Accettazione del legato: non sussiste inconciliabilità con l’azione di riduzione della disposizione testamentaria

Il diritto patrimoniale e potestativo del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di riserva, dopo l’apertura della successione, è rinunciabile anche tacitamente, sempre che detta rinuncia sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento concludente del soggetto interessato che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione.

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 168 depositata il 5 gennaio 2018, si è pronunciata in materia di divisione testamentaria ove si domandava la rescissione ovvero la riduzione della disposizione ritenuta semplicemente lesiva della quota di legittima e non anche nulla. La pronuncia è d’interesse giacché i Giudici di merito erroneamente avevano applicato al caso di specie l’art. 590 c.c. che, come noto, prevede che in caso di nullità della disposizione testamentaria, la stessa non possa essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, abbia confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione. Il caso. Con testamento pubblico una donna aveva disposto dei suoi averi dividendo il patrimonio tra i due figli in parti uguali taluni beni erano stati assegnati in proprietà esclusiva a ciascuno dei due, altri erano invece stati lasciati in comunione indivisa. Uno dei due figli agiva in giudizio convenendo gli aventi causa del fratello affinché venisse dichiarata la nullità della divisione ovvero la sua rescissione per lesione, ovvero in subordine domandava la riduzione delle disposizioni testamentarie, in quanto lesive della quota di legittima a lui spettante. Era accaduto che tra i germani insorgesse una controversia in merito al valore da attribuire alla volontà testamentaria giacché i convenuti ritenevano che le assegnazioni degli immobili contenute nel testamento fossero da interpretare in termini di legato. Di diversa opinione l’attore che, invece, interpretava la disposizione testamentaria come una vera e propria divisione di cui, come detto, domandava la rescissione ovvero la divisione in quanto lesiva della sua quota di legittima. Il Tribunale rigettava le domande attoree. La Corte di Appello confermava la sentenza ritenendo corretta l’interpretazione secondo cui, in relazione alle assegnazioni dei singoli immobili la testatrice avesse inteso prevedere dei legati. Respingeva inoltre la richiesta di rescissione sostenendo che l’attore avesse tenuto comportamenti concludenti implicanti l’accettazione dei legati e, quindi, inconciliabili con la volontà di agire in giudizio per far valere il presunto pregiudizio. Parimenti respingeva la domanda di riduzione per lesione della quota di riserva ritenendo che, con l’attore ed il fratello, all’epoca dell’apertura della successione, concorresse anche il coniuge del de cuius . L’errore di diritto che considerava concorrere con i fratelli anche il coniuge premorto. La decisione era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. Il ricorrente, per quanto in questa sede preme mettere in evidenza, assumeva preliminarmente l’esistenza di un errore di diritto che aveva condizionato l’esito dei giudizi di primo e secondo grado. I Giudici di merito avevano infatti erroneamente considerato che alla data di apertura della successione con i due germani concorresse anche il coniuge del de cuius , circostanza questa non corrispondente al vero giacché il coniuge era pre morto alla testatrice sicché le quote di legittima andavano determinate diversamente tenendo conto del solo concorso dei figli. Conseguentemente i Giudici avevano considerato per individuazione delle quote di riserva l’art. 542, comma 2, c.c. e non già l’art. 537, comma 2, c.c Tale motivo era ritenuto meritevole di accoglimento da parte della Cassazione. Nessun comportamento concludente inconciliabile con la volontà di esperire l’azione di riduzione. Parimenti fondato era considerato anche il secondo motivo di ricorso. I Giudici di primo e secondo grado avevano escluso l’accoglimento della domanda di riduzione sul presupposto che il ricorrente avesse tenuto una serie di condotte concrete implicanti l’accettazione dei legati in suo favore, da cui era stato possibile ricavare la volontà dell’attore di rinunciare a far valere la