Figlia autonoma: niente casa coniugale alla madre

Revocata l’assegnazione dell’appartamento, di proprietà dell’ex marito. Decisiva la constatazione della crescita compiuta dalla ragazza, che ha concluso il proprio percorso di studi e sta affrontando il mondo del lavoro.

Addio alla casa coniugale. A inchiodare l’ex moglie è la crescita – non solo di età – della figlia, che ha ottenuto il diploma e vanta un curriculum ricco di esperienze lavorative Cassazione, ordinanza n. 1546/2018, Sezione Sesta Civile, depositata il 22 gennaio 2018 . Indipendenza. Riflettori puntati sulla casa coniugale, di proprietà del marito assegnata all’ex moglie. Decisiva la convivenza della figlia non autosufficiente con la madre . Quest’ultimo dettaglio è però venuto meno, secondo i Giudici d’Appello, che, di conseguenza, restituiscono l’appartamento all’uomo, nonostante le proteste e le obiezioni della donna. Questa decisione è confermata ora dalla Cassazione. Fondamentale è il riferimento al curriculum della figlia, che, avendo superato la soglia dei 30 anni, ha ultimato il percorso di studi con la scuola superiore e ha deciso di inserirsi nel mondo del lavoro, svolgendo una pluralità di occupazioni e, osservano i Giudici, maturando un’autonoma organizzazione di vita e una capacità di mantenimento rispetto ai genitori . Di conseguenza, non vi sono più i presupposti per l’assegnazione della casa alla madre, a tutela della prole , concludono i Giudici. Respinta, quindi, la tesi proposta dall’ex moglie, tesi secondo cui la figlia svolge solo lavori occasionali e non è quindi indipendente da un punto di vista economico.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 dicembre 2017 – 22 gennaio 2018, n. 1546 Presidente Di Virgilio – Relatore Nazzicone Fatto e diritto Rilevato - che la parte ricorrente ha proposto ricorso, fondato su due motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 10 ottobre 2016, la quale ha riformato la decisione di primo grado, revocando l’assegnazione della casa coniugale in favore della odierna ricorrente - che, per quanto ancora rileva, la corte del merito, premesso che la casa, sebbene di proprietà esclusiva del marito, era stata assegnata alla ex-moglie in ragione della convivenza della figlia non autosufficiente con la madre, ha accertato invece come, sulla base delle prove raccolte, risulti superata tale circostanza posto che la figlia, al momento della decisione d’appello di anni 33, ha ultimato il percorso di studi con la scuola superiore, decidendo di inserirsi nel mondo del lavoro e svolgendo in effetti una pluralità di occupazioni, maturando un’autonoma organizzazione di vita e capacità di mantenimento rispetto ai genitori, onde non sussistono più i presupposti per l’assegnazione della casa alla madre a tutela della prole - che la parte intimata si difende con controricorso - che è stata disposta la trattazione con il rito camerale ex all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti - che la ricorrente ha depositato la memoria Considerato - che il primo motivo, il quale censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 2702, 2704, e 116 c.p.c., per avere la corte del merito basato la decisione sopra un unico documento, costituito dallo scritto contenente il curriculum della figlia ed il riferimento a presunte esperienze lavorative, in contrasto con tutte le prove documentali dalla ricorrente prodotte, è palesemente inammissibile - che, infatti, esso, pur sotto l’egida del vizio di violazione di legge, lamenta nella sostanza, come è rivelato dalle molteplici espressioni usate, un inadeguato e non condiviso giudizio di fatto, riservato ai giudici del merito, circa la effettiva autosufficienza economica della figlia, riproponendo nella sostanza argomenti fattuali già esaminati dai giudici di merito - che esso è inammissibile, anche laddove opera riferimento ad un omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b , d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla 1. 7 agosto 2012, n. 134 , dato che parimenti ivi ripropone in pieno il giudizio di fatto, del tutto estraneo ai limiti della disposizione cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 - che, invero, al riguardo basti richiamare il principio espresso dalla decisione ora menzionata, secondo cui L’art. 360, 1 comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli art. 366, 1 comma, n. 6, e 369, 2 comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie - che il secondo motivo - il quale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74, 324 c.p.c., per avere la corte d’appello errato nel ritenere integrato un fatto nuovo a giustificazione della revoca dell’assegnazione della casa, in quanto la figlia non è affatto indipendente e svolge solo lavori occasionali - è parimenti inammissibile, in quanto impinge allo stesso modo in giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità - che la condanna alle spese segue la soccombenza - che, pur essendo il ricorso notificato dopo l’entrata in vigore della novella al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, che apporta innovazioni al regime delle spese di giustizia per il caso di rigetto dell’impugnazione, la ricorrente, risultando ammessa al gratuito patrocinio, non deve essere onerata delle conseguenze ivi previste, vale a dire del pagamento aggiuntivo collegato al rigetto integrale o alla definizione in rito dell’impugnazione cfr., e multis, Cass. n. 2023/2015 18523/2014 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.