In presenza di testamento, l’assegnazione di beni determinati è successione universale solo se…

Ai sensi dell’art. 588 c.c., il legatario al quale siano stati lasciati solo alcuni beni determinati e non l’universalità degli stessi, oppure una quota del patrimonio relitto, non assume la qualità di erede.

Questo è il principio di diritto espresso, con interessante e motivato articolato ragionamento, II sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 27160/17, emessa nella camera di consiglio del 21 settembre 2017, e depositata in cancelleria il successivo 16 novembre, in un ricorso abbastanza recente, in quanto depositato nel 2016. Il caso. La questione riguardava una sentenza della Corte di Appello di Venezia del dicembre del 2015, con cui veniva rigettata la sentenza che aveva confermato la statuizione di primo grado, del Tribunale di Verona, risalente al 2013, che a sua volta aveva respinto la domanda di nullità, presentata ai sensi dell’art. 732 c.c. da due fratelli, nei confronti di una società, in relazione all’acquisto effettuato dalla suddetta società dell’eredità del padre, che aveva lasciato la loro sorella quale unica erede, motivando tale disposizione con il fatto di avere effettuato donazioni di pari valore in loro favore in corso di vita. Secondo il ragionamento esplicato nella sentenza di primo grado, gli attori non rivestivano la qualità di coeredi, ma solo di legatari, visto che la venditrice era stata nominata dal de cuius quale erede universale. Di conseguenza, non esisteva alcuna comunione ereditaria, e quindi nemmeno il loro relativo diritto di riscatto ai sensi dell’art. 732 c.c. Pertanto, respingeva la domanda. I due attori presentavano allora appello presso la Corte territoriale di Venezia, la quale rilevava che dalla complessiva valutazione delle schede testamentarie del de cuius era evidente la conclusione circa la volontà di istituire quale erede universale la sola figlia, essendovi stata menzione delle donazioni effettuate in favore dei figli maschi, al solo fine di giustificare la sua decisione di lasciare tutto il patrimonio residuo alla sorella che poi vendette alla società convenuta , con finalità perequativa delle donazioni effettuate in vita in favore dei fratelli. Infine, secondo il ragionamento della sentenza impugnata, anche i beni immobili non espressamente menzionati nel testamento dovevano attribuirsi alla figlia, dato che nella scheda testamentaria il de cuius ribadiva che tutto il resto del patrimonio, a parte le attribuzioni nei confronti dei figli da intendersi quali legati, doveva andare appunto alla predetta figlia E Contro la sentenza della Corte d’Appello, i due fratelli proponevano proposto ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi. In particolare, quello che qui maggiormente interessa è il secondo, che denunciava la violazione e falsa applicazione degli articoli 732, 554, 588, 56 e 457 c.c Sul punto, i ricorrenti deducevano che in realtà, a loro dire, il testamento conteneva la loro istituzione quali eredi ex certa re , e che in ogni caso, in ordine ai beni non espressamente menzionati dal de cuius, si era aperta la successione legittima alla quale avrebbero dovuto concorrere anche i ricorrenti. Resisteva la S. s.r.l. unipersonale con controricorso. Non è erede colui al quale vengono lasciati determinati beni ben individuati e non l’universalità del patrimonio o una parte di esso. La Cassazione ha rigettato il ricorso. Sostiene infatti la Suprema Corte, che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Cassazione quello secondo cui in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale quella ex re certa richiesta dai ricorrenti , solo quando il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve essere interpretata come legato se questi abbia lasciato beni singoli e individuati. Peraltro, continua la Corte, si tratta di indagine di fatto e non diritto, riservata quindi ai giudici di merito e non censurabile in Cassazione, per di più se congruamente motivato come in questo caso infatti, secondo la Suprema Corte, la Corte territoriale aveva correttamente svolto tale indagine, che deve essere sia di carattere oggettivo sul contenuto dell’atto, sia di carattere soggettivo cioè sull’intenzione del testatore. Di conseguenza, solo in seguito a tale duplice indagine che, come detto, è di competenza del giudice di merito, ed i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati, può stabilirsi se con l’attribuzione di determinati beni il testatore abbia voluto attribuire la qualità di erede o di legatario. Dato che, secondo la Cassazione, la sentenza impugnata con adeguata motivazione ha accertato che le disposizioni testamentarie non consentivano di attribuire ai fratelli ricorrenti la qualità di eredi, emergendo piuttosto la volontà di nominare come unica erede la figlia E., ha respinto il ricorso in applicazione dei principi descritti.