Il minore può decidere se aggiungere al cognome della madre, attribuitogli fin dalla nascita, quello del padre biologico

Poiché il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona, ciò che rileva non è l’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, quanto piuttosto quella di garantire l'interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità.

Il caso. Nel 2016 la Corte di Appello di Firenze, Sezione Minorenni, si pronunciava su un caso sottoposto al suo esame, rigettando la domanda volta ad attribuire il cognome paterno ad un minore nato in Svizzera nel 2003, dall’unione di un cittadino italiano e di una cittadina svizzera. L’uomo proponeva ricorso per cassazione, fondato su due motivi. La donna resisteva in giudizio con controricorso e proponeva ricorso incidentale affidato a tre motivi, a loro volta resistiti con controricorso dall’uomo. L’interesse del minore. Il padre del minore deduce la violazione dell’art. 262 c.c Ad avviso della Suprema Corte, il motivo è inammissibile. Si sostiene, infatti, che, nell’ipotesi in cui un minore nato da genitori non coniugati venga riconosciuto dagli stessi in tempi diversi, quello che rileva è l’interesse del minore stesso a che sia evitato un danno alla propria identità personale, intesa come proiezione della sua personalità sociale. Il legislatore, infatti, in tema di attribuzione del cognome, attribuisce al giudice un ampio margine di discrezionalità, non potendo la scelta essere condizionata né dal favor per il patronimico, né per un prevalente rilievo della prima attribuzione. Il diritto al nome, diritto fondamentale della persona. Ad avviso dei giudici della legittimità il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona, pertanto, ciò che rileva non è l’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, quanto piuttosto quella di garantire l'interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità. Ad avviso della Suprema Corte, il giudice di secondo grado, nella sua decisione, ha voluto tutelare l’interesse del minore, evitandogli un turbamento e una sofferenza e, quindi, assecondandone la volontà. Infatti, il ragazzo – che era stato ascoltato durante il giudizio – aveva sostenuto di non volere né sostituire, né aggiungere il cognome del padre al proprio, avuto per dodici anni. Pertanto, sulla base di tali dichiarazioni, i giudici hanno potuto desumere che imporre al ragazzo un cognome diverso il paterno gli avrebbe arrecato un forte turbamento e avrebbe portato ad acuire il sentimento di distacco e di astio verso il padre. La Cassazione, condividendo quanto sostenuto dalla corte territoriale, ha confermato la scelta. L’uomo, con un secondo motivo di ricorso, aveva contestato il fatto che la Corte d’Appello di Firenze non avesse disposto una consulenza psicologica sul minore ma si fosse limitata soltanto ad ascoltarlo. I Giudici Supremi hanno ritenuto inammissibile anche questo motivo. Hanno affermato che la consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio e non una vera e propria prova sottratta alla disponibilità delle parti e affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario. Inoltre, la Corte di Cassazione ha affermato che le criticità del ragazzo non sono state ignorate dal giudice fiorentino il quale, infatti, aveva disposto la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria svizzera di residenza del ragazzo. Conclusione. I giudici della legittimità, con l’ordinanza n. 17139 dichiarano inammissibile il ricorso principale, assorbiti i primi due motivi del ricorso incidentale e rigettano il terzo. La Suprema Corte condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 20 giugno – 11 luglio 2017, numero 17139 Presidente Genovese – Relatore Sambito Fatti di causa Con decreto in data 21.6.2016, la Corte d’Appello di Firenze, Sezione per i minorenni, ha confermato il provvedimento col quale è stata rigettata la domanda volta ad attribuire il cognome paterno al minore B.A.A. , nato in omissis dall’unione di M.E.N.G. , cittadino italiano, con B.N.L.G.F., cittadina svizzera. Per la cassazione del decreto, che ha affermato la giurisdizione del giudice italiano e ritenuto applicabile la legge italiana, ha proposto ricorso il padre, sulla base di due motivi, resistiti con controricorso dalla madre, che ha proposto ricorso incidentale, con tre motivi, a loro volta resistiti con controricorso dal padre, che ha, infine, depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata. 2. Il primo motivo, con cui il ricorrente principale deduce la violazione dell’art. 262 c.c., è inammissibile. 3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dallo stesso ricorrente, i criteri di individuazione del cognome del minore riconosciuto in tempi diversi dai genitori, si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, sicché la scelta anche officiosa del giudice è ampiamente discrezionale, con esclusione di qualsiasi automaticità e non può essere condizionata né dal favor per il patronimico né per un prevalente rilievo della prima attribuzione v. Cass. numero 12640 del 2015, numero 2644 del 2011, numero 12670 e 23635 del 2009 4. Ed, infatti, il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona, avente copertura costituzionale assoluta, quale strumento identificativo di ogni individuo, e, dunque, la ratio della norma non va individuata nell’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori del matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, ma in quella di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità. Nella scelta