Umiliazioni e violenze in casa: marito colpevole e contatti ridotti col figlio

Vent’anni da incubo per la moglie e per la prole. Il matrimonio è durato solo grazie al carattere debole della donna. Addebitabile all’uomo, quindi, la rottura della coppia. I brutti episodi tra le mura domestiche giustificano anche la decisione di ridurre al minimo le possibilità di incontro tra il genitore e il figlio più piccolo.

Anni di umiliazioni e di violenze nei confronti della moglie e dei figli. Inevitabile addebitare al marito la crisi della coppia. Legittimo anche gestire con grande cautela il rapporto col figlio più piccolo, affidandolo in esclusiva alla madre e riducendo al minimo i contatti col padre, figura che gli trasmette paura Cassazione, sentenza n. 22689/2017, Sezione Prima Civile, depositata oggi . Crisi. Ufficializzata la separazione, i giudici, prima in Tribunale poi in Corte d’appello, sottolineano le responsabilità dell’uomo di casa, che per venti anni ha sottoposto moglie e figli a violenze e umiliazioni . Il suo comportamento, punito anche a livello penale, ha causato la crisi definitiva della coppia. E la lunga durata del matrimonio è frutto, osservano i giudici, del carattere debole e passivo della moglie, che ha provato a evitare il fallimento di una unione da cui sono nati tre figli . I soprusi compiuti tra le mura domestiche hanno avuto però ripercussioni anche sul più piccolo dei figli. Non a caso, in Appello il ragazzo viene affidato in via esclusiva alla madre, disponendo che il padre possa vederlo due o tre volte a settimana, senza orari prefissati , proprio secondo la volontà del minore . Comportamenti. Ogni obiezione proposta in Cassazione dall’uomo si rivela completamente inutile. Per i giudici, innanzitutto, è lampante che i comportamenti violenti a lui attribuiti non siano presunti , bensì certificati dalle deposizioni testimoniali dei figli – sia i due maggiorenni che quello minorenne – e da una sentenza penale suo carico di condanna a tre anni di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia . Nessun dubbio, quindi, sul fatto che il capofamiglia abbia inflitto alla moglie e ai figli violenze e umiliazioni, dai primi anni ’90 sino al 2011 , e che quegli abusi, fisici, morali e psicologici, abbiano provocato la crisi del matrimonio . Su questo fronte i magistrati del ‘Palazzaccio’ ribadiscono che le violenze fisiche e morali costituiscono violazioni talmente gravi e inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio che sono sufficienti, anche a fronte di un unico episodio di percosse , a dare il ‘la’ alla separazione e a renderla addebitabile all’ autore delle violenze . E questa ottica rende anche comprensibile la scelta dell’ affidamento esclusivo del figlio minorenne alla madre. Decisivo il fatto che il ragazzo si rapporti con timore alla figura paterna, proprio alla luce dei soprusi verificatisi in famiglia ad opera del genitore.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 aprile – 28 settembre 2017, n. 22689 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 5/2014, ha dichiarato la separazione dei coniugi Do. Br. e Pa. Mo. addebitandola a quest'ultimo cui ha imposto il versamento mensile di un assegno di 1.500 Euro quale contributo al mantenimento dei figli maggiorenni Gi. ed El. non ancora autosufficienti economicamente e del figlio minore Ni. che ha affidato congiuntamente ai genitori fissando la sua residenza prevalente presso la madre. Ha assegnato la casa familiare alla Br. per consentirle di abitarvi con i figli. Ha compensato interamente le spese processuali. 2. La Corte di appello di Bologna in parziale accoglimento del gravame di Do. Br. le ha affidato in via esclusiva il figlio Ni. disponendo che il padre possa vederlo due o tre volte a settimana senza orari prefissati secondo la volontà del minore e prevedendo che l'aumento della frequentazione con il padre, con la possibilità del pernottamento e di brevi periodi di vacanza avvenga progressivamente con l'ausilio e sotto la vigilanza dei servizi sociali di Ravenna. Ha posto a carico del Mo. un assegno mensile di 200 Euro a titolo di contributo al mantenimento della Br Ha condannato il Mo. al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. 3. Ricorre per cassazione Pa. Mo. che si affida a quattro motivi di impugnazione, illustrati da memoria difensiva a violazione o falsa applicazione dell'art. 151 comma 2 c.c. quanto all'addebito della separazione b violazione o falsa applicazione degli artt. 337 ter e quater c.c. quanto all'affidamento del figlio Ni. c omesso esame delle risultanze della relazione del servizio sociale d violazione o falsa applicazione degli artt. 156 c.c. e 337 sexies c.c. 4. Si difende con controricorso Do. Br Ritenuto che 5. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la Corte di appello di Bologna è incorsa in un errore di diritto fondando la statuizione relativa all'addebito della separazione sulla sola sussistenza di presunti comportamenti tenuti dal medesimo durante la convivenza matrimoniale, senza in alcun modo indagare il profilo del nesso di causalità rispetto alla crisi coniugale. 