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 21 settembre – 16 novembre 2017, n. 27160 Presidente Manna – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione Il Tribunale di Verona con la sentenza n. 796/2013 rigettava la domanda proposta dagli odierni ricorrenti ex art. 732 c.c. nei confronti della Soledad S.r.l., in relazione all’acquisto effettuato dalla società, dell’eredità del defunto Gu.di.Br.Gu. , giusta atto di vendita in data 12/2/2009 intercorso con G.d.B.E. , quale venditrice. Ad avviso del giudice di prime cure la domanda andava disattesa in quanto gli attori non rivestivano la qualità di coeredi, posto che la venditrice era stata nominata dal de cuius quale erede universale, il che precludeva la stessa esistenza di una comunione ereditaria, in relazione alla quale esercitare il diritto di riscatto. La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2931 del 21/12/2015 ha rigettato il gravame proposto dagli attori, ritenendo che non poteva essere ritenuta inammissibile, in quanto tardiva, la deduzione sollevata dalla convenuta società all’atto della sua costituzione in giudizio, circa la mancata titolarità in capo agli attori della qualità di coeredi, atteso che la contestazione in oggetto costituiva una mera difesa, non sottoposta a preclusioni, essendo appunto onere degli attori fornire la prova di tale qualità, dovendo altresì escludere che le difese sollevate dalla convenuta fossero incompatibili con la contestazione della titolarità del rapporto dedotto in giudizio. Inoltre rilevava che dalla complessiva valutazione delle schede testamentarie del de cuius era confermata la conclusione circa la volontà di istituire quale erede universale la sola figlia E. , essendosi fatta menzione delle donazioni effettuate in favore dei figli maschi, al solo fine di giustificare perché tutto il patrimonio relitto era attribuito, con finalità perequativa appunto delle donazioni effettuate in vita, alla sola dante causa della società convenuta. Né poteva indurre a diverse conclusioni il fatto che il testamento avesse disposto che tasse, imposte ed altri oneri, oltre che la pensione mensile in favore di tal C.M.M. , dovessero essere ripartiti in pari misura tra i tre figli, atteso che ben possono essere imputate le poste passive a carico dei legatari. Infine, anche i beni immobili non espressamente menzionati in testamento dovevano reputarsi attribuiti in proprietà esclusiva, ed a titolo di erede, alla figlia E. , atteso che nella scheda testamentaria del 16 gennaio, oltre a prevedersi delle attribuzioni mobiliari a favore dei figli maschi, ma da intendersi quali legati, il de cuius ribadiva che tutto il resto del patrimonio doveva andare alla predetta E. . Quanto alla deduzione degli appellanti, per la quale, avendo gli stessi proposto azione di riduzione nei confronti della sorella, andava disposta la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio di riduzione, rilevava la Corte distrettuale che l’acquisto della qualità di erede da parte del legittimario pretermesso presuppone l’accoglimento della domanda di riduzione con efficacia di giudicato, sicché medio tempore le disposizioni lesive continuavano a produrre effetto. Andava poi esclusa l’esistenza di una pregiudizialità tecnica tra i due giudizi, e pertanto, non si poneva il paventato pericolo di contrasto tra giudicati. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso G.d.B.A. e G.d.B.G. articolato in tre motivi. La Soledad S.r.l. ha resistito con controricorso. Il primo motivo di ricorso con il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 167 co. 2 c.p.c., 183 co. 6 c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la mancata tempestiva contestazione da parte della convenuta della qualità di coeredi degli attori non comportasse la decadenza dalla relativa eccezione, è privo di fondamento. Ed, invero, oltre a doversi ribadire che la titolarità della qualità di coeredi costituisce elemento costitutivo della domanda proposta ex art. 732 c.c., sicché è onere di parte attrice dimostrarne la sussistenza, la decisione gravata ha comunque fatto corretta applicazione dei principi di recente affermati da questa Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 2951/2016, nella quale si è precisato che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto. Nel caso di specie, deve escludersi la contestazione della qualità di coeredi degli attori costituisca quindi un’eccezione e per di più un’eccezione in senso stretto, sicché ben poteva il giudice anche d’ufficio rilevarne la carenza. Peraltro alcuna rilevanza può essere attribuita alla tardiva costituzione della società convenuta, avendo altresì la Corte veneta chiarito come non fosse possibile ravvisare una difesa da parte della società incompatibile con la contestazione dello status di coeredi in capo agli attori. Anche il secondo motivo, con il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 732, 554, 588, 56 e 457 c.c. è infondato. Sostengono i ricorrenti che in realtà il testamento conteneva la loro istituzione quali eredi ex certa re, e che in ogni caso, in ordine ai beni non espressamente menzionati dal de cuius tra cui un immobile in e terreni in omissis si era aperta la successione legittima alla quale concorrevano anche i ricorrenti. Ed, invero, quanto alla violazione dell’art. 588 c.c., occorre ricordare che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui cfr. da ultimo Cass. 25 ottobre 2013 n. 24613 in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale institutio ex re certa qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni. In ogni caso l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato conf. Cass. 13 giugno 2007 n. 13835 Cass. 1 marzo 2002 n. 3016 . In particolare cfr. Cass. 12 luglio 2001 n. 9467 tale indagine deve essere sia di carattere oggettivo, riferita cioè al contenuto dell’atto sia di carattere soggettivo, riferita all’intenzione del testatore. Ne consegue che soltanto