L’erede può proporre azione di simulazione anche senza previa accettazione dell’eredità

Se l’erede agisce per far dichiarare la simulazione di un atto di disposizione patrimoniale del de cuius, visto che l’azione è diretta all’accertamento del negozio dissimulato e quindi al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto, non è necessario che provveda alla preventiva accettazione con beneficio di inventario ex art. 546 c.c

Questo è il principio di diritto espresso, con articolato ragionamento, dalla Suprema Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 15546/17, depositata in cancelleria il 22 giugno, in un ricorso depositato nel 2016. Il caso. La questione riguardava una sentenza della Corte di Appello di Roma del 2015, con cui veniva dichiarata la nullità della sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che a sua volta aveva in parte accolto la domanda proposta da A.M. nei confronti della sorella e rigettata quella nei confronti del nipote, figlio di quest’ultima, in quanto pronunciata dal Tribunale in composizione monocratica, sebbene rientrasse tra i procedimenti per i quali la norma prevede la competenza del Collegio. La Corte d’Appello poi, decidendo nel merito, dato che la questione non rientrava tra quelle da doversi rimettere al giudice di primo grado, accolse parzialmente la domanda di riduzione nei confronti della sorella di A.M., confermando il rigetto nei confronti del nipote, sulla motivazione che l’azione di riduzione non era stata preceduta dall’accettazione con beneficio di inventario, come previsto dall’art. 564, quando la domanda sia proposta nei confronti di un terzo rispetto all’eredità. Contro la sentenza della Corte d’Appello, il sig. M. ha proposto ricorso in Cassazione sulla base di sei motivi. In particolare, quello che qui maggiormente interessa è il terzo, che denunciava la violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, e quindi degli articoli 565 e 1414 c.c Sul punto, il ricorrente ricordava di aver dedotto che il nipote risultava essere acquirente dalla nonna di alcuni immobili, ma che in realtà i relativi atti dovevano riputarsi simulati, poiché in realtà non voluti, ovvero relativamente simulati, poiché la vendita dissimulava una donazione ritenendo nulla anche quest’ultima ipotesi, per vizio di forma, in quanto gli atti pubblici con cui il nipote aveva acquistato non erano stati compiuti con l’assistenza dei testimoni, e quindi non soddisfacevano i requisiti di forma e di sostanza dell’atto simulato. Al riguardo, la Corte d’Appello aveva accolto la domanda di riduzione proposta nei confronti della sorella, essendo questa chiamata all’eredità, ma non quella nei confronti del nipote, poiché dato che questi era estraneo all’eredità stessa, lo zio avrebbe dovuto provvedere ad accettarla con beneficio d’inventario. Inoltre, non potendo l’attore avvalersi delle presunzioni al fine di dimostrare la natura simulata della vendita, non vi era alcuna prova del fatto che gli atti fossero simulati. Non è necessaria l’accettazione con beneficio di inventario per l’erede che voglia far valere una simulazione finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, anche se l’azione è promossa nei confronti di chi non è erede. La Cassazione ha accolto il citato motivo di ricorso. Infatti, recita la sentenza, se è vero che in linea generale l’erede che intende far valere una simulazione nei confronti di chi non è coerede, deve preventivamente accettare l’eredità con beneficio di inventario e procedere alla redazione di quest’incombenza, è diverso il caso in cui questi, oltre a presentare azione di riduzione e di accertamento della simulazione, non si limiti a questo ma chieda anche la nullità dell’atto dissimulato, nel nostro caso per vizio di forma la mancanza dei testimoni all’atto di donazione, mascherata” da compravendita . In questo caso, sostiene la Suprema Corte, l’esigenza del rispetto della condizione prevista dall’art. 564 c.c. non ricorre, poiché l’erede agiva per far valere una simulazione assoluta o relativa, ma finalizzata anche a far accertare la nullità del negozio dissimulato. Infatti, in questo caso, l’accertamento della realtà effettiva dell’atto consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, in realtà mai usciti dal patrimonio del defunto. La Cassazione ha quindi accolto il ricorso sul punto, rigettando o ritenendo assorbiti gli altri, e rinviando la causa alla Corte d’Appello competente, che