6. Il motivo è manifestamente infondato avendo la Corte di appello basato la sua decisione non su presunti comportamenti ma sulle deposizioni testimoniali dei figli e sulla sentenza penale di condanna n. 1537/2013 emessa dal Tribunale di Ravenna. Da quest'ultima pronuncia si desume un comportamento reiterato del Mo., costituito da violenze e umiliazioni, inflitto alla Br. e ai figli, iniziato dai primi anni '90 e protrattosi sino al 2011, comportamento che gli ha procurato una condanna a tre anni di reclusione per i reati di cui all'art. 572 c.p. uniti sotto il vincolo della continuazione. Non si vede quindi come il ricorrente possa dedurre un difetto di prova circa un comportamento talmente grave da essere stato sanzionato severamente anche in sede penale e che i figli hanno attestato nuovamente in questo giudizio. Non corrisponde al contenuto della motivazione l'affermazione del ricorrente circa l'omessa valutazione della Corte di appello sul nesso di causalità - che appare manifestamente evidente -fra tale condotta e la crisi del matrimonio. La Corte di appello ha infatti attribuito la durata del matrimonio all'effetto intimidatorio del comportamento iroso e violento del Mo. sul carattere debole e passivo della Br. ma è evidente anche la volontà di evitare il fallimento di una unione da cui sono nati tre figli. A prescindere però da tali valutazioni della Corte di appello deve ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui le violenze fisiche e morali costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, quand'anche concretantisi in un unico episodio di percosse, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei cfr. Cass. civ. sez. VI-1 n. 7388 del 22 marzo 2017 Cass. civ. sez. VI-1 n. 11142 del 30 maggio 2016 Cass. civ. sez. I n. 817 del 14 gennaio 2011 Cass. civ. sez. I n. 7321 del 7 aprile 2005 . 7. Con il secondo motivo il ricorrente ritiene del tutto apodittica la motivazione della Corte di appello secondo cui i pregressi gravi comportamenti di Pa. Mo. rendono più conforme all'interesse del minore Ni. un suo affidamento esclusivo alla madre . Secondo il ricorrente manca del tutto una ricognizione della idoneità genitoriale mentre la Corte di appello ha attribuito al figlio Ni. una paura della figura paterna che costituisce invece un mero convincimento della Br Inoltre la Corte di appello ha equivocato le affermazioni contenute nella relazione dei Servizi sociali laddove si registra una situazione allo stato attuale corrispondente di fatto a un affidamento esclusivo ma non per responsabilità del ricorrente. 8. Con il terzo motivo di ricorso censura la decisione della Corte di appello che ha omesso l'esame delle conclusioni della relazione dei Servizi sociali secondo cui entrambi i genitori sono adeguati a svolgere il loro ruolo genitoriale. 9. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e devono considerarsi inammissibili oltre che infondati. Il secondo motivo deduce una violazione di legge che è del tutto smentita dalla stessa illustrazione del motivo intesa a censurare la congruità e coerenza della motivazione. Il terzo motivo pur censurando la motivazione non coglie la ratio decidendi e indica quale fatto oggetto di omessa valutazione un giudizio sulla idoneità genitoriale che ha ovviamente costituito il presupposto della decisione. Il ricorrente cerca impropriamente di sostituire al riscontro della inidoneità dell'affidamento sotto il profilo della relazione esistente fra padre e figlio, profilo che è stato ben evidenziato dalla relazione dei Servizi sociali, una valutazione astratta della sua capacità genitoriale che, peraltro, prescinde completamente dai gravissimi comportamenti posti in essere nel corso del matrimonio e a cui deve ascriversi la situazione traumatica sofferta dai figli che, sempre secondo la relazione dei servizi sociali, è ancora in atto soprattutto per quanto riguarda il figlio minore. Sulla base di queste oggettive, e per niente apodittiche, valutazioni la Corte di appello ha ritenuto più confacente all'interesse del minore l'affidamento esclusivo alla madre senza peraltro precludere la possibilità di recuperare una genitorialità condivisa e comunque una relazione più significativa del figlio Ni. con il padre con l'ausilio e sotto la vigilanza dei Servizi sociali. 10. Con il quarto motivo si censura la decisione della Corte di appello di riconoscere alla Br. il diritto a percepire dal Mo. un assegno mensile di mantenimento di 200 Euro in relazione alla situazione reddituale ed economica delle parti, e all'impegno connesso alla cura e al mantenimento dei figli. 11. Il motivo è inammissibile in quanto non chiarisce in cosa consista la violazione o falsa applicazione delle norme indicate nella rubrica e appare diretto a una riedizione del giudizio di merito che la Corte di appello ha compiuto nel rispetto dei parametri normativi e giurisprudenziali in materia di accertamento e quantificazione dell'assegno di mantenimento nel giudizio di separazione e con una motivazione che appare congrua ed esaustiva. 12. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. 13. Non possono essere accolte le richieste del Procuratore Generale riportate in epigrafe dovendosi escludere la ricorrenza dei presupposti per la condanna di cui al terzo comma dell'art. 96 c.p.c. vertendo il giudizio, oltre che sull'addebito della separazione e sull'accertamento del diritto all'assegno di mantenimento, sulla verifica della corretta valutazione dell'interesse del minore in ordine al suo affidamento. Per ciò che concerne la richiesta di trasmissione va rilevato che essa si riferisce a una sentenza di condanna emessa in sede di giudizio penale mentre la sollecitazione ad eventuali iniziative ai sensi dell'art. 330 c.c. nei confronti del Mo. non può ritenersi di competenza di questo collegio giudicante. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 8.200 Euro di cui 200 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Rigetta l'istanza ex art. 96 comma 3 c.p.c. e l'istanza di trasmissione degli atti alla Procura presso il Tribunale per i minorenni di Bologna. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.