Separazione dei coniugi, assegnazione della casa familiare e iniziativa processuale del terzo acquirente

Il terzo acquirente di un immobile assegnato ad un coniuge può proporre l’azione di accertamento per far decadere l’assegnazione e per ottenere la condanna dell’occupante al pagamento dell’indennità di occupazione.

Nel caso in cui un bene immobile sia stato assegnato, in sede di divorzio o di separazione, ad uno dei coniugi e venga poi acquistato da un terzo, questi ha diritto di proporre azione ordinaria di accertamento, onde verificare la decadenza dei presupposti per l’assegnazione ma anche per ottenere la condanna dell’occupante al pagamento dell’indennità di occupazione. Questo è il principio di diritto, ribadito con articolato ragionamento dalla Suprema Corte, VI sezione civile, nella corposa sentenza n. 1744/18, emessa nella camera di consiglio del 29 marzo 2017 e depositata in cancelleria addirittura il successivo 24 gennaio del 2018, in un ricorso risalente al 2013 e vertente in materia di assegnazione della casa coniugale acquistata da un terzo e alla relativa richiesta di indennità di occupazione, per essere venuti meno i presupposti dell’assegnazione. Il caso. Con citazione notificata nel lontano 2004, L.P., terzo acquirente di un immobile, in seguito a decreto di trasferimento dell’aprile 2003 all’esito di vendita giudiziale disposta nel giudizio di scioglimento della comunione tra i coniugi N.L. e S.L., conveniva questi ultimi chiedendo che la prima fosse dichiarata occupante senza titolo dell’immobile in oggetto già casa coniugale in comproprietà tra i coniugi , e chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento di somme di denaro, tra cui un’indennità di occupazione sino all’effettivo rilascio. Si costituì la sola assegnataria, deducendo di occupare legittimamente l’immobile, in virtù di provvedimento di assegnazione in sede di separazione, risalente al novembre del 1992, poi trascritto durante il mese di novembre del 1996, e chiedendo quindi il rigetto della domanda. Il Tribunale, con sentenza del 18 gennaio 2016, rigettava la domanda di rilascio, accertando l’esistenza di un diritto personale di godimento opponibile al terzo, in quanto trascritto, anche oltre i nove anni, fino a revoca dell’assegnazione da parte del tribunale della separazione o del divorzio, previa verifica dell’insussistenza delle originarie condizioni legittimanti la presenza di figli non autosufficienti economicamente, nel cui interesse, come noto, viene disposta l’assegnazione . Tuttavia, il Tribunale condannò la sig.ra L. a versare all’acquirente un’indennità di occupazione, da determinarsi in separata sede, sino al rilascio, non potendo ritenersi tale diritto personale di godimento concesso a mero titolo gratuito . La sentenza fu appellata dalla sig.ra L., e il signor P. si costituì chiedendo il rigetto del gravame inoltre, con citazione notificata il 24 novembre 2006, il sig. P. chiese al Tribunale di Roma di quantificare l’indennità di occupazione. L’assegnataria si costituì chiedendo il rigetto e comunque la sospensione del giudizio in attesa di definizione di quello di appello. Il Tribunale accolse la domanda, determinando l’indennità di occupazione in € 52.780,69, oltre ad € 968,55 mensili sino alla data del rilascio. La sig.ra L. appellò anche questa sentenza, e i due giudizi furono riuniti e definiti con sentenza del 14 marzo 2012, che rigettò entrambi gli appelli, confermando le decisioni impugnate, ribadendo che il provvedimento di assegnazione costituisce un diritto personale di godimento che l’assegnatario può opporre ai terzi nei limiti in cui sussistono le esigenze di tutela dei figli conviventi che nel caso in esame, al momento dell’emissione della sentenza di secondo grado, avevano trentasette, trentanove e quarantun anni . La sentenza ribadì anche il principio per cui il terzo acquirente, che è legittimato a ottenere la condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, può altresì chiedere – diversamente da quanto ritenuto in primo grado – di accertare la permanenza o meno delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto personale di godimento in favore del coniuge assegnatario. La sentenza è stata impugnata dalla sig.ra L. sulla base di due motivi, di cui uno verrà parzialmente accolto. Secondo il primo, l’assegnazione costituirebbe un vero e proprio diritto reale per il secondo, comunque non è corretto disporre un’indennità di occupazione. Non solo il giudice del divorzio può accertare la sopravvivenza dei requisiti per l’assegnazione di un immobile, la cui verifica può essere richiesta anche dal terzo acquirente, legittimato altresì a richiedere l’indennità di occupazione. La Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso, esclusivamente relativamente alla data di corresponsione dell’indennità di occupazione, rinviando alla Corte d’Appello di Roma per le opportune decisioni in merito. Ciò che maggiormente interessa in questa sede, è il fatto che abbia respinto il ricorso sulle altre questioni, in particolare relativamente al diritto del terzo acquirente di chiedere l’accertamento della sussistenza delle condizioni per l’assegnazione. Sul punto, prima di tutto la Cassazione ha chiarito che l’assegnazione è un diritto personale di godimento e non reale ha poi statuito, fermo restando che il diritto all’assegnazione della casa coniugale spetta solo nell’interesse dei figli minori o comunque non autosufficienti economicamente, che il terzo acquirente è legittimato a proporre l’azione ordinaria di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo quindi, evidentemente, non solo dinanzi al giudice del divorzio , e la condanna dell’occupante al pagamento di un’indennità di occupazione illegittima. Ha quindi respinto il ricorso sul punto, confermando la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 marzo 2017 – 24 gennaio 2018, numero 1744 Presidente Migliucci – Relatore Sabato Fatti di causa 1. Con citazione notificata il 9.1.2004 P.L. ha convenuto L.P.N. e La.Sa. innanzi al tribunale di Roma chiedendo che la prima fosse dichiarata occupante sine titulo dell’appartamento sito in omissis , già casa coniugale in comproprietà tra i due convenuti poi separati, dall’attore acquistato in seguito al decreto di trasferimento del 7-11.4.2003 emesso dal tribunale di Roma all’esito di vendita giudiziale disposta nel giudizio di scioglimento della comunione tra i predetti signori L. e La. ha chiesto inoltre la condanna dei convenuti al pagamento di somme di denaro in relazione all’esser stato l’immobile venduto come libero, fra cui un’indennità di occupazione sino all’effettivo rilascio. 