dovrà decidere attenendosi al suddetto principio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 20 aprile – 22 giugno 2017, n. 15546 Presidente Petitti – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 7051 del 18/12/2015, ha dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale di Civitavecchia, con la quale era stata in parte accolta la domanda proposta da M.A. nei confronti della sorella Ma.An. e rigettata quella nei confronti del nipote, figlio di quest’ultima, B.D. , in quanto pronunciata dal Tribunale in composizione monocratica, sebbene rientrasse tra le ipotesi in cui il Tribunale doveva decidere in composizione collegiale. Decidendo poi nel merito, esulando la vicenda dalle ipotesi di rimessione della causa al giudice di primo grado, ha accolto parzialmente la domanda di riduzione spiegata nei confronti della Ma. , mentre ha confermato il rigetto nei confronti del nipote, in quanto l’azione di riduzione non era stata preceduta dall’accettazione con beneficio di inventario come imposto dall’art. 564 c.c., laddove la domanda de qua sia proposta verso un soggetto non chiamato come coerede. M.A. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di sei motivi. Ma.An. ha resistito con controricorso. B.D. non ha svolto difese in questa fase. Il primo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 50 bis, 50 quater e 161 c.p.c., è manifestamente infondato. Si duole il ricorrente che la Corte d’Appello, nonostante avesse dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale, ed avesse affermato di dover procedere ad una nuova decisione nel merito, aveva poi provveduto alla disamina della controversia attenendosi a quanto prospettato con i motivi di gravame. Rileva la Corte che nella fattispecie, sebbene erroneamente nelle premesse si faccia riferimento in sentenza alla disamina dei motivi di appello, non può revocarsi in dubbio che in ogni caso la Corte abbia di fatto proceduto ad una nuova valutazione del merito della controversia, la quale era integralmente investita dalla proposizione dei motivi di gravame, di guisa che la motivazione si è avvalsa della formulazione dei motivi stessi al fine di meglio illustrare il proprio convincimento sul merito della vicenda, ancorché, come si dirà oltre, abbia poi reiterato lo stesso errore di diritto già commesso dal giudice di primo grado nell’interpretazione dell’art. 564 c.c Ne discende che la sentenza impugnata non può reputarsi affetta dal vizio dedotto da parte ricorrente. Il secondo motivo di ricorso invece denunzia la violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di interpretazione della domanda ed in particolare delle previsioni di cui agli artt. 112 c.p.c. e 1421 c.c., mentre il terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione, e quindi degli artt. 564 e 1414 c.c A tal fine occorre rilevare che l’attore aveva dedotto che il nipote, B.D. , risultava essere acquirente dalla defunta nonna, F.M.V. , di alcuni beni immobili, ma che in realtà gli atti in questione dovevano reputarsi essere alternativamente, o assolutamente simulati, poiché non voluti, ovvero relativamente simulati, in quanto la vendita in realtà dissimulava una donazione. In tale ultima ipotesi la donazione era da ritenersi in ogni caso nulla per vizio di forma, in quanto gli atti pubblici con i quali il B. aveva acquistato, non erano stati compiuti con l’assistenza dei testimoni, e quindi non soddisfacevano, in base alla previsione di cui all’art. 1414 c.c., che impone che i requisiti di forma e di sostanza dell’atto dissimulato debbano rinvenirsi nell’atto simulato, i requisiti di forma imposti dall’art. 782 c.c. cfr. per tale ricostruzione della domanda attorea la stessa narrazione in fatto contenuta nella sentenza impugnata alla pag. 5 . La Corte distrettuale, mentre ha ritenuto di accogliere, sebbene in misura ridotta, la domanda di riduzione proposta nei confronti della sorella, trattandosi di soggetto chiamato come coerede, e ritenendo che effettivamente la vendita in favore della stessa dissimulasse una donazione, ha invece ritenuto che la disamina della domanda avanzata nei confronti del B. fosse preclusa dall’omessa preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario da parte dell’attore, come appunto imposto dall’art. 564 c.c Ne conseguiva che non potendo l’attore avvalersi delle presunzioni al fine di dimostrare la natura simulata della vendita, non vi era alcuna prova circa il fatto che