Il figlio può conoscere l’identità della madre biologica dopo il suo decesso

Nell’ipotesi di parto anonimo, il figlio ha diritto di accedere alle informazioni relative all’identità della madre nel momento in cui quest’ultima non sia più in vita, non trovando applicazione il termine previsto dall’art. 93, comma 2, Certificato di assistenza al parto d.lgs. n. 196/2003.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 3004/18, depositata il 7 febbraio. Il caso. Il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello di Torino rigettavano la richiesta dell'attore, con padre ignoto, volta a conoscere l’identità della madre deceduta durante il parto, la quale aveva richiesto di non essere nominata. La Corte distrettuale rilevava che l’art. 93, comma 2, Certificato di assistenza al parto d.lgs. n. 196/2003 consentiva l’acquisizione dei dati relativi alla nascita solo dopo cento anni dalla data del parto, pertanto per il riconoscimento di tale diritto la presenza o meno in vita del genitore era ininfluente. Avverso la sentenza del Giudice d’Appello il figlio propone ricorso per cassazione denunciando l’illegittimità del diniego, in considerazione della disciplina di cui all’art. 28, comma 7, l. n. 184/1983, nonché della giurisprudenza costituzionale in materia e di un recente principio enunciato dalla Suprema Corte. Il diritto all’accesso alle informazioni. Il Supremo Collegio ribadisce l’orientamento per cui nell’ipotesi di parto anonimo, sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine previsto dall’ art. 93, comma 2, d.lgs. n. 196/2003 . Difatti, la Suprema Corte rileva che una differente soluzione renderebbe, in concreto, impossibile l’esercizio del diritto riconosciuto al figlio, ponendosi in contrasto con il principio di necessaria reversibilità del segreto posto a fondamento della disciplina in esame. Pertanto, la Corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, autorizza il figlio all’accesso delle informazioni relative all’identità della madre biologica.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 dicembre 2017 – 7 febbraio 2018, n. 3004 Presidente Di Virgilio – Relatore Lamorgese Fatti di causa G.A. , essendo figlio adottivo, ha chiesto al Tribunale per i Minorenni di Torino di accedere alle informazioni riguardanti l’identità dei propri genitori biologici. Il Tribunale, avendo accertato, all’esito delle indagini compiute, che il padre era ignoto, che la madre era deceduta e che, al momento del parto, aveva chiesto di non essere nominata, ha rigettato il ricorso, rilevando che la morte rendeva per il figlio impossibile accedere all’identità della madre, il cui l’interpello - previsto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 278 del 2013, al fine di consentirle di revocare la dichiarazione di non essere nominata - non era più possibile. Il gravame di G. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Torino, con sentenza del 23 gennaio 2017, la quale ha ritenuto che la presenza di una norma, come l’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 196 del 2003, che consente l’acquisizione dei dati relativi alla propria nascita decorsi cento anni dalla data del parto, dimostra che nell’ottica del legislatore la possibilità di acquisire i dati relativi all’identità del proprio genitore prescinde dalla presenza in vita o dal sopravvenuto decesso dello stesso. Avverso questa sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione, notificato al PG presso la Corte d’appello di Torino. Ragioni della decisione Il ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 28, comma 7, della legge n. 184 del 1983, alla luce della citata sentenza della Corte costituzionale, e invocato l’applicazione del principio enunciato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 15024 del 2016. Il ricorso è fondato, essendosi la sentenza impugnata consapevolmente discostata dal principio condivisibile, al quale si deve dare continuità, secondo cui, nel caso di cd. parto anonimo, sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine, previsto dall’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 196 del 2003, di cento anni dalla formazione del documento per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata. Una diversa soluzione determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto Corte cost. n. 278 del 2013 , nonché l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilità di tale scelta Cass. n. 15024 e 22838 del 2016 . Il ricorso va accolto con decisione nel merito, dovendosi autorizzare il ricorrente ad accedere alle informazioni relative all’identità della propria madre biologica. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, autorizza G.A. ad accedere alle informazioni relative all’identità della propria madre biologica. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.