2. Si è costituita la sola L.P.N. deducendo di occupare legittimamente l’immobile in quanto assegnatole dal giudice della separazione con provvedimento del 6.11.1992, trascritto il 12.11.1996 ha chiesto pertanto il rigetto della domanda. 3. Con sentenza depositata il 18.1.2006 il tribunale di Roma ha rigettato la domanda di rilascio, accertando l’esistenza di un diritto personale di godimento della signora L. opponibile al terzo acquirente anche oltre i nove anni di cui all’art. 1599 cod. civ. in quanto trascritto anteriormente alla procedura divisionale e fino a revoca dell’assegnazione da parte del tribunale della separazione o divorzio, previa verifica dell’insussistenza delle originarie condizioni giuridiche legittimanti così la sentenza del tribunale come riportata a p. 3 della sentenza impugnata ha condannato tuttavia la stessa signora L. a versare al signor P. un’indennità di occupazione, da determinarsi in separata sede, fino al rilascio, non potendo ritenersi tale diritto personale di godimento concesso a mero titolo gratuito ibidem . 4. La sentenza del tribunale è stata appellata dalla signora L. . Nel giudizio di appello il signor P. si è costituito chiedendo il rigetto del gravame. 5. Con successiva citazione notificata il 24.11.2006 P.L. ha chiesto al tribunale di Roma di quantificare l’indennità di occupazione. Nel giudizio si è costituita la signora L. eccependo la nullità dell’atto introduttivo e chiedendo la sospensione del giudizio stesso per contestuale pendenza del giudizio di appello avverso la prima decisione. 6. Il tribunale, disattese le richieste della signora L. , ha determinato l’indennità per la pregressa occupazione dell’immobile in Euro 52.780,69, oltre al versamento di Euro 968,55 mensili sino al rilascio. 7. Anche tale sentenza è stata appellata dalla signora L. , in giudizio in cui il signor P. si è costituito chiedendo il rigetto del gravame. 8. La corte d’appello di Roma, riuniti i due giudizi di impugnazione, con sentenza depositata il 14.3.2012 ha rigettato entrambi gli appelli e ha confermato le decisioni impugnate. 9. A fondamento della decisione, la corte territoriale ha specificato che il provvedimento di assegnazione della casa costituisce un diritto personale di godimento che l’assegnatario può opporre ai terzi nei limiti in cui persistono le esigenze di tutela dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti senza colpa con lui conviventi, per cui per paralizzare la pretesa dell’originario attore non è sufficiente opporre il provvedimento del tribunale che nel lontano 1992 aveva disposto l’assegnazione della casa , ma occorre dimostrare la permanenza, nell’immobile, dei figli che nonostante la maggiore età non siano ancora economicamente autosufficienti e sul punto la corte ha richiamato che, all’emissione della sentenza di appello, le tre figlie dichiarate conviventi La.Ro. , M. e C. avrebbero avuto trentasette, quarantuno e trentanove anni di età p. 7 della sentenza impugnata e che il terzo acquirente dell’immobile, legittimato a ottenere la condanna degli occupanti al pagamento di un’indennità di occupazione, può chiedere diversamente da quanto ritenuto dal tribunale allo stesso giudice adito con tale domanda di accertare la permanenza delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto personale di godimento in favore del coniuge assegnatario p. 7 della sentenza . 10. Tanto, secondo la corte, sarebbe stato ancor più necessario nel caso di specie, ove nessuno dei coniugi avrebbe più interesse alla revoca del provvedimento di assegnazione la signora L. perché ne seguirebbe la perdita di disponibilità dell’immobile, il coniuge separato perché ormai era stato trasferito il suo diritto di proprietà già non implicante il godimento della cosa p. 7 cit. pertanto, il giudice richiesto di determinare l’indennità potrebbe stabilire se e da quanto tempo anche anteriormente alla citazione v. p. 9 della sentenza non sussistano più i presupposti per mantenere in essere il diritto personale di godimento. 11. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la signora L. sulla base di due motivi. L’intimato ha depositato controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 155 cod. civ. e 6 legge numero 74 del 1987 sic rectius, art. 6 comma sesto della I. 1 dicembre 1970, numero 898, come sostituito dall’art. 11 l. 6 marzo 1987, numero 74 contestando l’interpretazione fornita dalla corte di merito dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare o della convivenza e affermando che essa dovrebbe reputarsi attributiva di un diritto reale sic in capo all’assegnatario opponibile ai terzi nei limiti del novennio se non trascritto e senza limiti di tempo ove preventivamente trascritto, finché perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, rimovibile solo con eventuale successiva pronuncia del giudice scilicet, del giudice della crisi della famiglia o della convivenza che accerti il venir meno delle ragioni su cui si è fondata l’attribuzione p. 13 del ricorso da ciò discenderebbe l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che il terzo possa chiedere allo stesso giudice adito con domanda di altro tipo nel caso di specie, di indennizzo per occupazione di accertare la permanenza delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto personale di godimento in favore dell’assegnatario p. 14 del ricorso, oveò si cita la sentenza impugnata . 2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nella parte in cui, ravvisata la sussistenza del diritto di godimento sulla casa, la corte territoriale ha però ritenuto fondata la domanda di liquidazione di un’indennità a favore del proprietario a in una situazione di attuale inesistenza di una pronuncia giudiziale da parte del giudice della separazione ovvero del divorzio in ordine al permanere delle condizioni che giustifichino il godimento e comunque b nell’assenza di una decisione in ordine a tali condizioni dello stesso giudice adito con la domanda di indennizzo, che dunque aveva omesso la pronuncia in argomento in ritenuta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. o comunque aveva reso una motivazione carente ciò, per giunta, contraddittoriamente in quanto, c pur esclude ndo la legittimità di una procedura di liberazione dell’immobile fino a revoca dell’assegnazione medesima da parte del tribunale della separazione ovvero del divorzio , aveva nondimeno riten uto fondata la domanda di accertamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile così pp. 14 e 15 ricorso . In definitiva, la ricorrente ha invocato l’affermazione che l’acquisto dell’immobile gravato dal diritto di godimento d non consenta., a differenza della sentenza impugnata che l’ha riconosciuto con decorrenza dalla data del decreto di trasferimento, di attribu ire il diritto di esigere un’indennità almeno sino all’intervento di una pronuncia giudiziale che disaminerà sic la persistenza dei requisiti legittimanti l’attribuzione p. 15 del ricorso . 