La violazione e falsa applicazione della norma di legge non è un riesame del merito in Cassazione

La formale denuncia in Cassazione della violazione di un principio di legge, quale quello ex art. 156 c.c. secondo cui il coniuge al quale non sia addebitabile la separazione ha il diritto di ottenere dall’altro un assegno di mantenimento se sussiste una differenza reddituale e non sia in grado di mantenere, in base alle proprie potenzialità economiche, il tenore di vita che aveva durate il matrimonio, non è sufficiente per invocare una diversa valutazione delle risultanze processuali, attenendo queste ultime al merito e non alla legittimità o falsa ed errata applicazione del principio di legge alla fattispecie.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5441/18, depositata il 7 marzo. Il caso. La Corte d’Appello riformulava parzialmente la sentenza di primo grado, elevando a carico del marito sia l’assegno di mantenimento delle tre figlie e prevedendo un assegno in favore della consorte. Avverso tale sentenza, l’onerato proponeva ricorso in Cassazione denunciando, appunto, la violazione ed errata applicazione dell’art. 156 c.c., lamentando che la Corte non aveva adeguatamente considerato i redditi delle parti e non aveva tenuto in considerazione un fatto decisivo per il giudizio che avrebbe comportato una diversa applicazione della norma contestata. Assegno di mantenimento. La Corte di Cassazione rilevava invece che, il ricorrente, in realtà, non contestava il principio sancito dall’art. 156 c.c. secondo il quale il coniuge al quale non sia addebitabile la separazione ha il diritto di ottenere dall’altro un assegno di mantenimento, tutte le volte in cui, sussistendo una differenza di redditualità fra i coniugi, egli non sia in grado di mantenere in base alle proprie potenzialità economiche, il tenore di vita che aveva durate il matrimonio, ma affermava semplicemente che le risultanze processuali deponevano per una situazione reddituale delle parti diversa da quella apprezzata dai giudici di merito e, conseguentemente, propendeva per una differente applicazione del principio di legge contestato. La Corte di legittimità, quindi, riteneva inammissibile il motivo di ricorso poiché, nonostante la formale denuncia della violazione ed errata applicazione di legge, il ricorrente sostanzialmente invocava solo una diversa valutazione delle risultanze processuali che, di fatto, costituendo un giudizio di puro merito sono, per l’appunto, inammissibili in sede di legittimità. Non è sufficiente, quindi, invocare formalmente un vizio di legge per mascherare una richiesta di riesame delle risultanze probatorie e una differente applicazione della medesima norma contestata alla fattispecie, non essendo questa l’ipotesi di una falsa o errata applicazione di legge, ma occorre, invece, in sede di legittimità, contestare il procedimento logico da cui il giudice di merito ha desunto l’esistenza e l’applicabilità del principio negato alla fattispecie, l’errata individuazione o interpretazione della norma, nonché l’errata qualificazione della controversia e delle sue conseguenze giuridiche.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 6 febbraio – 7 marzo 2018, n. 5441 Presidente Genovese – Relatore Sambito Fatti di causa La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 25/11/2016, in parziale riforma della decisione di primo grado, che aveva statuito la separazione personale dei coniugi P.V. e C.M.G. , ha elevato da Euro 650,00 ad Euro 1.000,00 l’assegno di mantenimento per le tre figlie posto a carico del P. , lo ha condannato al pagamento della somma di Euro 500,00 per il mantenimento della C. , nonché a rifonderle la metà delle spese di lite del primo e secondo grado. Avverso la succitata sentenza, il P. propone ricorso per Cassazione, lamentando a la violazione ed errata applicazione dell’art. 156 c.c. b la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter, co 4, c.c. c la violazione ed errata applicazione dell’art. 2727 c.c. d omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e l’errore nella liquidazione delle spese. La C. resiste con controricorso. Ragioni della decisione 1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata. 2. I primi quattro motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, sono inammissibili. 3. In relazione al riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore della moglie, il ricorrente non contesta il principio sancito dall’art. 156 c.c. in base al quale il coniuge al quale non sia addebitabile la separazione ha il diritto di ottenere dall’altro un assegno di mantenimento, tutte le volte in cui, sussistendo una differenza di redditualità fra i coniugi, egli non sia in grado di mantenere in base alle proprie potenzialità economiche, il tenore di vita che aveva durante il matrimonio, ma semplicemente afferma che le risultanze processuali depongono per una situazione reddituale delle parti diversa da quella apprezzata dai giudici del merito, affermando che la moglie, prima fisioterapista e poi dipendente del Ministero dell’Istruzione, fruisce di un reddito superiore al suo e negando di svolgere attività di odontotecnico, che afferma cessata nel dicembre del 2000. 4. A tale stregua è evidente che, nonostante la formale denuncia della violazione di legge, il ricorrente finisce con l’invocare una diversa valutazione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede di legittimità. In particolare, ciò è palese in ordine alla ricostruzione della sua effettiva posizione reddituale l’addebito oggetto della doglianza riassunta sub c , che ha portata dirimente per l’intera prospettazione del ricorso, si fonda, appunto, sulla negazione del fatto storico svolgimento attività di odontotecnico - da cui, invece, muove la Corte territoriale per inferire la produzione del reddito ciò che viene contestato non è dunque il procedimento logico da cui il giudice ha desunto l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto secondo la normalità dei casi, ma, a monte, l’accertamento del fatto noto, il che costituisce puro merito. Sotto altro profilo, va rilevato che, come più volte affermato da questa Corte, le dichiarazioni dei redditi dell’obbligato hanno una funzione tipicamente fiscale, sicché nelle controversie relative a rapporti estranei al sistema tributario nella specie, concernenti l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di mantenimento non hanno valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, può fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie Cass. n. 18196 del 2015 . 5. Il fatto indicato quale non esaminato, id est la condizione reddituale della C. , risulta, invece, appieno considerato, talché il vizio non sussiste e la determinazione del contributo imposto attiene, anch’essa, al merito. 6. Analoghe considerazioni vanno svolte in ordine alla determinazione dell’assegno per il mantenimento delle figlie il padre non nega il principio secondo cui i genitori devono mantenere i figli minorenni e maggiorenni non economicamente autosufficienti, in proporzione al proprio reddito, e considerate le loro esigenze, il tenore di vita goduto quando i genitori erano conviventi, il tempo di permanenza presso uno di questi, le risorse economiche di entrambi, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno di essi, ma formula, nuovamente, censure di merito capacità economica dei genitori non paritaria a suo sfavore, entità incongrua dell’assegno impostogli e ripartizione delle spese straordinarie , laddove a gli argomenti relativi al valore economico connesso al godimento della casa familiare sono eccentrici rispetto alla sentenza, che ha confermato la revoca della precedente assegnazione b gli oneri connessi al dovere del ricorrente di provvedere al mantenimento di altro figlio, procreato con la nuova compagna, sono stati espressamente considerati dai giudici del merito. 7. Anche il quinto motivo, con cui si deduce l’ingiusta statuizione in ordine alle spese del giudizio, è inammissibile, non avendo parte ricorrente evidenziato le presunte violazioni di legge in cui sarebbe incappata la Corte territoriale. V’è di più, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere, anche, d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale Cass. n. 11423 del 2016 n. 18837 del 2010 . 8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma, comma 1-bis dello stesso art. 13. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.