Fallito l’inserimento nell’azienda paterna: confermato il mantenimento da parte del genitore

L’opportunità costituita da un lavoro nell’impresa del padre va letta, secondo i Giudici, in un’ottica particolare, soprattutto tenendo presenti il conflitto genitore-figlio e la forte differenza di età. Di conseguenza, l’uscita del giovane, ancora studente universitario, non testimonia la sua indolenza nella ricerca dell’indipendenza economica.

Addio al posto di lavoro nell’azienda paterna. La scelta del figlio – studente universitario – può sembrare un colpo di testa, ma invece, osservano i giudici, è logica e frutto del forte conflitto con la figura genitoriale. Doveroso perciò che il padre continui a contribuire al mantenimento del ragazzo Cassazione, ordinanza n. 30540/2017, Sezione Sesta Civile, depositata il 20 dicembre . Rapporto. Passaggio decisivo in Corte d’Appello, dove vengono smentite le valutazioni compiute in Tribunale e confermato il mantenimento da parte del padre a favore del figlio, maggiorenne, iscritto all’Università e ‘fuori corso’, e, soprattutto, con una brutta esperienza lavorativa alle spalle. Su quest’ultimo punto i Giudici evidenziano che nel percorso di studi del ragazzo ha interferito il suo tentativo di inserimento nell’azienda paterna , tentativo fallito anche in ragione del significativo deterioramento del rapporto padre-figlio, caratterizzato da un forte divario generazionale e da una certa confusione di ruoli, con il padre titolare dell’azienda e il figlio dipendente . Di conseguenza, sempre secondo i giudici, non si può parlare di inerzia del giovane nella ricerca della propria indipendenza economica . Lavoro. Ora, nonostante le obiezioni dell’anziano padre – ben settant’anni più del figlio –, è confermato in Cassazione il suo obbligo verso il ragazzo, cioè dovrà continuare a versargli l’assegno di mantenimento fino a quando il giovane non raggiungerà l’indipendenza. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’ è assolutamente corretto il ragionamento adottato dalla Corte d’appello, secondo cui il fallito inserimento nell’azienda paterna è stato provocato non dall’atteggiamento indolente del figlio, bensì dal difficile rapporto col genitore datore di lavoro . A dare ancora più forza alla pronuncia di secondo grado i magistrati della Cassazione aggiungono un’ulteriore considerazione l’inserimento di un figlio ancora studente universitario, di giovane età, in un universo produttivo-aziendale di cui sia titolare il genitore che con lui sia in conflitto, cessa di essere un’occasione lavorativa ordinaria e si trasforma in una fase della dialettica genitore figlio, non potendo assumere il significato di un ordinario inserimento lavorativo . Di conseguenza, in questa vicenda non si può parlare di un inserimento stabile nel mondo del lavoro né di un problematico approccio da parte del ragazzo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 21 novembre – 20 dicembre 2017, numero 30540 Presidente Cristiano – Relatore Genovese Fatti di causa e ragioni della decisione La Corte d'appello di Bologna, con la sentenza numero 2216 del 2016 depositata il 20 maggio 2016 , in parziale accoglimento dell'appello incidentale proposto dai sigg. Do. Dall'Argine e La. Mi. jr. madre e figlio , con reiezione dell'appello proposto da La. Mi., padre del predetto Mi. jr., ha riformato la sentenza del Tribunale di Parma che ne aveva ridotto l'importo ed ha disposto che il genitore corrispondesse, per il mantenimento del figlio, la somma originariamente stabilita dal Tribunale per i minorenni dell'Emilia Romagna, con il decreto del 3 luglio 2001. Secondo la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, nel percorso di studi di Mi. jr. di anni 24 aveva interferito il suo tentativo di inserimento nell'azienda paterna, fallito anche in ragione del significativo deterioramento del rapporto padre-figlio [caratterizzato da un forte divario generazionale ben 70 anni di differenza di età ed una certa confusione di ruoli il padre titolare dell'azienda ed il figlio dipendente ] sicché era insussistente l'affermata colpevole inerzia-dei giovane, idonea a far revocare l'obbligo contributivo. Il ricorrente assume, di contro, nel contraddittorio con le controparti, la violazione del principio di diritto di recente affermato da questa Corte con la pronuncia numero 1858 del 2016 e la sussistenza della prova della colpevole inerzia del figlio. Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti costituite nel presente procedimento, alla quale sono state mosse osservazioni critiche da parte del ricorrente. Le doglianze proposte, tuttavia, non colgono nel segno in quanto la Corte territoriale ha escluso la sussistenza della colpevole inerzia del figlio, spiegando quel fallito tentativo di inserimento del figlio nell'azienda paterna dello stesso, con il difficile rapporto del figlio-dipendente con il padre – titolare dell'azienda e la forte differenza di età tra i due, sicché le critiche alla motivazione della decisione si risolvono in una inammissibile richiesta di riesame delle risultanze processuali e in una diversa selezione dei fatti e degli elementi rilevanti emersi nel corso della fase di merito Sez. U, Sentenza numero 8053 del 2014 , che si chiede, impropriamente, a questa Corte di rivalutare, secondo un ragionamento alternativo del tutto non convalidabile. Né il censurato argomentare dei giudici di merito integra una violazione dei principi di diritto elaborati da questa Corte in materia di colpevole inerzia del figlio maggiorenne, in quanto il caso qui esaminato non è affatto distonico rispetto ai principi affermati in tema di assegno di mantenimento per il figlio mantenimento che non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura immutato finché il genitore interessato non provi che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica o rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza infatti, l'inserimento di un figlio ancora studente universitario, di giovane età, in un universo produttivo-aziendale di cui sia titolare lo stesso genitore, che con lui sia in conflitto, cessa di essere un'occasione lavorativa ordinaria e si trasforma, più propriamente, in una fase della dialettica genitore-figlio, non potendo assumere il significato di un ordinario inserimento lavorativo, sicché esso, come tale, non testimonia né di un inserimento stabile nel mondo del lavoro né di un suo problematico approccio ad esso. Alla infondatezza del ricorso conseguono le sole spese processuali liquidate come in dispositivo , non anche l'affermazione dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, trattandosi di controversia attinente alla prole e perciò esente da contributo unificato. P.Q.M. La Corte, Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge. Dispone che, ai sensi dell'articolo 52 D.Lgs. numero 198 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.