in seguito a tale duplice indagine - che è di competenza del giudice del merito ed i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati - può stabilirsi se attraverso l’assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato sicché la successione in esso è a titolo universale ovvero abbia inteso escludere l’istituzione nell’ universum ius sicché la successione è a titolo di legato . La sentenza impugnata con adeguata motivazione ha quindi accertato che le disposizioni testamentarie non consentivano di attribuire agli attori la qualità di eredi, emergendo piuttosto la precisa volontà di istituire la sola figlia E. come unica erede, essendosi data giustificazione di tale scelta in ragione delle numerose e cospicue donazioni, anche indirette, effettuate in vita dal de cuius in favore dei figli maschi, liberalità che si intendeva perequare proprio mediante l’assegnazione della qualità di erede unicamente alla dante causa della società convenuta. La sentenza ha puntualmente chiarito come i vari argomenti spesi dalla difesa degli attori per vedersi riconosciuta la qualità di coeredi non potessero avere seguito menzione delle donazioni, suddivisione in parti eguali tra i tre figli delle passività ereditarie, qualificazione non come legati della assegnazioni di beni mobili ben individuati . Trattasi di valutazioni connotate da logicità e coerenza ed insuscettibili di rivisitazione da parte di questa Corte, sicché la formale denunzia di violazione di legge altro non costituisce che una indebita sollecitazione a procedere ad un non consentito nuovo apprezzamento del fatto. La sentenza peraltro si è specificamente occupata anche dell’ulteriore questione, pur dedotta in ricorso, relativa alla possibile apertura della successione legittima sui beni immobili dei quali il de cuius non aveva fatto menzione nella scheda testamentaria, avendo condivisibilmente sottolineato come il tenore della scheda testamentaria più risalente che prevedeva che tutte le unità immobiliari in omissis fossero trasferite in piena ed esclusiva proprietà ad E. sia stato integrato dalla terza scheda testamentaria nella quale si ribadisce la volontà di attribuire alla figlia quanto della mia proprietà resta a me intestato e che considero la sua parte, rinnovo qui la volontà che tutto quello che è ancora a me intestato divenga proprietà di mia figlia E. , espressione questa che la sentenza impugnata ha, con adeguata motivazione, ritenuto idonea ad attribuire alla beneficiaria la qualità di erede universale, precludendo quindi l’apertura di una successione legittima, seppure parziale, in favore dei germani. Infine, il terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 295 c.p.c. e degli artt. 457, 554, 3652 n. 8, 2643 e 2644 c.c., nella parte in cui la Corte di merito ha negato l’esistenza di una pregiudizialità tra la presente causa e quella di riduzione intentata dagli attori nei confronti della sorella, disattendendo la richiesta di disporre la sospensione necessaria del processo. Il motivo deve essere disatteso sebbene sulla base di una indicazione diversa da quella di cui alla proposta, fondata sulla ravvisata diversità delle parti del giudizio in esame, rispetto a quello avente a detta dei ricorrente carattere pregiudiziale avendo in tal senso i ricorrenti fatto rilevare nella memoria ex art. 378 c.p.c. che anche al giudizio avente ad oggetto l’azione di riduzione ha partecipato la società intimata . In tal senso va ricordato che la più volte ribadita validità della disposizione testamentaria eventualmente lesiva dei diritti dei legittimari, suscettibile di essere dichiarata solo inefficace in caso di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione cfr. Cass. n. 25834/2008 Cass. n. 27556/2008 , tanto da precludere la possibilità di poter richiedere la divisione al legittimario prima dell’accoglimento della sua domanda cfr. Cass. n. 368/2010 , e proprio per l’assenza di una comunione attuale, impedisce altresì di poter ritenere passibile di retratto l’alienazione dei beni ereditari compiuta dal soggetto che allo stato riveste la qualità di unico erede. Corretto appare il richiamo operato dalla sentenza impugnata ai precedenti di questa Corte che, nel sottolineare l’inefficacia ex nunc degli atti lesivi, a far data dall’accoglimento dell’azione di riduzione, hanno escluso la sussistenza di un nesso di pregiudizialità tecnica tra la causa di riduzione e la diversa controversia avente ad oggetto i beni oggetto delle disposizioni testamentarie Cass. n. 5323/2002 Cass. n. 9424/2003 avendo affermato principi che appaiono indubbiamente suscettibili di estensione anche al caso di specie. La trascrizione della domanda di riduzione assicura poi che, laddove la stessa dovesse essere accolta, i legittimari vittoriosi potranno opporre la sentenza a loro favorevole anche alla società acquirente, venendosi in tal caso ad instaurare una comunione tra gli stessi legittimari e la società, senza che questa possa opporre di avere acquistato la piena proprietà dei beni ereditari peraltro nella fattispecie, trattandosi di una vendita di eredità avvenuta allorquando era stata già proposta l’azione di riduzione, la trascrizione mira ad assicurare la piena esplicazione degli effetti di cui all’art. 111 c.p.c. nei confronti della società terza acquirente in corso di causa . Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 12.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.