Il singolo erede può agire nell'interesse di tutti gli eredi

Illegittimo il rifiuto della banca di effettuare l’operazione chiesta dal singolo erede.

I crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria ciascuno dei partecipanti ad essa può agire singolarmente per far valere l'intero credito ereditario comune o anche la sola parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi. Il caso. Marito e moglie erano cointestatari di un conto corrente su cui vi erano soldi liquidi ed un conto titoli. Alla morte del marito, la moglie chiedeva il prelievo della liquidità e la dismissione del conto titoli. L’istituto di credito si opponeva, consentendo un prelievo minimo e proseguendo nella gestione del conto titoli con nuove operazioni di investimento. Gli eredi del de cuius erano 3 moglie, figlia e figlio. L’opposizione dell’istituto di credito deriverebbe dalla mancata adesione del figlio alla volontà delle altre due eredi di dismettere somme e titoli. Madre e figlia convenivano in giudizio la banca ed il terzo erede affinché fossero condannati al versamento delle loro quote ed al pagamento del risarcimento dei danni causati dall’esecuzione dell’investimento non autorizzato dalle attrici. Il terzo erede non si opponeva alla decisione ma instava affinché la pretesa risarcitoria fosse respinta. Il Tribunale, accertata la contitolarità del conto corrente e del conto titoli, accoglieva la domanda formulata dalle attrici, anche nella parte afferente il risarcimento. La Corte d’appello riformava la decisione di primo grado e spiegava che il rifiuto opposto dall’istituto di credito era legittimo perché il conto corrente del de cuius era rientrato nella comunione ereditaria e restava in comunione sino alla divisione quanto all’azione risarcitoria, escludeva la condanna al risarcimento perché non era stato provato il danno. Le parti hanno proposto ricorso per cassazione. La comunione del conto corrente. La S.C. ha richiamato la giurisprudenza posta a fondamento della decisione assunta dalla corte territoriale che così statuisce i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria ciascuno dei partecipanti ad essa può agire singolarmente per far valere l'intero credito ereditario comune o anche la sola parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi – Cass. 24657/2007. Quindi, i Giudici di legittimità hanno spiegato che non v’è dubbio che il conto corrente componga l’asse ereditario, tuttavia, la giurisprudenza citata riconosce il diritto del singolo di agire nell’interesse della comunione senza che il debitore la banca, nel caso di specie possa opporsi. Se non v’è intesa tra i coeredi? I Giudici di legittimità hanno proseguito spiegando che il singolo erede può procedere per l’intero o per la sua quota e che, in caso di dissenso, la banca non può opporsi alla liquidazione eccependo il mancato assenso degli altri eredi. Le contrapposizioni interne tra eredi restano interne e, in caso di errata distribuzione delle somme presenti su conto corrente, verranno risolte al momento dello scioglimento della comunione e della liquidazione dei rapporti di credito debito tra le parti. Sotto altro profilo, la cassazione rileva che il conto risultava cointestato tra moglie e marito, quindi anche la moglie, da sola, avrebbe potuto e dovuto operare liberamente su conto corrente. Con queste argomentazioni la S.C. ha accolto il ricorso e inviato la causa ad altra Corte territoriale perché decida uniformandosi ai predetti principi.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 21 settembre – 20 novembre 2017, n. 27417 Presidente Manna – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione A seguito della morte in data omissis di C.A. , la vedova T.V. , e le figlie C.E. e R. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia, Intesa Sanpaolo S.p.A. e C.C. , deducendo che al de cuius erano succedute le attrici oltre il convenuto, e che il comune dante causa era titolare di un conto corrente cointestato con la moglie acceso presso la Filiale di , e di un conto deposito sul quale risultavano in giacenza vari titoli scadenti il 31 maggio 2007. Aggiungevano che in data 29 maggio 2007 avevano comunicato alla banca il decesso del titolare del conto chiedendo quindi di poter prelevare le somme depositate e di disinvestire i titoli, avendo esigenze di liquidità e non intendendo affrontare ulteriori rischi con nuove operazioni di investimento, chiedendo in ogni caso di poter riscuotere le somme nei limiti delle quote di loro spettanza. La banca aveva però opposto un rifiuto, consentendo un limitato prelievo al fine di fare fronte alle spese funerarie, provvedendo poi in data 31/5/2007 all’acquisto di nuovi titoli, impegnando in tal modo la somma di Euro 15.000,00. Assumevano altresì che il coerede C.C. non aveva prestato adesione all’iniziativa delle attrici rifiutandosi di recarsi in banca per prestare il consenso al disinvestimento ed al prelievo delle giacenze. Ciò premesso concludevano affinché la banca fosse condannata a versare alle attrici le somme appartenenti al de cuius nei limiti delle quote vantate, con la condanna di entrambi i convenuti al risarcimento del danno scaturente dal nuovo investimento eseguito contro la loro volontà nonché dal rifiuto di restituzione delle somme dovute pro quota. Il C. si costituiva dichiarando di non opporsi alla divisione, contestando però la fondatezza della domanda risarcitoria, mentre Intesa Sanpaolo contestava la fondatezza della domanda. Il Tribunale di Venezia con la sentenza n. 428/2010 accertava che la comunione ereditaria ricomprendeva il 50 % del saldo del conto corrente bancario cointestato al de cuius e del conto titoli acceso presso la medesima filiale di , ed assegnava alle attrici, per la quota di rispettiva competenza, le somme ed i titoli, condannando la banca ed il C. al risarcimento del danno in misura pari agli interessi legali sulle quote del saldo del conto corrente e del controvalore dei titoli. La Corte d’Appello di Venezia, a seguito di appello del C. e di appello incidentale dell’istituto di credito, con la sentenza n. 612 del 17 marzo 2016, in parziale riforma della sentenza di prime cure, rigettava la domanda delle attrici, condannando queste ultime al rimborso delle spese del doppio grado in favore della banca, compensando invece le spese tra le attrici ed il coerede. Osservava la Corte distrettuale che a seguito della pronuncia della Suprema Corte n. 11128/1992 si era affermato il principio per il quale i crediti ereditari cadono in comunione, e non si dividono automaticamente tra i coeredi, così che gli stessi devono essere oggetto di divisione. Tale affermazione aveva poi trovato conforto nella successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 24567/2007 che, nell’escludere l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra tutti i coeredi nell’azione per il pagamento di somme, aveva ribadito che anche i crediti del de cuius cadevano in comunione. La sentenza gravata ha quindi ritenuto che poiché l’azione del singolo partecipante alla comunione è sempre svolta nell’esclusivo interesse della comunione, ciò esclude che il coerede possa agire per il pagamento della quota parte del credito ereditario nel proprio esclusivo interesse, come avvenuto nella fattispecie, attesa anche l’opposizione frapposta dall’altro convenuto. Ne discendeva quindi la legittimità del rifiuto opposto dalla banca alle richieste delle appellate. In merito alla domanda risarcitoria, riteneva che mancava la prova di una decurtazione del valore dei titoli in conseguenza dell’investimento della somma di Euro 15.000,00 in epoca successiva alla morte del de cuius, dovendosi escludere il danno anche in relazione alla mancata attribuzione delle quote di controvalore dei titoli, in quanto solo a seguito della divisione ereditaria le appellate hanno conseguito il diritto ad ottenere il pagamento dei crediti ricompresi nella comunione ereditaria in ragione delle rispettive quote di spettanza. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso T.V. , C.E. e C.R. sulla base di tre motivi. Intesa Sanpaolo S.p.a. ha resistito con controricorso. L’intimato non ha svolto difese in questa fase. Con il primo motivo di ricorso si denunzia ai sensi dell’art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 456, 459, 1852, 1854, 1375, 1766, 1771, 1772, 1175, 1218, 1223 e 1224, nonché l’omessa disamina circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Si sostiene che la decisione di appello avrebbe erroneamente applicato i principi desumibili dalla interpretazione delle norme denunziate come offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 24657/2007. In tale occasione, la Corte, chiamata a risolvere il contrasto in ordine alla corretta individuazione della disciplina applicabile ai crediti ereditari, nel ribadire la diversa sorte riservata ai debiti ereditari, destinati invece a ripartirsi ex lege tra i coeredi, ha ritenuto che gli stessi cadano in comunione e che debbano quindi essere divisi alla stregua delle altre componenti attive dell’asse. Tuttavia, difformemente da quanto opinato dalla Corte veneziana, si è anche sostenuto che ogni coerede ha il diritto di chiedere la riscossione dell’intero credito ovvero della quota di sua spettanza, e senza che ciò implichi la necessaria partecipazione al giudizio degli altri coeredi, essendosi esclusa la ricorrenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario. Il motivo è fondato. La lettura delle motivazioni della sentenza della Sezioni Unite n. 24657/2007, alla quale pur dichiara di volersi conformare la sentenza impugnata, consente di avvedersi che la Corte riconosce a ciascun coerede di poter agire nei confronti del debitore del de cuius per la riscossione dell’intero credito ovvero della quota proporzionale a quella ereditaria vantata, senza la necessità del coinvolgimento degli altri coeredi, e soprattutto senza che venga in alcun modo precisato che l’iniziativa del coerede sia ammessa solo allorquando avvenga nell’interesse della comunione. Appare evidente che nel ragionamento delle Sezioni Unite, ferma restando la necessità di ricomprendere nell’eventuale divisione dell’asse ereditario i crediti, l’avvenuta riscossione da parte di un coerede di tutto o parte del credito stesso, potrà incidere nell’ambito delle operazioni divisionali dando vita a delle pretese di rendiconto, tramite anche eventuali compensazioni tra diverse poste creditorie, ma senza che ciò precluda al singolo di poter immediatamente attivarsi per la riscossione anche solo del credito in proporzione della sua quota. La connotazione dell’azione del singolo coerede in chiave finalistica, distinguendo quindi tra iniziativa nell’interesse della comunione ovvero nel proprio personale interesse, non trova affatto riscontro nella decisione delle Sezioni Unite, e nei fatti verrebbe a riproporre, laddove come nel caso in cui non vi sia l’adesione di un coerede alla richiesta di riscossione, una sorta di surrettizio litisconsorzio necessario, posto che tale mancata adesione imporrebbe la necessaria partecipazione al giudizio avente ad oggetto la domanda di pagamento, di tutti i coeredi, ancorché al fine di stabilire se la richiesta di pagamento sia strumentale o meno al soddisfacimento della comunione. Deve pertanto ribadirsi, in adesione a quanto statuito dalle Sezioni Unite, che ogni coerede può agire anche per l’adempimento del credito ereditario pro quota, e senza che la parte debitrice possa opporsi adducendo il mancato consenso degli altri coeredi, dovendo trovare risoluzione gli eventuali contrasti insorti tra gli stessi nell’ambito delle questioni da affrontare nell’eventuale giudizio di divisione. Il motivo deve pertanto essere accolto con la cassazione del provvedimento gravato. L’accoglimento del primo motivo determina poi l’assorbimento del secondo motivo, con il quale si deduce la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., e degli artt. 1852, 1854, 1766, 1771, 1772, 1175, 1375, 1218, 1223 e 1224 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione al fatto che il conto era in realtà cointestato alla T. , la quale quindi avrebbe potuto immediatamente ottenere la restituzione dell’intero saldo del rapporto bancario, nonché del terzo motivo che lamenta la violazione degli artt. 112, 132 c.p.c. e degli artt. 456, 459, 1854, 1856, 1710, 1722 n. 4, 1223 e 1224, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la sentenza d’appello ha escluso la responsabilità della banca per avere provveduto autonomamente a reinvestire le somme appartenenti al de cuius, sebbene fosse stata informata della morte del titolare e della contraria volontà di alcune delle coeredi e della cointestataria. Il giudice del rinvio che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Venezia, provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo ed assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.