Due mogli, un marito defunto e una pensione da dividere

La ripartizione del trattamento economico va effettuata sia sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, sia ponderando gli elementi relativi all’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, alle condizioni economiche dei due e alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 16602/17 depositata il 5 luglio. Il caso. Il Tribunale di Padova, decidendo sul giudizio introdotto dalla prima moglie che già beneficiava dell’assegno divorzile, decideva per la ripartizione in parti uguali della pensione di reversibilità del marito defunto tra le due mogli. Il provvedimento veniva impugnato dalla seconda moglie dinanzi la Corte d’Appello di Venezia che, però, confermava la decisione di primo grado. La stessa, soccombente in Appello, propone ricorso per cassazione contestando l’omessa considerazione della diversa durata dei due matrimoni contratti dal marito e la possibile iniquità della somma percepita dalla prima moglie rispetto a quella da lei percepita. Ripartizione trattamento economico. Gli Ermellini ritengono che la decisione della Corte territoriale sia conforme con la giurisprudenza della S.C. laddove ha considerato che il meccanismo divisionale non è uno strumento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi . Pertanto, la ripartizione del trattamento economico va effettuata sia sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, sia ponderando gli ulteriori elementi relativi all’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, alle condizioni economiche dei due e alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. Il Collegio di legittimità rigetta il ricorso e condanna la ricorrete al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 7 aprile – 5 luglio2017, n. 16602 Presidente Dogliotti – Relatore Di Virgilio Fatto e diritto L.L. e M.G. sono state entrambe coniugate con S.R. . Il Tribunale di Padova, decidendo su giudizio introdotto da M.G. , ex moglie che beneficiava di assegno divorzile, ha deciso che la pensione di reversibilità dello scomparso dovesse essere corrisposta in parti uguali. L’impugnativa proposta da L.L. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Venezia. La Corte di merito ha considerato che il meccanismo divisionale non è uno strumento di perequazione economica fra le posizioni degli aventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi. La ripartizione del trattamento economico va quindi effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, quale l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. La Corte territoriale ha quindi confrontato le condizioni economiche delle parti e rigettato l’impugnazione. Nel ricorso per cassazione si contesta l’omessa considerazione della diversa durata dei due matrimoni contratti da S.R. con le parti in causa, ma si è già chiarito che la Corte di merito ha spiegato di aver legittimamente valorizzato sia questo dato che altri, con giudizio di fatto non censurabile in questa sede. Si critica, poi, che se l’ammontare della quota di spettanza della M. dovesse risultare superiore alla somma percepita quale assegno di divorzio il risultato apparirebbe iniquo . Questa considerazione ipotetica non è in grado di inficiare la corretta applicazione delle norme vigenti operata nella sentenza impugnata, nonché la valutazione in fatto operata dalla Corte d’Appello e compiutamente motivata. Non si ravvisano pertanto violazioni di legge, in ordine alle quali le censure sono peraltro proposte in modo inadeguato. In sostanza la ricorrente, pur invocando la violazione di norme di diritto, propone soprattutto contestazioni in ordine a profili e situazioni di fatto, per larga parte insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una decisione impugnata che appare invece caratterizzata da motivazione adeguata e non illogica. La decisione della Corte d’Appello risulta del resto conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte Cass. 16093/12 6019/14 21598/14 , e le contestazioni proposte in ricorso non inducono a modificare l’orientamento. Il ricorso appare pertanto manifestamente infondato. Le spese seguono la soccombenza nel rapporto L. - M. vanno compensate in confronti dell’INPS, che non ha svolto attività difensiva, non essendosi costituito. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.100 comprensivi di Euro 100 per esborsi, oltre accessori di legge, a favore di M.G. la competenza nei confronti dell’INPS. Omettere dati anagrafici e identificativi. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quatere, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.