La valutazione degli elementi diversi dal reddito nella determinazione dell’assegno di mantenimento

Ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.c., ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione personale dei coniugi, il giudice può determinare il quantum in relazione sia al reddito sia alle c.d. circostanze”. Con tale termine ci si riferisce a quegli elementi fattuali apprezzabili in termini economici non determinabili aprioristicamente, ma capaci tuttavia di influenzare il reddito di una delle parti e la cui valutazione non necessita l’accertamento nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente una loro ricostruzione affidabile e verosimile.

È quanto stabilito dalla Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione con ordinanza n. 3709/18 depositata il 15 febbraio. Il caso. Nel giudizio di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione personale dei coniugi O.L. marito e L.Z. moglie , il giudice di primo grado con sentenza n. 2537/2015 aveva respinto, per quel che rileva nel caso di specie, la domanda della moglie di corresponsione di un assegno di mantenimento da porsi a carico dell’altro coniuge. La Corte d’Appello di Venezia adita dalla soccombente L.Z., riformando parzialmente il disposto del giudice di prime cure, con sentenza n. 2076/2016 accoglieva l’appello proposto determinando in € 300,00 l’assegno di mantenimento che O.L. avrebbe dovuto corrispondere alla moglie. Avverso tale decisione, L.Z. propone ricorso per cassazione dolendosi con un primo motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. in quanto il giudice di seconde cure non avrebbe tenuto conto del fatto che la signora L.Z. fosse titolare di adeguati redditi propri, fondando quindi la pronuncia unicamente sul difetto di produzione della dichiarazione dei redditi da parte di O.L. con il secondo motivo di ricorso viene, invece, denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per la controversia, ossia gli elementi di prova documentale allegati agli atti. La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. La determinazione dell’assegno di mantenimento al coniuge separato. Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 156, comma 2, c.c. per non aver la Corte d’Appello in sede di determinazione dell’ammontare dell’assegno, tenuto conto della percezione da parte della moglie di redditi propri. L’art. 156 c.c. rubricato Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi stabilisce che il giudice, in sede di separazione personale dei coniugi che, è bene precisarlo, a differenza della cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale , stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione e privo di redditi propri, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto necessario per il suo mantenimento, in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato. In altri termini, l’obbligo di assistenza materiale trova, di regola, attuazione nel riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione economica tale da non consentire un tenore di vita analogo a quello offerto dalla costanza del matrimonio si ricordi, a tal proposito, che il criterio del tenore di vita goduto dai coniugi durante il vincolo matrimoniale al fine della determinazione del quantum dell’assegno è stato messo in discussione solo con riferimento al divorzio, permanendo quale parametro per la valutazione e determinazione del mantenimento da corrispondere al coniuge separato . La Corte di Cassazione, partendo dalla esegesi della norma de qua , sottolinea come da tale disposizione possa evincersi il fatto che ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il giudice possa determinare la sua entità in relazione oltre che al reddito utilizzato dal legislatore nella sua accezione più ampia e quindi comprensiva anche di utilità diverse dal denaro purché economicamente valutabili anche alle circostanze”. Con tale termine ci si riferisce a quegli elementi fattuali apprezzabili in termini economici non determinabili aprioristicamente, ma capaci tuttavia di influenzare il reddito di una delle parti, e la cui valutazione non necessita l’accertamento nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente una ricostruzione affidabile e verosimile delle generali condizioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. A mero titolo esemplificativo, rientra tra le circostanze” di cui all’art. 156, comma 2, c.c. l’attitudine a lavorare laddove il coniuge beneficiario sia nella concreta possibilità di svolgere un’attività lavorativa in considerazione dell’età, dell’esperienza, del grado di istruzione, delle condizioni di salute, della presenza di prole da accudire ecc la determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento sicuramente subirà una decurtazione rispetto ad una situazione in cui tale circostanza non dovesse essere riscontrata. A ben vedere il giudice di merito al fine non solo del riconoscimento, ma altresì della quantificazione dell’assegno, fa ricorso a presunzione semplici nel concorso dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. , non costituendo ciò una indebita surrogazione dell’iniziativa d’ufficio a quella della parte cui fa carico l’onere della prova, tenuto conto che tale onere giustamente può essere assolto anche per mezzo della prospettazione al giudice medesimo dell’esistenza di elementi presuntivi. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione sostiene che la Corte d’Appello di Venezia abbia correttamente effettuato la comparazione dei redditi delle parti, accertando da un lato la percezione da parte di L.Z. della somma mensile di poco più di € 1.000,00 inidonea ad assicurarle il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e dall’altro la proprietà di una casa ad uso abitativo da parte di O.L. a differenza di L.Z. che possiede solo un terreno agricolo e che questi, ad onta della dichiarazione effettuata sul suo stato di nullatenenza e di disoccupazione, risulterebbe in realtà essere soggetto svolgente attività di procacciamento di affari. In aggiunta, viene ben valorizzato, da parte del giudice di seconde cure, la dichiarazione del signor O.L. innanzi al Presidente del Tribunale della esistenza di redditi maggiori rispetto alla consistenza patrimoniale in precedenza dichiarata. In definitiva, la Corte d’Appello di Venezia ha correttamente comparato, alla luce della portata dell’art. 156, comma 2, c.c. e al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, i