lesione. Il ricorrente sosteneva che l’art. 590 c.c., richiamato dal giudici di merito, fosse improprio in ragione del fatto che tale norma contempla le ipotesi di disposizioni testamentarie affette da nullità e non già nelle ipotesi di disposizioni lesive della posizione del legittimario. Gli Ermellini richiamavano la costante giurisprudenza formatasi sul punto in ragione della quale, l’esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie non determina una rinuncia al proponimento dell’azione di riduzione che, pertanto, può validamente essere proposta dal legittimario al fine di domandare l’integrazione della legittima. Specificavano i Giudici di legittimità che la volontà di rinunciare all’integrazione della legittima potesse essere desunta solo dall’esistenza di elementi concordanti da cui emerga che la parte interessata abbia avuto la consapevolezza dell’esorbitanza delle disposizione testamentarie e l’abbia eseguita nella sua integrità. Nel caso di specie invece i magistrati avevano erroneamente valutato il comportamento del ricorrente che non poteva essere inteso in senso di rinuncia alla tutela della sua quota di legittima. Egli infatti non avrebbe dovuto rinunciare ai legati di cui era beneficiario, al fine di richiedere l’integrazione della legittima, come nel caso di cui all’art. 551 c.c., trattandosi di ipotesi differente da quella contemplata dalla norma ed essendo il ricorrente al contempo anche erede oltre che legatario e potendo, come era accaduto nel caso di specie, trattenere i legati ricevuti e richiedere la differenza tra quanto ricevuto per testamento e quanto riservatogli in virtù della successione necessaria. Il ricorso era quindi accolto con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 dicembre 2017 – 5 gennaio 2018, n. 168 Presidente Mazzacane – Relatore Criscuolo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 16 gennaio 1999 La.Se. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lucca, L.M. , S.L. e M.E. , quali eredi di L.G. , affinché fosse dichiarata la nullità ovvero accertata la rescissione per lesione della divisione contenuta nel testamento di L.B. , dichiarando pertanto che i beni relitti andavano assegnati ai due figli in quote eguali, ovvero disporre in via subordinata la riduzione delle disposizioni testamentarie, in quanto lesive della quota di legittima spettante all’attore. Evidenziava che la madre L.B. con testamento pubblico del 16 gennaio 1991 aveva disposto dei suoi beni in favore dei figli Se. e G. , quest’ultimo dante causa dei convenuti, dividendo gli immobili in parti eguali, ma previa assegnazione in proprietà esclusiva di alcuni cespiti in favore dell’attore ed altri in favore del dante causa dei convenuti, lasciando altri beni in comunione indivisa. Era tuttavia sorta controversia tra le parti circa la corretta interpretazione delle volontà testamentarie, in quanto i convenuti sostenevano che le assegnazioni dei singoli immobili si configuravano alla stregua di legati, così che l’istituzione in quote eguali tra i fratelli L. concerneva solo i terreni. Ad avviso dell’attore invece, la de cuius aveva inteso, previa determinazione della quota di ognuno dei due figli in misura pari alla metà dell’asse relitto, predisporre una divisione testamentaria, senza che potesse avere rilievo l’utilizzo, in relazione all’assegnazione dei singoli cespiti, di espressioni quali lascio e lego . Aggiungeva che in ogni caso la divisione era rescindibile ex art. 763 2 co. c.c., in quanto i beni attribuiti all’attore erano di valore inferiore di oltre un quarto rispetto alla quota ereditaria, deducendo altresì, in via subordinata, che le disposizioni testamentarie avevano leso la sua quota di riserva. I convenuti si costituivano in giudizio deducendo l’infondatezza della domanda attorea, ribadendo che le assegnazioni dei singoli immobili erano da intendersi quali legati. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale con la sentenza n. 601 del 10/5/2007 rigettava integralmente le domande attoree, ed a seguito di gravame proposto da L.D. e R.L. , quali eredi di La.Se. , la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza n. 126 del 31 gennaio 2012 rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza impugnata. Secondo la Corte distrettuale doveva ritenersi corretta l’interpretazione del testamento offerta dal giudice di primo grado, non potendosi accedere alla tesi dell’appellante secondo cui l’istituzione di eredi in quote eguali aveva ad oggetto l’intero patrimonio ereditario. In realtà, laddove la testatrice aveva utilizzato le espressioni lascio e lego in relazione all’attribuzione di singoli immobili, aveva effettivamente inteso prevedere dei legati, mentre l’istituzione di eredi in parti eguali tra i due fratelli si limitava unicamente all’attribuzione dei terreni. Tale conclusione era poi confermata, oltre che dal tenore letterale delle espressioni utilizzate, anche dal fatto che erano contenute in un testamento pubblico, redatto quindi con l’assistenza di un professionista da presumersi particolarmente esperto della materia successoria, dovendosi quindi escludere un utilizzo delle stesse in maniera impropria. Inoltre non poteva condurre a conclusioni diverse la disamina delle deposizioni testimoniali, rese in maniera generica e da soggetti che erano comunque in senso lato interessati al giudizio. Quanto alla domanda di rescissione, riteneva che la stessa non fosse meritevole di accoglimento, in quanto l’attore aveva tenuto comportamenti concludenti che implicavano l’accettazione dei legati, mentre in ordine alla dedotta lesione della quota di riserva, evidenziava che in realtà la quota spettante all’attore era pari ad un quarto dell’asse ereditario, e non già ad un terzo, come invece sostenuto in citazione, atteso che alla successione concorrevano oltre ai due germani L. anche il coniuge. Ma anche in relazione all’azione di riduzione, la condotta dell’attore equivaleva ad una inequivoca rinunzia alla stessa, attesa l’esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie. Per la cassazione di tale pronunzia L.D. ha proposto ricorso affidato a due motivi. L.S. , L.L. , L.M. e M.E. , quali eredi di L.G. hanno resistito con controricorso. R.L. non ha svolto difese in questa fase. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. nell’imminenza dell’udienza. Motivi della decisione 1. Preliminarmente occorre dare atto che le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 10648/2017, si sono pronunziate sulla questione di massima importanza, in relazione alla quale questa Sezione con ordinanza del 31/10/2016 aveva rinviato la causa a nuovo ruolo, in attesa proprio dell’intervento delle Sezioni Unite. In tal senso si è quindi affermato il principio per il quale in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio. Nella fattispecie, come si è evidenziato anche nella menzionata ordinanza, la questione concernente l’avvenuta notifica della sentenza gravata è stata posta da parte controricorrente, in assenza di qualsivoglia attestazione sul punto ad opera del ricorrente, e che la copia notificata si rinviene nella stessa produzione dei controricorrenti, il che impedisce, alla luce di quanto affermato da questa Corte nella sua più autorevole composizione, che possa pronunciarsi l’improcedibilità del ricorso. 2. Sempre in limine litis deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti in conseguenza della dedotta tardiva proposizione. Assumono i controricorrenti che, essendo stata la sentenza impugnata notificata al difensore del ricorrente in data 29/3/2012, il termine breve per l’impugnazione veniva a scadere il 28 maggio 2012. Ebbene, emerge dagli atti che il ricorrente presentava l’atto per la notifica ai controricorrenti proprio in data 28/5/2012, ma indicando come domicilio degli stessi quello in Firenze alla via La Pira n. 21, salvo poi, essendo il ricorso tornato inesitato con la dicitura sconosciuto o trasferito , provvedere ad una seconda notifica al corretto indirizzo del loro difensore in OMISSIS , solo in data 5 giugno 2012, ben oltre quindi il termine prescritto. Assumono altresì che, oltre a rientrare tra gli oneri della parte quello di verificare quale fosse l’effettivo domicilio del difensore dei controricorrenti, la corretta indicazione del recapito risultava dalla stessa notificazione della sentenza impugnata, laddove si precisava che lo studio dell’avv. Piperno, difensore in sede di appello degli appellati, era in OMISSIS . Inoltre analogo errore si era già verificato nel corso del giudizio di appello, in quanto l’atto di riassunzione del giudizio