3. I due motivi, che in effetti come riepilogato innanzi propongono un più numeroso reticolo di doglianze, sono strettamente connessi, in quanto in particolare al di là dell’articolazione formale offerta ai motivi stessi dalla parte ricorrente v. Cass. numero 3437 del 14/02/2014 e numero 6935 del 22/03/2007 in entrambi vengono contestate, essenzialmente come errores in iudicando ex art. 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., l’affermazione operata dalla corte locale secondo cui il diritto dell’assegnatario sulla casa della famiglia o convivenza sarebbe un diritto personale di godimento in luogo della visione, auspicata dalla parte, quale diritto reale, peraltro perpetuo se il provvedimento sia stato trascritto nonché l’altra affermazione conseguenziale per cui il terzo potrebbe chiedere allo stesso giudice adito con domanda di altro tipo nel caso di specie, almeno originariamente, di condanna al rilascio e al pagamento di indennizzo per occupazione di accertare la permanenza delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto di godimento dell’assegnatario della casa della famiglia o convivenza questa contestazione è poi collegata in quanto il suo esito è determinante i relativi obblighi motivazionali a quella di omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 primo comma numero 5 cod. proc. civ. sollevata con il secondo motivo unitamente a presunta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. su profili attinenti la stessa questione giuridica centrale profili sub a e sub b del secondo motivo nonché su suoi corollari, che pure dunque vanno esaminati in un unico contesto, riguardanti i rapporti tra domanda di rilascio e domanda di indennità profilo sub c del secondo motivo e la decorrenza dell’indennità medesima profilo sub d . I due complessi motivi, congiuntamente valutati, sono parzialmente fondati. 4. Al fine di individuare il quadro normativo da applicarsi alle questioni sollevate, va ricordato che, per effetto della l. 19 maggio 1975, numero 151, l’assegnazione della casa nel giudizio di separazione personale è stata regolata dall’art. 155, quarto comma, cod. civ. che ha disposto che l’abitazione in essa spetta, di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli , comma dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte cost. numero 454 del 27/7/1989 nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento ai fini dell’opponibilità ai terzi. L’ultimo comma di detto articolo ha previsto la facoltà di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni. Parallelamente l’art. 6 della I. sui casi di scioglimento del matrimonio 1 dicembre 1970, numero 898 l. div. , che nel testo originario ha affidato in generale al tribunale il compito di dare provvedimenti riguardo ai figli e stabilire la misura e il modo con cui il coniuge non affidatario debba contribuire al mantenimento degli stessi, è stato novellato dalla l. 6 marzo 1987, numero 74, che visto l’introduzione di un comma sesto a mente del quale L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 del codice civile . Gli aspetti procedimentali della revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento , prevista dall’art. 9 l. div., sono stati regolati dallo stesso art. 9, mentre quelli relativi alla separazione sono restati affidati alla procedura di cui agli artt. 710-711 cod. proc. civ 5. Tale essendo il quadro normativo ratione temporis vigente allorché è stato emanato nel 1992 e trascritto nel 1996 nel caso di specie il provvedimento del tribunale di assegnazione della casa familiare a L.P.N. , va richiamato per completezza che il quadro stesso si è successivamente arricchito. Tale arricchimento si è avuto anzitutto a seguito delle modificazioni apportate dalla l. 8 febbraio 2006, numero 54, in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso, che ha introdotto l’art. 155-quater nel cod. civ., secondo il quale nella logica di un’adozione prevalente del nuovo modulo dell’affidamento dei figli a entrambi i genitori Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 e ha esteso, con l’art. 4, il procedimento anche per la pronuncia dei provvedimenti che disciplinano le condizioni relative ai figli di genitori non coniugati. Ulteriore arricchimento si è avuto poi in virtù del d. lgs. 28 dicembre 2013, numero 154, in tema di revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, che ha abrogato l’art. 155-quater e ha trasferito il relativo contenuto disciplinare nell’art. 337-sexies cod. civ. L’art. 337-sexies cod. civ., giusta quanto disposto dall’art. 337-bis c.c., si applica anche ai casi di separazione, scioglimento e cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio , benché per lo scioglimento sopravviva comunque anche l’art. 6 L. div. e in tal senso già l’articolo 4 della l. numero 54 del 2006 aveva disposto che le norme da essa previste, tra cui l’art. 155-quater cod. civ., si applicassero anche agli altri procedimenti di gestione delle crisi della famiglia e delle convivenze . Essendo gli accordi equiparati negli effetti ai provvedimenti giurisdizionali, le norme predette si applicano anche per la modifica delle condizioni previste negli accordi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio innanzi all’ufficiale di stato civile ovvero assunti in esito a procedura di negoziazione assistita di cui alla l. 10 novembre 2014, numero 162. Infine, la l. 20 maggio 2016, numero 76, all’art. 1 commi 42 e 43 ha specificamente disposto Salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Il diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto al successivo Comma 61 ha disposto che nel caso in cui la casa sia nella disponibilità esclusiva del recedente da un contratto di convivenza, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione. 6. Tale quadro legislativo, come risulta dalla ricognizione sopra svolta, non risolve espressamente i problemi posti dal ricorso, pur emergendo una sostanziale assimilazione, dal punto di vista che interessa, di tutte le procedure di gestione della crisi della famiglia o convivenza va dunque fatto riferimento alla giurisprudenza di questa corte al fine di chiarire in via interpretativa, anzitutto, la natura del provvedimento di assegnazione della casa in secondo luogo, il rilievo dell’opponibilità del provvedimento stesso a confronto con la possibilità per il terzo, acquirente dell’immobile già destinato alla tutela dell’habitat domestico, di far accertare giudizialmente l’inefficacia, originaria o sopravvenuta, dei presupposti di un’assegnazione pur opponibile nonché, in terzo luogo, lo strumentario giuridico disponibile a tale terzo. 