redditi dei coniugi e le circostanze fattuali che su di esso incidono. Da quanto detto inevitabilmente deriva che il motivo di ricorso, sub specie della violazione di legge, si tradurrebbe in realtà in una domanda di rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una alterazione abusiva e arbitraria del giudizio di legittimità in un nuovo e non consentito terzo grado di merito. La censura viene quindi dichiarata inammissibile. I limiti di deducibilità del vizio di motivazione. Con il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito dalla l. 7 agosto 2012 n. 134, è stato novellato l’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., il quale introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti del processo, e che abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un diverso esito della controversia . La nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. non contempla più i vizi di insufficienza e contraddittorietà della motivazione. La ratio di tale scelta legislativa è da ricercarsi nella esigenza di evitare quei ricorsi per cassazione basati su vizi motivazionali non necessitati dai precetti costituzionali si ricordi, infatti, che la Corte di Cassazione è giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris ex multis Cass. SSUU n. 19881/14 . In altri termini, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare il vizio di motivazione ai soli casi di violazione di legge, e ciò accade solo quando, con riferimento all’art. 132, n. 4, c.p.c. che elenca elementi che devono essere contenuti in una sentenza, vi sia una sua omissione ovvero una sua apparenza. Nel caso di specie non viene rilevata alcuna omissione motivazionale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 14 dicembre 2017 – 15 febbraio 2018, n. 3709 Presidente Cristiano – Relatore Valitutti Fatto e diritto Rilevato che L.O. ha proposto ricorso per cassazione - affidato a due motivi, illustrati con memoria - avverso la sentenza n. 2076/2016, emessa dalla Corte d’appello di Venezia in data 16 maggio 2016 e notificata il 4 ottobre 2016, con la quale è stato parzialmente accolto l’appello proposto da Z.L. nei confronti della pronuncia di primo grado n. 2536/2015, che aveva - per quel che ancora rileva disatteso la domanda della medesima di corresponsione di un assegno di mantenimento, in sede di giudizio di separazione personale, da porsi a carico del coniuge L.O. l’intimata non ha replicato con controricorso, ma ha depositato memoria Considerato che con il primo motivo di ricorso - denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. - il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello, nel determinare in Euro 300,00 l’assegno di mantenimento che il medesimo avrebbe dovuto corrispondere alla moglie, non abbia tenuto conto del fatto che la Z. era titolare di adeguati redditi propri, ed abbia fondato la pronuncia esclusivamente sulla mancata produzione delle dichiarazioni dei redditi da parte del L. Ritenuto che ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione personale dei coniugi - che, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale - l’art. 156, comma 2, c.c., debba essere inteso nel senso che il giudice sia tenuto a determinare la misura dell’assegno tenendo conto, non solo dei redditi delle parti, ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili a priori , ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi Cass., 11/07/2013, n. 17199 Cass., 12/01/2017, n. 605 in tale prospettiva, nella valutazione comparativa delle situazioni dei coniugi in regime di separazione, al fine non solo del riconoscimento, ma anche della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il ricorso del giudice del merito a presunzioni semplici debba ritenersi consentito - nel concorso dei requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ. - e non configura, perciò, un’indebita sostituzione dell’iniziativa d’ufficio a quella della parte cui fa carico l’onere della prova, tenuto conto che tale onere può essere assolto anche mediante la prospettazione al giudice medesimo dell’esistenza di elementi presuntivi Cass., 29/11/1986, n. 7061 Rilevato che nel caso di specie, la Corte territoriale ha provveduto ad una corretta comparazione dei redditi delle parti, accertando che la Z. percepiva la somma di poco più di Euro 1.000,00 mensili, certamente inidonea ad assicurarle il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, considerato che solo nell’anno 2012 - nel corso del quale il L. ha proposto ricorso per separazione coniugale - il medesimo ebbe a percepire l’importo di Euro 22,000,00 per l’installazione ed il montaggio di tende da sole la Corte d’appello ha, dipoi, accertato - sempre sul piano della comparazione dei redditi dei coniugi - che, mentre il L. è proprietario di una casa di abitazione, la Z. possiede solo un terreno agricolo, che il primo, ad onta della dichiarazione da lui effettuata di essere disoccupato e nullatenente, risulta svolgere l’attività di procacciatore di affari, e che il medesimo, in sede di comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, aveva ammesso l’esistenza di redditi in misura maggiore di quella dichiarata Ritenuto che nel concorso degli elementi presuntivi suesposti, il giudice di appello abbia, quindi, correttamente valorizzato - al fine di trarne elementi di convincimento ex art. 116 cod. proc. civ. - anche la mancata produzione, da parte dell’appellato, delle dichiarazioni dei redditi aggiornate il motivo di ricorso - sub specie della violazione di legge - si traduca, per contro, in una domanda di rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito Cass., 04/04/2017, n. 8758 che la censura debba, pertanto, essere dichiarata inammissibile Considerato che con il secondo motivo di ricorso - denunciando l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. - il ricorrente lamenta che il giudice di seconde cure non abbia tenuto adeguatamente e coerentemente conto degli elementi di prova documentale allegati agli atti Ritenuto che alla luce della novella dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, sia deducibile come vizio della sentenza soltanto la totale omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054 Cass., 16/07/2014, n. 16300 per tutte le ragioni esposte, pertanto, il proposto ricorso debba essere dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione in giudizio della Z P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.