era stato notificato sempre all’avv. Piperno presso il precedente indirizzo laddove il legale si era trasferito in altro luogo già a far data dal 18 gennaio 2010 con la conseguenza che la Corte d’Appello, a fronte dell’eccezione di estinzione del giudizio di appello per tardiva riassunzione, aveva disatteso la stessa dando però atto in motivazione che effettivamente vi era stato un errore, ma che la notifica effettuata alle parti personalmente, attesa la loro intervenuta costituzione, impediva di poter ravvisare la compromissione del diritto di difesa. Effettivamente, deve ritenersi che la prima notifica del ricorso tentata presso il vecchio indirizzo del difensore dei controricorrenti debba ritenersi inesistente, avendo questa Corte anche di recente ribadito che cfr. Cassazione civile sez. II 10 febbraio 2016 n. 2640 costituisce onere del notificante, quale adempimento preliminare agli incombenti relativi al procedimento notificatorio, accertarsi della assenza di mutamenti, riguardanti il domicilio del procuratore costituito nel giudizio, al fine di identificare correttamente il luogo della notificazione. Ricade, pertanto, sullo stesso il rischio dell’eventuale esito negativo della notificazione e, eventualmente, della successiva intempestività della notificazione medesima , fatti salvi il caso fortuito o la forza maggiore ed esclude le ipotesi in cui il richiedente non sia incorso in negligenza e il mancato perfezionamento sia dipeso esclusivamente da causa allo stesso non imputabile. Alla luce di tali principi, e rilevato che analogo errore era stato già commesso nel corso del giudizio di appello e che comunque il ricorrente era stato reso edotto dell’effettivo nuovo domicilio del difensore delle controparti in occasione della notifica della sentenza impugnata non dovendosi altresì trascurare che il recapito di viale OMISSIS risulta anche da una stampigliatura apposta sulla prima pagina della copia della sentenza impugnata prodotta da parte ricorrente deve altresì escludersi che possano essere invocati il caso fortuito o la forza maggiore onde giustificare l’errore commesso. Tuttavia l’eccezione di inammissibilità non può trovare accoglimento. Trascurano infatti i controricorrenti la circostanza che il ricorso risulta avere tra i destinatari anche R.L. , originariamente parte appellante, ma che non ha inteso proporre ricorso, e che la richiesta di notifica in data 28 maggio 2012, e cioè nel rispetto del termine perentorio previsto per la proposizione del gravame, ha interessato anche tale parte. A tal proposito occorre quindi ricordare il costante orientamento di questa Corte cfr. ex multis Cass. n. 18364/2013 per il quale l’omessa notifica dell’impugnazione ad un litisconsorte necessario alla quale deve parificarsi la notifica affetta da inesistenza non si riflette sull’ammissibilità o sulla tempestività del gravame, che conserva, così, l’effetto di impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, ma determina solo l’esigenza della integrazione del contradditorio, iussu iudicis , salvo che la parte abbia essa stessa provveduto ad una tardiva notifica conf. Cass. n. 3071/2011 per la quale l’atto di impugnazione, tardivamente notificato ad alcuni dei litisconsorti riveste la funzione di notificazione per integrazione del contraddittorio ex art. 331 cod. proc. civ., e l’iniziativa della parte, sopravvenuta prima ancora dell’ordine del giudice, assolve alla medesima funzione Cass. n. 11552/2013 . Ne consegue pertanto che la successiva notifica avvenuta in data 5 giugno 2012 ad opera del ricorrente vale a prevenire l’ordine di integrazione del contraddittorio da parte del giudice, avendo in tal modo assicurato la corretta instaurazione del contraddittorio stesso, senza che possa porsi questione di ammissibilità per intempestività dell’impugnazione. 3. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 537 e 542 c.p.c. nonché il vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. per mancanza di motivazione su di un fatto controverso e decisivo. Assume il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe disatteso la domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie per asserita lesione della quota di legittima, assumendo che la misura di tale quota andava calcolata ai sensi dell’art. 542 co. 2 c.c., e ciò sul presupposto che, alla data di apertura della successione, concorressero i due figli della de cuius con il coniuge, risultando pertanto pari ad un quarto del patrimonio così come determinato all’esito delle operazioni di riunione fittizia. In realtà, come documentato già nel corso del giudizio di merito, e come appare incontestato, la successione ha visto il concorso unicamente dei fratelli La.Se. e G. , essendo il marito della de cuius premorto, di guisa che la detta quota andava calcolata a mente dell’art. 537 co. 2 c.c., risultando quindi essere pari ad un terzo. L’errore di diritto compiuto dal giudice di merito ha quindi falsato la sua decisione, avendo escluso che, in relazione alla più ridotta quota di un quarto fosse sussistente, alla luce dei calcoli effettuati dal CTU, la compromissione delle ragioni successorie dell’attore, compromissione che invece, e sempre alla luce delle indagini peritali, sussiste appieno ove si abbia riguardo alla quota di un terzo effettivamente spettante a titolo di riserva. Il motivo è fondato. Effettivamente alla data di apertura della successione, alla de cuius erano succeduti unicamente i due figli, non emergendo anche la presenza del coniuge, che in realtà era premorto alla defunta. Ne deriva pertanto che il rigetto della domanda di riduzione, quanto al riscontro del dato quantitativo della lesione, risulta falsato dall’erroneo presupposto che le quote di legittima andassero determinate in base alle regole legali previste per l’ipotesi di concorso tra figli e coniuge, e non anche in base alla diversa regola, applicabile alla fattispecie, di successione alla quale concorrono unicamente i figli. 4. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione falsa applicazione degli artt. 547 e 590 c.p.c., nonché l’assenza di motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Ed, infatti, secondo la Corte fiorentina ad impedire l’accoglimento dell’azione di riduzione era anche la circostanza che il ricorrente aveva tenuto una serie di condotte che implicavano l’accettazione dei legati disposti in suo favore, e dalle quali era possibile ricavare in maniera inequivoca la volontà di rinunciare a far valere la lesione, anche alla luce di quanto prevede l’art. 590 c.c. Lamenta il L.D. che il proprio dante causa aveva reiteratamente, ad anche nell’immediatezza dell’apertura della successione, manifestato una volontà contraria all’attuazione delle volontà testamentarie, volontà reiterata anche in occasione della definizione transattiva di una controversia avente ad oggetto il rilascio richiesto dai controricorrenti di un immobile legato in loro favore, ma detenuto dal ricorrente alla data di apertura della successione, laddove la riconsegna del bene avveniva facendo salvi i diritti, le ragioni e le azioni che erano oggetto del presente procedimento. Inoltre, una volta qualificate le attribuzioni dei singoli immobili in favore del ricorrente in termini di legati, non deve dimenticarsi che i legati si acquistano di diritto, così che il conseguimento degli stessi non può essere valutato alla stregua di una spontanea esecuzione delle disposizioni testamentarie, trattandosi di condotta che si connota per la sua equivocità. Infine del tutto improprio appare il richiamo all’art. 590 c.c., atteso che detta norma si applica alle ipotesi di testamento o di singole disposizioni testamentarie affetta da nullità, ma non può operare invece per la diversa ipotesi delle disposizioni lesive dei diritti del legittimario che, proprio in ragione della loro validità ed efficacia, sono invece unicamente suscettibili di aggressione con l’esercizio dell’azione di riduzione. 4.1 Anche tale motivo è fondato. Ed, infatti, risulta del tutto inappropriato il richiamo compiuto dalla Corte distrettuale alla previsione di cui all’art. 590 c.c., che non è invocabile, al fine di escludere la tutela dei diritti del legittimario. A tal fine deve richiamarsi la costataste giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di affermare che cfr. Cass. n. 2771/1971 la conferma della disposizione testamentaria o la volontaria esecuzione di essa non opera rispetto alle disposizioni lesive della legittima, in quanto gli effetti convalidativi di cui all’art. 590 cod. civ. si riferiscono alle disposizioni testamentarie