e omissione di pronuncia sulla richiesta di decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale presentata dal PM minorile al Tribunale per i minorenni, sulla quale quest’ultimo si era dichiarato incompetente, ai sensi dell’art. 38 disp. att. cod. civ., disponendo la trasmissione degli atti alla Corte d’appello, davanti alla quale pendeva il giudizio di separazione dei coniugi. 1.1. Entrambe le censure sono inammissibili la prima perché l’insufficienza della motivazione non rientra più tra i motivi di ricorso per cassazione, in base al testo del numero 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. come novellato dal d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, qui applicabile ratione temporis la seconda perché la richiesta di decadenza della sig.ra L. dalla responsabilità genitoriale non risulta, dalla sentenza impugnata, essere stata inserita nel giudizio di separazione cui si riferisce la sentenza impugnata, né il ricorrente indica da quale atto del processo risulterebbe tale inserimento non già la mera disposizione di trasmissione alla Corte . 2. Con il primo motivo del ricorso del sig. G. , denunciando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e nullità della sentenza, si lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta di addebito della separazione alla sig.ra L 2.1. Il motivo è infondato, giacché dal dispositivo della sentenza impugnata risulta che la Corte d’appello ha respinto totalmente il gravame dell’attuale ricorrente, che a sua volta, del resto, nelle conclusioni rassegnate, come trascritte nella sentenza impugnata e non contestate dal ricorrente, non aveva fatto specifico riferimento alla domanda di addebito. 3. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 38 disp. artt. cod. civ. e 112 cod. proc. civ. e nullità della sentenza, si censura l’omissione di pronuncia sulla decadenza della madre del minore dalla responsabilità genitoriale. 3.1. Il motivo è inammissibile sia per quanto già osservato a proposito dell’analoga censura contenuta nel ricorso del procuratore Generale presso la Corte d’appello, sia per difetto di legittimazione del ricorrente a dedurlo, trattandosi di richiesta di decadenza formulata non dal ricorrente, bensì dal PM. 4. Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di fatti decisivi e violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per radicale mancanza o mera apparenza della motivazione. Vi è, ad avviso del ricorrente, dissonanza tra quanto affermato nel supplemento di CTU, eseguito dalla dott.ssa T. , cui la Corte d’appello dichiara di aderire, e quanto statuito dalla sentenza di primo grado, che parimenti la Corte dichiara di confermare, atteso che il Tribunale aveva imposto le seguenti prescrizioni a prosecuzione della psicoterapia di G. con la dott.ssa A. , la quale tuttavia non ritiene che vi siano vissuti di G. indotti dall’esterno, laddove la dott.ssa T. precisa invece che la psicoterapia dovrebbe fugare nel bambino una falsa costruzione della figura paterna indotta da terzi b collaborazione tra le parti seguite dalla psicologa del servizio sociale, laddove il supplemento di CTU suggerisce una psicoterapia per entrambe le parti, ovviamente seguite da specialisti differenti c mantenimento di uno stretto contatto dei servizi sociali con la dott.ssa A. , mentre il supplemento di CTU prevede funzioni di controllo e di monitoraggio da parte dei servizi, anche con la possibilità di una valutazione psichiatrica sui genitori. La Corte d’appello, inoltre, secondo il ricorrente, ha omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio, di cui dà atto il supplemento di CTU se avesse esaminato l’intero elaborato peritale, e non soltanto le sue conclusioni, si sarebbe resa conto della drammatica situazione in cui versa il minore, cui la madre ha inculcato l’idea della cancellazione del padre. In tale contesto, mantenere il bambino presso la madre e procrastinare ancora nel tempo la ripresa dei contatti con il padre vuol dire sancire l’irrecuperabilità del rapporto genitoriale, tanto più che la sentenza del Tribunale, confermata dalla Corte d’appello, non prevede un termine per la ripresa degli incontri tra padre e figlio, contrariamente a quanto suggerito dalla dott.ssa T In altri termini, conclude il ricorrente, con la sentenza impugnata si è dato un mandato amplissimo ai servizi sociali, i quali potrebbero a loro discrezione non disporre mai la ripresa degli incontri del bambino con il padre, ovvero subordinarla a condizioni penalizzanti, come di fatto avviene senza contare che l’intervento dei servizi dovrebbe essere coordinato con la dott.ssa A. , che nega la sussistenza di condizionamenti esterni nei confronti del minore e che avrebbe ritenuto di demandare a una scelta di quest’ultimo, una volta raggiunta l’età adolescenziale, la ripresa dei contatti con il padre. 4.1. Il motivo non può essere accolto. Quanto alla denuncia di difetto assoluto di motivazione, va infatti osservato che la motivazione della sentenza impugnata è sufficientemente comprensibile e non contraddittoria, considerato anche che il richiamo della Corte d’appello al supplemento di consulenza tecnica è limitato alla questione della reazione del minore a una eventuale revoca del collocamento presso la madre e alla possibilità della ripresa di un rapporto padre-figlio. Le ulteriori critiche articolate, peraltro non nitidamente, sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi sono inammissibili perché si sostanziano, in realtà, nella deduzione di critiche di merito. 5. Con il quarto motivo, denunciando violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo, in relazione all’art. 117 Cost., si lamenta che la decisione impugnata contrasta con il diritto al rispetto della vita familiare, di cui al richiamato art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, in quanto omette di adottare le misure appropriate per garantire la piena attuazione del diritto del padre e stabilire una vera e propria relazione tra lui e il figlio ed impone prescrizioni che si risolvono in provvedimenti routinari, già di per sé segnati da una endemica inefficacia, che non possono assicurare l’esercizio del diritto di visita del genitore e che comunque condizionano detto esercizio alla volontà del minore, già gravemente colpito e non in grado di autodeterminarsi in modo libero ed indipendente dalla madre . 5.1. Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello, confermando la sentenza del Tribunale, non ha negato il diritto del ricorrente ad avere rapporti con suo figlio ha soltanto sottoposto tale diritto a cautele in funzione della tutela del prevalente interesse del minore - data la ferma opposizione di questi a vedere il padre - decidendo a tal fine di consentire al ricorrente incontri protetti con il figlio, accompagnati da un percorso terapeutico e sotto la mera vigilanza dei servizi sociali, espressamente vincolati a curare la ripresa degli incontri protetti . Il ricorrente lamenta, in realtà, il modo in cui la Corte d’appello e, prima di essa, il Tribunale ha esercitato il proprio potere discrezionale al riguardo, ma nel farlo non supera la soglia della critica di merito. 6. In conclusione il ricorso del procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova va dichiarato inammissibile e il ricorso del sig. G. va respinto, con condanna del ricorrente alle spese processuali, liquidate come in dispositivo. Poiché dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, I. numero 228 del 2012. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova e rigetta il ricorso del sig. G Condanna quest’ultimo al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. numero 196 del 2003.