che deve compiere, il giudice deve, quindi, avere riguardo al modo più conveniente di individuare l’interesse del minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto sino al momento del riconoscimento da parte del padre, a prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome dell’uno o dell’altro genitore in altri termini, il provvedimento, che è contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e che è frutto di libero e prudente apprezzamento, deve essere orientato a garantire non tanto l’interesse dei genitori, quanto quello del minore ad essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui si trova inserito, restando, a tale stregua, esclusa la pertinenza della dedotta violazione del principio di uguaglianza e di pari dignità morale e giuridica dei genitori, adombrata in seno alla memoria. 5. Nella specie, la Corte territoriale non ha applicato un principio diverso, in quanto si è dichiaratamente ispirata alla tutela dell’interesse del ragazzo ed all’intento di evitargli turbamento e sofferenza, laddove, all’esito del suo ascolto, ha ritenuto di assecondarne la volontà, che è nel senso di non volere né sostituire, né aggiungere il cognome del padre al proprio a ragione del fatto che il cognome è personale e che accompagna per tutta la vita. Ho vissuto per 12 anni con questo cognome e non voglio averne altri . La Corte ha evidenziato che, pur se derivi da suggestioni e condizionamenti familiari , l’imposizione del cognome paterno, anche solo in aggiunta a quello materno, lo turberebbe fortemente e finirebbe per essere da lui considerato ancora più negativamente delle richieste del padre di vederlo costringendolo a sedute sofferenti e con l’acuire il sentimento di distacco e di astio verso il padre . 6. Ciò che in realtà il ricorrente contesta, come plasticamente si desume dalla memoria pag. 2 in fondo , dove si ribadisce che non è chiara la ragione per la quale l’aggiunta del cognome potrebbe nuocere al minore invece che recargli un beneficio, è, quindi, la scelta, sfavorevole alla sua tesi, che è stata operata in concreto dalla Corte, la cui valutazione, come si è detto, è, tuttavia, ampiamente discrezionale, attiene al giudizio di merito ed è insindacabile in questa sede di legittimità. 7. Sotto tale profilo deve rilevarsi che non risulta denunciato alcun vizio motivazionale, peraltro - avuto riguardo alla modifica dell’art. 360, co 1, numero 5, c.p.c., applicabile ratione temporis - virtualmente soggetto alle limitazioni introdotte dalla nuova disciplina. 8. Il secondo motivo, con cui si deduce la violazione degli artt. 61, 191, 115 e 116 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 262 c.c., per non avere la Corte fiorentina disposto una consulenza psicologica sul minore ed essersi limitata al suo ascolto, è del pari inammissibile, in quanto, come riconosce Io stesso ricorrente, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio e non una prova vera e propria sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice cfr. Cass. numero 15219 del 2007 numero 9641 del 2010 . 9. Il ricorrente non ha fornito alcun elemento per mutare orientamento, con conseguente inammissibilità del motivo ex art. 360 bis c.p.c. in base al principio, stabilito da Cass. S.U. 21/3/2017 numero 7155, che, rimeditando il precedente indirizzo Cass. SU numero 19051 del 2010 attribuisce alla menzionata disposizione di cui all’art. 360 bis c.p.c. la funzione di filtro d’ammissibilità . 10. Non può sottacersi, peraltro, che le criticità del ragazzo non sono state ignorate dalla Corte che ha, appunto, disposto trasmettersi gli atti all’autorità giudiziaria svizzera di residenza del figlio , sicché, anche per tale verso, la censura si risolve in un inammissibile sindacato sulla scelta operata in seno al decreto. 11. Per le considerazioni esposte, l’istanza di trattazione del procedimento alla pubblica udienza, avanzata dal ricorrente in seno alla memoria, va disattesa, non ravvisandosene i presupposti. 12. I primi due motivi del ricorso incidentale, volti ad infirmare l’affermata giurisdizione del giudice italiano violazione artt. 3, 24, 35 e 19 della L numero 218 del 1995 e la legge applicabile restano assorbiti, in applicazione del condivisibile principio secondo cui alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo, in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale Cass. SU numero 7381 del 2013 Cass. numero 4619 del 2015 . 13. Il terzo motivo, col quale la ricorrente incidentale lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., in riferimento alla statuizione di compensazione delle spese di lite è inammissibile, in quanto la Corte ha fatto uso del suo potere di disporre la compensazione delle spese del giudizio, che, in costanza dei relativi presupposti qui non criticati , costituisce un criterio di regolamentazione delle spese di lite alternativo a quello, invocato, della soccombenza. 14. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno regolate in base al criterio della prevalente soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Trattandosi di processo esente non va applicato l’art. 13, co 1 quater, del d.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbiti i primi due motivi del ricorso incidentale e rigetta il terzo. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 8.100,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre a spese generali ed accessori come per legge. Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. numero 198 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.