La nuova relazione sentimentale dell’ex moglie non influisce sul diritto all’assegno divorzile

La Suprema Corte si pronuncia in merito alla possibilità che venga meno il diritto all’assegno divorzile dell’ex moglie in seguito ad una nuova relazione sentimentale della stessa con un altro uomo. Non sempre, però, la nuova relazione sentimentale è rilevante per il diritto all’assegno.

Sul tema la Cassazione con ordinanza n. 25074/17, depositata il 23 ottobre. Il caso. Il Tribunale aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due soggetti escludendo che l’ex moglie avesse il diritto all’assegno divorzile in quanto conviveva stabilmente con un altro uomo. La Corte d’Appello aveva accolto parzialmente l’impugnazione proposta dall’ex moglie ritenendo che la relazione della stessa con un'altra persona non poteva qualificarsi come convivenza stabile avente i caratteri della famiglia di fatto che avrebbe fatto venir meno il diritto all’assegno divorzile. Infatti, secondo i Giudici di merito, l’ex moglie aveva una relazione da circa 6 mesi senza alcun riscontro probatorio di apporti di natura economica da parte del nuovo convivente e per questo motivo doveva esserle comunque garantito l’assegno divorzile. Avverso detta sentenza ricorre in Cassazione l’ex marito deducendo che in realtà vi fossero stati continui apporti economici all’ex moglie da parte dell’attuale convivente che giustificavano la cessazione del mantenimento. Rilevanza delle convivenza. La Suprema Corte ha ritenuto l’accertamento di merito della Corte d’Appello adeguatamente argomentato ed insindacabile. La Corte territoriale ha correttamente accertato che nel caso di specie la relazione sentimentale istaurata dall’ex moglie con un altro uomo non configurasse una famiglia di fatto” come definita dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti la Corte ha ribadito che i connotati della famiglia di fatto si riassumono in una convivenza stabile e continuativa basata su un progetto di vita comune. Per questi motivi la relazione sentimentale dell’ex moglie non faceva venir meno il diritto all’assegno divorzile dell’ex moglie e per questo la Corte ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 3 luglio – 23 ottobre 2017, n. 25074 Presidente Nappi – Relatore Acierno Ragioni della decisione Con sentenza del 17 marzo 2015 la Corte d’appello dell’Aquila ha accolto parzialmente l’impugnazione proposta da M.M. avverso la decisione del Tribunale di Chieti che, dichiarando la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalla stessa con B.G. , aveva escluso che ella avesse diritto all’assegno divorzile in quanto stabilmente convivente con un altro uomo. A sostegno della decisione la Corte territoriale rilevava, per quel che ancora interessa, che il diritto all’assegno divorzile viene meno solo qualora l’ex coniuge beneficiario instauri con un’altra persona una convivenza stabile avente i caratteri di vera e propria famiglia di fatto , basata su un modello e un progetto di vita comuni. Nel caso di specie, al contrario, dalle prove assunte poteva evincersi soltanto l’esistenza di una mera relazione di convivenza protrattasi per circa sei mesi, senza alcun riscontro probatorio di apporti di natura economica da parte del nuovo convivente in favore della M. . Per la cassazione di suddetta pronuncia ricorre B.G. , sulla base di due motivi. Non svolge difese l’intimata. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5, L. 898/1970 e dell’art. 2697 c.c., perché la Corte d’appello ha ritenuto che egli fosse gravato della dimostrazione diabolica della continuità di apporti di natura economica forniti alla M. dall’attuale convivente, malgrado la già provata relazione di convivenza tra i due comporti di per sé il venir meno dei presupposti dell’assegno divorzile. Tali apporti economici, peraltro, avrebbero dovuto ritenersi provati per presunzione sulla base di una serie di circostanze allegate. Sostiene inoltre il ricorrente che la Corte territoriale non abbia considerato che la M. non ha mai provato di essere priva di mezzi e di trovarsi nell’impossibilità di procurarseli. Con il secondo motivo viene censurata la violazione dell’art. 91 c.p.comma in relazione al regime delle spese di lite, in quanto la Corte d’appello ha condannato il ricorrente al pagamento della metà delle spese del doppio grado di giudizio nonostante la reciproca soccombenza delle parti, che avrebbe dovuto portare alla compensazione integrale. Il primo motivo è inammissibile in quanto tendente a censurare, a dispetto della sua rubrica, la valutazione compiuta dalla Corte d’appello al fine di accertare se la relazione sentimentale instaurata dalla M. con un altro uomo configurasse una vera e propria famiglia di fatto , basata su un progetto e un modello di vita comuni e caratterizzata da stabilità e continuità, oppure un mero rapporto di convivenza. All’esito di un accertamento di merito che appare del tutto adeguatamente argomentato e pertanto in questa sede insindacabile, il Collegio ha ritenuto che la nuova relazione sentimentale intrapresa dalla M. non integrasse i connotati di una famiglia di fatto secondo la definizione data dalla giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 3923 del 12/03/2012, nonché n. 6855 del 03/04/2015, quest’ultima successiva rispetto alla pronuncia oggi impugnata ma comunque conforme sul punto alla n. 3923/2012 , e pertanto non facesse venir meno il suo diritto all’assegno divorzile. Né può censurarsi la sentenza impugnata per aver violato l’art. 2697 c.c., in quanto la dimostrazione dell’instaurazione da parte del coniuge beneficiario di un nuovo rapporto familiare che assuma i suddetti connotati spetta, in linea di principio, al coniuge onerato, come fatto estintivo del diritto all’assegno divorzile. Anche sotto questo aspetto, pertanto, il motivo si risolve in una critica all’esito della valutazione delle risultanze probatorie. Il primo motivo è altresì manifestamente infondato sotto il profilo della dedotta violazione dell’art. 2697 c.comma per avere la Corte d’appello omesso di considerare che la M. non ha mai provato di essere priva di mezzi e nell’impossibilità di procurarseli pag. 8 del ricorso in verità il giudice di seconde cure si è basato, in assenza di specifiche contestazioni pag. 7 della sentenza , sulle circostanze accertate nella fase presidenziale del procedimento. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi Cass. n. 8421 del 31/03/2017, rv. 643477 02 . Pertanto, il ricorso deve essere respinto. Non occorre provvedere in ordine alle spese processuali, in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.