Separazione dal marito pensionato: niente mantenimento alla giovane moglie

Precaria la situazione economica dell’uomo, che vive solo della sua pensione. La donna, invece, gestisce una lavanderia ed è proprietaria di una villa. Rilevante anche la breve durata del matrimonio.

Breve e – forse – intenso il rapporto tra lui e lei, che però, divisi anche dalla differenza d’età, si sono detti ‘addio’. Restano, però, inevitabili, gli strascichi sul piano economico, connessi alla pronuncia di separazione. E su questo fronte la donna, piccola imprenditrice e proprietaria di una villa, non può pretendere nulla dal coniuge, che vive solo della pensione Cassazione, ordinanza n. 5593/2018, Sezione Sesta Civile, depositata oggi . Condizioni. In prima battuta la moglie vede accolta la propria richiesta in Tribunale il marito viene obbligato a versarle 300 euro mensili come assegno di mantenimento . Di parere opposto, invece, i giudici della Corte d’appello, i quali pongono in evidenza la breve durata del matrimonio poco più di due anni al momento della domanda di separazione e l’insussistenza di un divario delle condizioni reddituali dei coniugi . Su quest’ultimo fronte, in particolare, emerge che il marito è pensionato, ha un reddito di 750 euro mensili, è proprietario di un piccolo locale sfitto, ha dovuto vendere un immobile per fare fronte a una consistente esposizione debitoria e ora vive in una casa in affitto, pagando un canone di 200 euro mensili . Dall’altro lato, invece, la moglie, molto più giovane, gestisce una lavanderia ed è proprietaria della villa acquistata con i relativi proventi . Questi elementi sono stati adeguatamente valorizzati in Appello, osservano ora i giudici della Cassazione, confermando il ‘no’ alla richiesta della donna finalizzata ad ottenere un sia pur minimo mantenimento . Decisivo, come detto, il confronto tra le condizioni economiche e reddituali dei due coniugi.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 dicembre 2017 – 8 marzo 2018, n. 5593 Presidente Di Virgilio – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d'appello di Catania, con sentenza del 21 ottobre 2016, in riforma della sentenza impugnata, ha eliminato l'obbligo di Vi. Al. di corrispondere alla moglie separata, Pe. An., l'assegno di mantenimento determinato dal primo giudice in Euro 300,00 mensili , in considerazione della breve durata del matrimonio poco più di due anni al momento della domanda di separazione e dell'insussistenza di un divario delle condizioni reddituali dei coniugi, tenuto conto che l'Al. era pensionato, aveva un reddito di Euro 750,00 mensili, era proprietario di un piccolo locale sfitto, aveva dovuto vendere un immobile per fare fronte ad una consistente esposizione debitoria e viveva in una casa in affitto per la quale corrispondeva un canone di Euro 250,00 mensili, mentre la Pe., molto più giovane del marito, gestiva una lavanderia ed era proprietaria della villa acquistata con i relativi proventi. La Pe. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo e a una memoria l'Al. si è difeso con controricorso. Ragioni della decisione La ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 710 e 92 c.p.c. e illogicità della sentenza, per avere eliminato l'obbligo di pagamento dell'assegno di mantenimento in suo favore e posto a suo carico le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, all'esito di un'erronea valutazione dei redditi delle parti, anche sulla base di documenti tardivamente introdotti dall'Al. nel giudizio di appello. Il ricorso è generico laddove lamenta la tardiva produzione di imprecisati documenti nel giudizio di appello, omettendo anche di chiarire se e in che termini la ricorrente ne abbia eccepito l'inammissibilità in quel giudizio. Inoltre, esso è diretto ad ottenere una rivisitazione del giudizio di fatto - riservato al giudice di merito - riguardante le condizioni economiche e reddituali dei coniugi, ai fini della decisione sulla debenza dell'assegno di mantenimento, mentre il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio né costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la ritenuta ingiustizia della decisione impugnata. Ed è inammissibile laddove, denunciando genericamente l'illogicità della sentenza e criticando l'interpretazione degli elementi probatori fornita dal giudice di merito, insta per una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. apportata dall'art. 54 D.L. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012 v. Cass., sez. un., n. 8053/2014 . Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.