7. In argomento, va sottolineato che in particolare questa corte ha indicato che l’assegnazione della casa costituisce in capo all’assegnatario un diritto personale di godimento e non un diritto reale v., anche per richiami, Cass. numero 17843 del 09/09/2016 ha chiarito altresì che, ove la casa sia stata alienata e ciò soltanto dopo l’assegnazione e a prescindere dalle note problematiche in tema di trascrivibilità della relativa domanda contra, Cass. numero 17971 dell’11/09/2015 , il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto anche oltre i nove anni v. Cass. numero 15367 del 22/07/2015, resa peraltro in materia cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, con principi però applicabili anche alla separazione ha sottolineato v. sempre Cass. numero 15367 del 22/07/2015 , però, che l’opponibilità opera su un piano diverso dall’efficacia della pronuncia giudiziale di assegnazione, costituente il titolo in forza del quale il genitore, che non sia titolare in via esclusiva di un diritto reale o personale di godimento dell’immobile, acquisisce il diritto di occuparlo, di regola in quanto affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti senza loro colpa come per giurisprudenza ferma v. ad es. Cass. numero 13603 del 21/07/2004 prescindendosi, sul punto, dal dibattito, riapertosi dopo la più recente legislazione, sull’essere o no l’assegnazione possibile in assenza di figli o in generale rientrante nell’ambito dei provvedimenti a contenuto patrimoniale distinguendosi dunque tra opponibilità ed efficacia della pronuncia giudiziale, quest’ultima può essere messa in discussione circa l’interesse alla cui tutela è stata rivolta l’assegnazione come detto, di regola, quello dei figli , rispettivamente, tra i coniugi, nelle forme del procedimenti di revisione previsti, per i soli casi di sopravvenienze, rispettivamente dagli artt. 710-711 cod. proc. civ. e dall’art. 9 della l. numero 898 del 1970 e, da parte del terzo, non legittimato ad attivare il procedimento suindicato, instaurando, in un ordinario giudizio di cognizione, una domanda di accertamento dell’insussistenza originaria o sopravvenuta, com’è a ritenersi, non rilevando per il terzo le sole sopravvenienze delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale in particolare, per essere venuta meno la presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, con il medesimo conviventi al fine di conseguire una declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l’occupazione della casa coniugale da parte del coniuge assegnatario, a tutela della pienezza delle facoltà connesse al diritto dominicale acquisito ciò in quanto il perdurare sine die dell’occupazione dell’immobile perfino quando ne siano venuti meno i presupposti si risolverebbe in un ingiustificato, durevole, pregiudizio al diritto del proprietario terzo di godere e disporre del bene, ai sensi dell’art. 42 Cost. e dell’art. 832 cod. civ. v. sempre Cass. numero 15367 del 22/07/2015 ha affermato tradizionalmente che il terzo acquirente del bene è tenuto a rispettare il godimento dell’assegnatario nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell’assegnazione , escluso in tali limiti qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per tale godimento, atteso che ogni forma di corrispettivo verrebbe a snaturare la funzione stessa dell’istituto cfr. ad es. Cass. numero 12705 del 29/08/2003 , potendo in caso di inconsapevolezza circa l’assegnazione agire contro il dante causa Cass. numero 18574 del 15/09/2004, nonché già numero 12707 del 2003 cit. ha poi però coerentemente evidenziato che, invece, ove sia inosservato il predetto regime giuridico proprio dell’assegnazione , ancorato ai presupposti di legge, al venir meno di essi, non ponendosi più un problema di opponibilità, il terzo ha diritto a ottenere dagli occupanti, sino al rilascio, il pagamento di una indennità di occupazione illegittima così Cass. numero 15367 del 22/07/2015, in massima . 8. Se, dunque, può considerarsi già ius receptum nella giurisprudenza di questa corte che l’opponibilità del previo provvedimento di assegnazione della casa familiare o della convivenza al coniuge o al convivente, in quanto di regola afficlatario di figli minori o coabitante con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa , nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove trascritto, anche al terzo successivamente resosi acquirente dell’immobile, opera solo finché perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, e l’insussistenza del diritto da qualificarsi personale di godimento sul bene di regola, perché la prole sia stata ab origine, o successivamente divenuta, maggiorenne ed economicamente autosufficiente o comunque versi in colpa per il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica , non ponendosi più un problema di sua opponibilità, legittima il terzo acquirente a proporre un’ordinaria azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna dell’occupante al pagamento di una indennità di occupazione illegittima così Cass. numero 15367 del 22/07/2015, in massima , in base a tale principio generale possono disattendersi in quanto infondati i profili di censura, come sopra enuncleati dai motivi di ricorso, secondo i quali l’assegnazione della casa familiare o della convivenza dovrebbe reputarsi attributiva, diversamente da quanto ritenuto dalla corte d’appello, di un diritto reale tale diritto, se trascritto il provvedimento di assegnazione, sarebbe opponibile senza limiti di tempo finché perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale quest’ultima sarebbe rimovibile solo con eventuale successiva pronuncia del giudice