nulle, mentre tali non sono quelle lesive della legittima, essendo soltanto soggette a riduzione cioè, suscettibili di essere dichiarate inefficaci nei limiti in cui sia necessario per integrare la quota di riserva . Pertanto, l’esecuzione volontaria di per sé non preclude al legittimario l’azione di riduzione, salvo che egli abbia manifestato anche tacitamente la volontà di rinunziare all’integrazione della legittima, potendosi però desumersi l’esistenza di una rinunzia tacita attraverso un complesso di elementi concordanti da cui emerga che la parte interessata abbia avuto la consapevolezza dell’esorbitanza della disposizione testamentaria dai limiti della porzione disponibile e tuttavia abbia eseguito integralmente la disposizione medesima in termini si veda anche Cass. n. 8611/1995 Cass. n. 8001/2012 . Deve quindi ribadirsi il principio cfr. Cass. n. 1373/2009 secondo cui, il diritto, patrimoniale e perciò disponibile e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di riserva, dopo l’apertura della successione, è rinunciabile anche tacitamente, sempre che detta rinuncia sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento concludente del soggetto interessato che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione conf. Cass. n. 20143/2013 . Alla luce di tali precedenti che consentono di individuare il senso ed i limiti fattuali e giuridici per ravvisare una rinuncia tacita all’azione di riduzione, la decisione della Corte di appello ha ritenuto di riscontrare una rinuncia siffatta, valorizzando esclusivamente la condotta del dante causa dell’appellante, che si era immesso nel godimento dei beni legatigli, traendo anche i relativi frutti. In realtà, ed a prescindere dalla disamina anche dei documenti che a detta del ricorrente comproverebbero la formulazione di una valida protestatio alla ravvisata rinuncia alla tutela dei propri diritti di riservatario, deve evidenziarsi la incongruità delle argomentazioni sulla base delle quali si è individuata la detta rinuncia tacita. Ed, infatti, posto che, in caso di legittimario non integralmente pretermesso, come nel caso in esame, il diritto all’integrale soddisfacimento della riserva deve essere attuato mediante il riconoscimento, secondo le modalità previste dalla legge in tema di azione di riduzione, di una quantità di beni ovvero del loro controvalore economico in misura tale da perequare quanto già ricevuto con l’ammontare della quota di riserva, l’avere goduto di quei beni già assegnati per testamento, e che per legge sono destinati a comporre la sua quota di riserva, comunque necessitante delle dovute integrazioni, non può in alcun modo essere ritenuta una condotta idonea a concretare una rinuncia tacita alla tutela delle ragioni successorie, ove il comportamento de quo non si accompagni ad altre manifestazioni di volontà espressa ovvero per facta concludentia, che consentano di ravvisare effettivamente una volontà abdicativa del legittimario e ciò a maggior ragione ove il godimento, come si sostiene nella memoria, abbia avuto ad oggetto beni in realtà anche assegnati ad altro legittimario . Né appare possibile sostenere, come dedotto dai controricorrenti che il legittimario, ove intenda agire a tutela del proprio diritto alla legittima, debba previamente rinunciare ai legati di cui sia stato beneficiato, in quanto tale regola opera per espressa previsione legislativa solo nel caso di legato disposto ex art. 551 c.c. fattispecie che non ricorre nella vicenda in esame, in quanto i legati disposti in favore dell’attore non avevano carattere tacitativo, accompagnandosi anche alla istituzione di erede per quanto concerneva le attribuzioni dei terreni , ben potendo il legittimario, trattenere i legati già ricevuti, e pretendere solo il conseguimento della differenza tra quanto già ricevuto per testamento ovvero per effetto di atti di liberalità compiuti in vita dal de cuius e quanto invece riservatogli dalle norme in tema di successione necessaria. Ne deriva che quindi anche il secondo motivo deve essere accolto, apparendo erronea la riconduzione della condotta del date causa del ricorrente ad una fattispecie di rinuncia tacita all’esercizio dell’azione di riduzione. 5. L’accoglimento del ricorso determina pertanto la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.