gli atti fossero simulati. Inoltre, poiché ai fini del perfezionamento del procedimento dell’accettazione beneficiata è necessario non solo la dichiarazione di accettazione, ma anche la redazione dell’inventario, l’omesso compimento di tale atto precludeva la proponibilità dell’azione di riduzione. I motivi sono palesemente fondati. Ed, invero costituisce principio costantemente ribadito da questa Corte quello secondo cui l’azione di simulazione relativa proposta dall’erede in ordine ad un atto di disposizione patrimoniale del de cuius stipulato con un terzo, che si assume lesivo della quota di legittima ed abbia tutti i requisiti di validità del negozio dissimulato nella specie una donazione in favore di un altro erede , deve ritenersi proposta esclusivamente in funzione dell’azione di riduzione prevista dall’art. 564 cod. civ., con la conseguenza che l’ammissibilità dell’azione è condizionata dalla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario. Tuttavia l’esigenza del rispetto di tale condizione non ricorre quando l’erede agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, in quanto, in tale ipotesi, l’accertamento della realtà effettiva dell’atto consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, in realtà mai usciti dal patrimonio del defunto cfr. Cass. n. 4400/2011 Cass. n. 17896/2011 Cass. n. 10262/2003 Cass. n. 6315/2003 . Si è altresì affermato cfr. Cass. n. 24134/2009 che l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita compiuta dal de cuius siccome celante una donazione, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni - quando agisca a tutela del diritto, riconosciutogli dalla legge, all’intangibilità della quota di riserva, proponendo in concreto una domanda di riduzione, nullità o inefficacia della donazione dissimulata. In tale situazione, infatti, la lesione della quota di riserva assurge a causa petendi accanto al fatto della simulazione, ed il legittimario - benché successore del defunto - non può essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall’art. 1417 cod. civ. né assume rilievo il fatto che egli - oltre all’effetto di reintegrazione - riceva, in quanto sia anche erede legittimo, un beneficio dal recupero di un bene al patrimonio ereditario, non potendo applicarsi, rispetto ad un unico atto simulato, per una parte una regola probatoria e per un’altra una regola diversa conf. ex multis Cass. n. 19468/2005 Cass. n. 8215/2013 . È evidente che, avendo l’attore dedotto la propria qualità di erede legittimario, ed avendo altresì denunziato la simulazione delle vendite effettuate in favore del nipote, in quanto dissimulanti delle donazioni, da reputarsi però nulle, poiché l’atto di vendita non aveva i requisiti di forma prescritti per le donazioni, la decisione impugnata non si è attenuta ai suddetti principi affermati da questa Corte, ritenendo erroneamente che la domanda avanzata nei confronti del B. dovesse essere preceduta dall’accettazione beneficiata, ed affermando altrettanto erroneamente, ed in contrasto con quanto dalla medesima riportato in punto di ricostruzione della domanda attorea cfr. altresì pag. 9, ove si richiama il fatto che lo stesso Tribunale aveva evidenziato che l’attore intendeva far accertare che le donazioni dissimulate erano nulle per difetto di forma , che la richiesta di parte attrice era limitata al solo accoglimento della domanda di riduzione e non anche di nullità. Per l’effetto la pronuncia gravata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma che dovrà procedere ad un nuovo esame dei fatti attenendosi ai suesposti principi. L’accoglimento del secondo e del terzo motivo determina poi l’assorbimento del quarto motivo con il quale si deduce l’erronea applicazione dei principi in tema di limitazione alla prova della simulazione per il legittimario, in quanto terzo , del quinto motivo che lamenta l’erronea valutazione dei beni interessati dalla domanda attorea, essendo evidente che all’esito della nuova disamina del merito, ed anche della domanda avanzata nei confronti del B. , sarà possibile verificare se ed in quale misura siano stati lesi i diritti dell’attore, facendo applicazione della regola di cui all’art. 559 c.c. e del sesto motivo che investe invece la corretta applicazione dei principi in tema di spese di lite . Al giudice di rinvio compete anche la liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, ed assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.