della crisi della famiglia o della convivenza, a iniziativa di uno dei conviventi. Al contrario, deve invece ribadirsi, in continuità con la cennata giurisprudenza, la possibilità per il terzo di agire in via ordinaria e non esclusa la tutela sommaria e d’urgenza di regola indisponibile in sede di giudizio revisionale tra i partner per ottenere l’accertamento che andrà ovviamente correlato, come avviene perfino con le fattispecie estintive tipizzate dell’assegnazione dell’instaurazione di un nuovo matrimonio o una nuova convivenza, con la valutazione dell’interesse dei figli cfr. Corte cost. 30/07/2008 numero 308 e la restituzione. Il caso di specie, del resto, offre evidenza delle conseguenze negative cui condurrebbe una diversa conclusione la corte d’appello ha ben notato come, tra gli ex partner, nessuno avrebbe più interesse alla revoca del provvedimento di assegnazione l’assegnatario perché ne seguirebbe la perdita di disponibilità dell’immobile, l’altro ex convivente perché ormai è stato trasferito il diritto di proprietà già non implicante il godimento della cosa p. 7 sentenza . 9. Parimenti infondato è il profilo di censura, come sopra riepilogato, con cui si contesta tout court la debenza di un’indennità di occupazione. L’inconfigurabilità di un’obbligazione di indennità viene fatta dalla ricorrente discendere dal fatto che a seguito della trascrizione sia stato noto all’acquirente l’essere l’immobile gravato da un diritto di godimento che erroneamente la ricorrente, come detto, paragona all’usufrutto e al diritto di abitazione quali diritti reali tendenzialmente a vita . Al riguardo, si è invece sopra sottolineato che altro sono la pubblicità e l’opponibilità che ne consegue opponibilità comunque novennale in assenza di pubblicità , altro è l’efficacia del titolo, la quale ultima per l’intrinseca provvisorietà dei provvedimenti in materia di famiglia e convivenze può essere liberamente messa in dubbio, senza che a ciò sia di ostacolo la trascrizione e quando sia accertata su iniziativa del. terzo l’insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei presupposti per l’assegnazione non si versa più in una situazione per cui rilevi l’opponibilità, bensì in una situazione di inefficacia dell’assegnazione, pur opponibile, situazione che provoca il riespandersi delle facoltà dominicali compresse cfr. di nuovo Cass. numero 15367 del 22/07/2015 , con i conseguenti diritti alla consegna, all’indennità e, se del caso, al risarcimento. 10. È necessario a questo punto, dopo l’esame delle questioni relative alla natura del diritto, con digressione, esaminare se l’azione di accertamento e condanna proposta del terzo, tesa a far emergere l’inefficacia del diritto stesso, debba rivolgersi contro entrambi gli originari coniugi o conviventi, oppure contro solo quello che tra essi al di fuori di casi specifici di affidamento condiviso occupi l’immobile. La questione rileva, nella fattispecie in esame, ai fini della verifica della regolarità del contraddittorio, posto che il signor P. ha agito nei soli confronti della sola signora L. quanto meno nel giudizio relativo al quantum e nel presente giudizio di legittimità. Al riguardo, va ribadito l’indirizzo già espresso da Cass. numero 15367 del 2015, cit., di favore per la seconda opzione al di là dei casi, ovviamente, in cui nel medesimo processo il terzo intenda cumulare domande propriamente riferite all’altro soggetto, quali il risarcimento del danno per fatto di questi . Non paiono, infatti, cogliere nel segno le critiche mosse all’orientamento già recepito da questa corte, le quali auspicano invece che la decisione nel giudizio avviato dal terzo debba pronunziarsi nel contraddittorio dei soggetti già presenti nel giudizio che ha portato all’assegnazione il riferimento è ai partner, ma logicamente la tesi dovrebbe implicare anche la presenza del pubblico ministero, ove sussista prole minore , alla luce dell’esigenza di una nuova valutazione delle esigenze della prole. Tale valutazione, come detto costituzionalmente necessitata cfr. Corte cost. 30/07/2008 numero 308 cit. , può e deve essere compiuta a prescindere dall’individuazione delle controparti del giudizio, che vanno invece identificate in ragione del principio per cui oggetto di analisi per determinare legittimazione ad agire e contraddire, nonché titolarità attiva e passiva del rapporto, deve essere la domanda, esaminata rispettivamente in astratto e nel merito Cass. sez. U 16/02/2016 numero 2951, § § 31 e 33 del resto, in assenza di disposizioni di legge impositive di un litisconsorzio per opportunità, l’azione del proprietario volta a ottenere il rilascio del proprio immobile gravato da un mero diritto atipico di godimento, previo accertamento dell’inefficacia di quest’ultimo, ed eventuali statuizioni accessorie, non afferisce ad alcun rapporto sostanziale plurisoggettivo tale da necessitare il litisconsorzio. Non interferisce, in particolare, con una situazione plurisoggettiva passiva la domanda di condanna al pagamento di indennità di occupazione, la quale si rivolge esclusivamente verso l’occupante cfr. Cass. numero 15367 del 2015 cit. quale soggetto responsabile in quanto unico capace di porvi termine in via antiprocessuale della crisi di cooperazione consistente nella violazione, ove sia intervenuta richiesta, di consegnare la res oggetto di diritto reale altrui, a fronte dell’inefficacia, originaria o sopravvenuta, del titolo che ne giustificava la detenzione la responsabilità dell’assegnatario si configura sia quando le lesione dell’obbligo di cooperazione dipenda dal fatto proprio, sia quando dipenda dal fatto delle persone di cui lo stesso debba rispondere verso il proprietario familiari, quali figli maggiorenni in colpa nel raggiungimento dell’autosufficienza conduttori pro parte di locali nell’immobile, ove consentito il subcontratto ecc. ciò in conformità ai principi ampiamente affermati in tema di diritti personali di godimento. Resta ferma, ovviamente, la possibilità dell’intervento volontario dell’altro partner ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., nonché resta il dato di fatto per cui il rilascio della casa, pronunciato inter alios, e a prescindere dal dibattito circa il contenuto patrimoniale dell’assegnazione, può incide re sull’assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione o del divorzio così Cass. numero 12705 del 29/08/2003, cit., come detto precedente rispetto al chiarimento di cui a Cass. numero 15367 del 22/07/2015 meno ovvio, invece, salvo che per i casi in cui sussista il consenso degli ex partner nel mantenimento del godimento della casa pur a fronte della consapevolezza dell’inefficacia del titolo ad es. per consentire il prosieguo degli studi di un figlio maggiorenne oltre i limiti di durata del corso , è il rifluire del pagamento dell’indennità nell’ambito di detti assetti, stante l’anzidetta individuazione del soggetto responsabile per la consegna nel solo occupante. Refluenze della specie in particolare, la perdita della casa sono, comunque, meri fatti sopravvenuti la cui trattazione a meno di non voler ipotizzare, come implicherebbe la tesi non accolta, un convogliarsi nel giudizio ordinario promosso dal terzo di dibattiti processuali non confacenti, estesi all’ampio governo delle esigenze di gestione della crisi della convivenza, di cui l’assegnazione dell’abitazione rappresenta solo uno di molteplici aspetti trova nel successivo, tendenzialmente rapido, giudizio camerale di revisione delle condizioni di separazione o divorzio la sede propria. 11. All’esito di tale digressione sui profili di rito, dunque, oltre ad affermarsi la regolarità del contraddittorio, in quanto instaurato nei soli confronti dal signor P. nei soli confronti della signora L. nel segmento processuale sopra menzionato, con prosecuzione analoga in questo giudizio di legittimità, può ulteriormente affermarsi l’infondatezza del profilo di censura dianzi menzionato, concernente i diversi rapporti tra giudizio ordinario e giudizio di revisione delle condizioni di separazione auspicati dalla ricorrente. 12. In argomento, fermo il predetto principio di carattere generale affermativo della possibilità di un giudizio ordinario con il quale il terzo, agendo nei confronti dell’occupante, ottenga accertamento dell’inefficacia originaria o sopravvenuta del provvedimento di assegnazione della casa, sono peraltro necessari due chiarimenti, che il caso di specie impone in particolare, è necessario trattare delle modalità di proposizione di detta azione di accertamento rispetto alle azioni di rilascio e di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, con particolare riguardo al se sia necessario, prima di poter accedere alle seconde, promuovere la prima per rimuovere l’ attuale inesistenza di una pronuncia giudiziale in ordine alla mancata persistenza dei requisiti che giustificano il diritto e il chiarimento consentirà anche di risolvere le questioni connesse ai dedotti vizi motivazionali per contraddittorietà nella decisione impugnata che, esclude ndo la legittimità di una procedura di liberazione dell’immobile fino a revoca dell’assegnazione medesima da parte del tribunale della separazione ovvero del divorzio , ha nondimeno riten uto fondata la domanda di accertamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile della decorrenza della debenza dell’indennità di occupazione, che si deduce essere ancorata all’intervento di una pronuncia giudiziale che disaminerà sic la persistenza dei requisiti legittimanti l’attribuzione di un diritto all’assegnazione, a fronte invece della sentenza impugnata che l’ha riconosciuta con decorrenza dalla data del decreto di trasferimento anche in questo caso la questione è connessa con le deduzioni di insufficiente motivazione . 13. Per affrontare entrambi gli aspetti anzidetti è indispensabile una premessa che valga a tener conto della diversità di caratteristiche e dei correlativi limiti dell’azione di revisione delle condizioni di gestione delle crisi della famiglia e delle convivenze, da un lato, e dell’azione di accertamento da parte del terzo del venir meno dei presupposti dell’efficacia dell’assegnazione della casa, dall’altro. Nel primo caso soltanto, in particolare, come si evince dalla scelta legislativa di adozione in entrambe le procedure di gestioni delle crisi del rito camerale e dall’intervento anche imposto costituzionalmente del pubblico ministero in presenza di figli v. Corte cost. numero 416 del 9/11/1992 , il giudice che debba confrontarsi con l’eventuale venir meno dei presupposti legittimanti l’assegnazione della casa è tenuto a pronunciare su diritti e a gestire interessi, che la crisi della famiglia o della convivenza impedisce agli interessati di trattare da sé soli, alla luce delle sopravvenienze cfr. sul punto Cass. numero 19605 del 30/09/2016 e numero 14175 del 12/07/2016 , nonché con preminente rilievo della volontà delle parti pur nell’indisponibilità di taluni diritti. Nel secondo caso, invece, come si confà a un procedimento ordinario in cui si disputa di diritti soggettivi in tema di proprietà, al terzo proprietario si contrappongono l’ex coniuge o convivente occupante l’immobile, la cui volontà eventualmente perfino di consentire, d’accordo con l’ex partner, come già accennato, l’uso dell’abitazione all’affidatario dei figli e a questi ultimi pur oltre gli stretti limiti di legge, semmai anche per apprezzabili finalità di natura sociale non rileva in quanto può confliggere con le ragioni della proprietà, onde il giudice è chiamato obiettivamente ad accertare il venir meno dell’efficacia dell’assegnazione, con i provvedimenti conseguenziali. 14. Da tale differenziazione deriva che la proposizione della domanda di accertamento del terzo, per essere questi estraneo alla gestione della crisi della famiglia o della convivenza, non soffre i limiti temporali di proponibilità connessi alle procedure per la gestione medesima cfr. ad es. Cass. numero 21874 del 15/10/2014, cui si rinvia anche per richiami, in ordine all’accessibilità dei procedimenti di revisione solo dopo il passaggio in giudicato delle sentenze di separazione o divorzio , dovendo ritenersi come già accennato sopra ipotizzabile una contestazione da parte del terzo anche del sussistere ab initio dei presupposti dell’assegnazione della casa come nelle ipotesi di assegnazione in pregiudizio al terzo, ad es., di un’abitazione non adibita a residenza familiare, o simulando esigenze di studio di figli maggiorenni . Dalla non riconducibilità agli schemi processuali dettati per la revisione delle condizioni di separazione e divorzio, come sopra esplicati, deriva altresì la piena soggezione delle domande a proporsi dal terzo, innanzi al tribunale monocratico deputato a trattare le azioni in tema di proprietà, al principio generale della libera cumulabilità delle stesse per cui non solo si potrà agire per accertamento dell’insussistenza originaria o sopravvenuta delle condizioni di assegnazione, ma potranno proporsi in un unico contesto le domande di consegna e di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, oltre eventualmente, ricorrendone i presupposti si richiamano gli esempi, dianzi avuti presenti, di dolosa preordinazione di un’assegnazione carente di presupposti , il risarcimento dei danni di regola, anzi, le domande in questione dovranno proporsi cumulativamente, al fine di evitare abusi del processo. D’altronde, la domanda di accertamento d’insussistenza originaria o sopravvenuta dei presupposti per l’assegnazione può anche essere implicita nella domanda di rilascio e di pagamento dell’indennità in tal senso può leggersi Cass. numero 15367 del 22/07/2015, cit., ove non trova accoglimento motivo di ricorso censurante l’assenza di un provvedimento di revoca dell’assegnazione, previo rispetto alla sentenza di condanna al rilascio cfr. altresì, in altro ambito e mutatis mutandis, per la possibilità di ritenere anche formulata domanda di rilascio quando sussista domanda di accertamento, Cass. numero 6148 del 30/03/2016 . 15. Conseguentemente, dovendosi affermare il predetto principio di diritto, risulta infondato il profilo di censura a mezzo del quale, mediante espressioni contenute nel secondo motivo messe in relazione con la censura di violazione di legge contenuta nel primo, la ricorrente ha denunciato come illegittima una procedura di liberazione dell’immobile fino a revoca dell’assegnazione medesima da parte del tribunale della separazione ovvero del divorzio . 16. Va a questo punto esaminato il profilo di censura con cui la ricorrente ha sostenuto essere mancata, nella decisione della corte d’appello, un’effettiva valutazione del venir meno dei presupposti per l’assegnazione, ove come qui si è ritenuto tale valutazione dovesse svolgere il giudice anche al di fuori del contenzioso familiare. La doglianza, sottoposta sia per omessa pronuncia in ritenuta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. sia comunque per motivazione carente, è infondata. La sentenza impugnata infatti, nella trattazione del motivo di appello sul tema, ha richiamato al § 5.1.1. l’essere ancorata la ratio dell’assegnazione, di regola, alla tutela degli interessi della prole minorenne p. 6 della sentenza ha indi richiamato pertinente giurisprudenza ha infine ricordato al § 5.1.2. che le tre figlie dichiarate conviventi La.Ro. , M. e C. erano nate nel , nel e nel . Risulta dunque coerentemente, seppur succintamente, svolta l’indagine demandata al giudice del merito circa l’essere venuti meno all’epoca dell’acquisto nel 2003 e all’eventuale successiva mora cfr. infra grazie a semplice confronto con le date di nascita risulta che nel 2003 la più giovane figlia era ventinovenne i presupposti per l’assegnazione della casa a tutela della prole, essendo stata fatta applicazione dei principi per i quali, a fronte del raggiungimento di una congrua età ben superiore a quella del passaggio alla posizione di maggiorenne e alla conclusione di un ordinario ciclo di studi, deve presumersi che la persona sia da tempo inserita nella società o che la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico-reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche, costituisca un indicatore forte d’inerzia colpevole cfr. Cass. numero 12952 del 22/06/2016 e, in generale, numero 610 del 17/01/2012 . L’avere la corte territoriale svolto comunque il relativo accertamento esime questa corte di legittimità dall’esaminare se, nel giudizio instaurato dal terzo ai fini più volte precisati, valgano o non valgano, specialmente una volta conseguita la maggiore età da parte dei figli conviventi con l’assegnatario della casa, le medesime regole in tema di onere probatorio circa il raggiungimento dell’indipendenza economica che la giurisprudenza applica ai conflitti nell’ambito della famiglia o della convivenza, ove i partner hanno accesso a informazioni che al terzo potrebbero essere precluse. 17. Deve quindi passarsi alla censura di contraddittorietà motivazionale, connessa a quanto innanzi e pure dedotta nel secondo motivo, con la quale la ricorrente ha denunciato come non appaia coerente logicamente e giuridicamente che, mediante conferma della sentenza del tribunale sul punto, si sia ancorato al mancato accertamento del venir meno dei presupposti per l’assegnazione ritenuto dal tribunale di esclusiva spettanza del giudice della procedura di separazione il rigetto della domanda di consegna, mentre invece, affermandosi la spettanza al giudice in sede ordinaria della relativa domanda, si sia, sempre in conferma della sentenza del tribunale, riten uta fondata la domanda di accertamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile . Trattandosi di motivazione, riferita alla quaestio facti dell’esistenza dei presupposti dell’accertamento dell’inefficacia del titolo assegnativo, da accertarsi da parte del giudice del merito , ò non affetta da una mera contraddittorietà, ma tale da determinare l’almeno apparente logica insostenibilità della motivazione in quanto dal medesimo fatto si fa derivare una prima conseguenza giuridica e se ne nega una seconda, legata al fatto controverso dallo stesso nesso logico che lo lega alla prima , il ricorso va accolto per quanto di ragione, e la sentenza impugnata va cassata sul punto, in particolare essendo demandato al giudice di rinvio, sulla base del riesame degli atti, verificare anzitutto se l’antinomia sia giustificata da ragioni processuali, da esprimersi nel provvedimento, quali il giudicato interno alla p. 4 della sentenza impugnata si legge che il signor P. , nell’ambito del primo appello concernente l’an, avrebbe chiesto il mero rigetto dell’appello e, in secondo luogo, rinnovare giustificando adeguatamente o modificando, in contraria ipotesi, la diversità delle pronunce risultanti previo riferimento agli applicabili principi di diritto di cui si è detto. 18. Quanto poi al profilo di censura, con cui si fa questione dell’individuazione del dies a quo di spettanza dell’eventuale indennità di occupazione illegittima, lamentandosi che la corte d’appello, confermando la statuizione del tribunale, abbia fatto decorrere l’indennità in questione dalla data di pubblicazione del decreto di trasferimento nel procedimento divisionale, cioè di acquisto dell’immobile da parte del signor P. 11 aprile 2003 pp. 2 e 4 della sentenza impugnata , e sostenendosi la spettanza, al limite, dell’indennità dalla data di emanazione di un provvedimento ex art. 710 cod. proc. civ. attualmente inesistente, va detto che, ancora una volta, mediante espressioni contenute nel secondo motivo messe in relazione con la censura di violazione di legge contenuta nel primo, la ricorrente denuncia indirettamente, in effetti, oltre che una omessa pronuncia e un vizio di motivazione, una violazione delle norme indicate nel primo motivo. 19. La censura è infondata sia quanto ai profili motivazionali sia, ancor più, quanto alla presunta omissione di pronuncia sul secondo motivo di appello della seconda impugnazione con cui si era sostenuto doversi far decorrere l’indennità, al limite, stante la contestazione nell’an con la prima impugnazione, dalla notifica dell’atto introduttivo del primo giudizio 9 gennaio 2004 . In effetti, la corte d’appello ha trattato il motivo, in piena adeguatezza rispetto all’art. 112 cod. proc. civ., avendo semplicemente applicato un criterio difforme rispetto a quello auspicato dalla parte. 20. La censura, invece, è parzialmente fondata se esaminata ex art. 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., in quanto la decorrenza prescelta dalla corte d’appello per l’Indennità di occupazione è operata sulla base di una regula iuris difforme dalla ricostruzione giuridica discendente da una corretta interpretazione degli artt. 155 cod. civ. e 6 l. div., in relazione agli artt. 42 Cost. e 832 cod. civ. v., per il richiamo anche di tali norme quali regolatrici della fattispecie, sempre Cass. numero 15367 del 22/07/2015 . 21. Sul punto, il precedente più volte cit. di Cass. numero 15367 del 2015, negando che l’indennità potesse essere dovuta dalla data di pervenimento di una costituzione in mora stragiudiziale, ha ancorato la debenza dell’indennità alla data di deposito della sentenza di appello che ha accertato l’illegittimità del perdurare dell’occupazione del bene in parola . Tale approdo deve essere rimeditato. Senza che sia necessario esaminare nel dettaglio la predetta soluzione accolta nel precedente del 2015, intermedia tra le altre opzioni possibili ad es. decorrenza dalla costituzione in mora pur negata, dalla domanda giudiziale o dal giudicato , un ripensamento in ordine alla stessa deve necessariamente muovere dalla considerazione della natura del diritto a fronte della cui originaria o, di regola, sopravvenuta inefficacia emerge l’obbligo di consegna della casa. Si è detto che la giurisprudenza consolidata riconosce lo stesso quale atipico diritto personale di godimento ciò avviene anche alla luce del riferimento operato dalla legge, ai fini della trascrizione, prima all’art. 1599, poi all’art. 2643 cod. civ. riferimento quest’ultimo poco perspicuo, per la sua genericità, che la dottrina ha letto come confermativò della parificazione al regime pubblicitario della locazione . In tale contesto, come per la locazione e per altri diritti personali di godimento , l’obbligo della riconsegna in generale e fuori dell’esercizio delle azioni costitutive, quali l’azione di risoluzione nasce dalla legge, per cui l’occupante è tenuto ad adempiervi senza particolare sollecitazione, anche se per alcune tipologie di obbligazioni restitutorie, in particolare in caso di indeterminazione del termine, la disciplina normativa della mora rimanda all’esigenza di un’intimazione o richiesta nelle forme stabilite dall’art. 1219 cod. civ. . In ogni caso, la natura dichiarativa dell’azione volta a far emergere il venir meno delle esigenze che hanno condotto all’assegnazione della casa familiare esclude l’attribuzione di un qualsiasi rilievo all’emissione di una sentenza e al suo passaggio in giudicato, rilievo sussistente solo in caso di azioni costitutive. La natura dichiarativa dell’accertamento che la dottrina riconosce anche alla medesima azione quando esercitata nel contesto della domanda di revisione ex artt. 710-711 cod. proc. civ. e 9 l. div., ambito nel quale salvo speciali decorrenze disposte dal giudice, su cui cfr. ad es. Cass. numero 16398 del 24/07/2007 i provvedimenti sono pur tuttavia efficaci in generale per il futuro in ragione della preesistenza di provvedimenti temporanei e urgenti ultrattivi ex artt. 708 cod. proc. civ. e 4 comma ottavo l. div., nonché del loro più ampio inserimento in un contesto di decisioni riguardanti i figli con prevalenza del principio nemo in praeteritum alendus est, ma comunque con attenzione alla salvezza degli effetti della domanda cfr. ad es. Cass. numero 28 del 07/01/2008, numero 3922 del 12/03/2012, numero 16173 del 30/07/2015 non subisce, nel caso di specie, alcun condizionamento dalla pendenza di un più ampio contenzioso relativo a crisi della convivenza e in particolare da precedenti provvedimenti regolativi delle obbligazioni tra le parti, per cui nel caso di azione esercitata dal terzo dalla regola secondo la quale la durata del processo non può danneggiare la parte vittoriosa deve discendere che la decorrenza dell’indennità vada identificata secondo le rate generali al momento della mora restitutoria, realizzata non sussistendo i presupposti per la mora ex re mediante intimazione o richiesta anche antecedenti la domanda giudiziale, cui può equivalere, in mancanza, la domanda giudiziale stessa. 22. A fronte di ciò, il mezzo è parzialmente fondato in quanto pur non dovendosi accogliere in toto la prospettazione della parte circa la presunta decorrenza dalla futura emissione di un provvedimento ex art. 710 cod. proc. civ. o dalla data della citazione nel secondo giudizio la sentenza impugnata comunque ha fatto applicazione di una regula iuris diversa da quella confacente giusta quanto esposto, che si compendia nel principio per cui, in caso di azione proposta dal terzo per l’accertamento dell’inefficacia dell’assegnazione della casa familiare o della convivenza, per assenza dei presupposti, la spettanza di un’indennità per l’occupazione illegittima si ha a far tempo dal verificarsi della mora restitutoria, mediante intimazione o richiesta, oppure, in mancanza, domanda giudiziale. Va dunque anche sul punto accolto il ricorso. 23. Al parziale accoglimento del ricorso, limitatamente ai profili di cui innanzi, consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che procederà a rinnovato esame attenendosi ai formulati principi di diritto e fornendo congrua motivazione, nonché regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. la corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello di Roma, in diversa sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.