Il papà non versa l’assegno al figlio ormai maggiorenne: ci pensa mamma ad andare in tribunale

Il genitore a cui, in sede di separazione o divorzio, sia stato affidato il figlio durante la minore età, è legittimato ad agire per ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento anche dopo il raggiungimento della maggiore età in presenza di determinati presupposti.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12972/17 depositata il 23 maggio. Il caso. Il Tribunale di Forlì confermava la sentenza con cui il GdP accoglieva l’opposizione proposta da un uomo avverso il precetto notificatogli dall’ex moglie in forza della sentenza di divorzio ed avente ad oggetto l’assegno dovuto per il mantenimento del figlio minore. Avverso la sentenza di seconde cure ricorre in Cassazione la donna ribadendo quanto già sollevato dinanzi al giudice dell’appello ed, in particolare, di aver agito in nome e per conto del figlio all’epoca minore ma divenuto maggiorenne nelle more del procedimento , sul quale dunque dovevano ricadere gli effetti della sentenza, risultando irrilevante il fatto che nel precetto non fosse stata specificata tale sua qualità ed osservando inoltre che, in caso contrario, la decisione sarebbe viziata per difetto di legittimazione ad agire iure proprio e per la mancata costituzione in giudizio del figlio. Legittimazione ad agire. La Corte di Cassazione coglie l’occasione per richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il genitore, separato o divorziato, a cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, è legittimato iure proprio ad ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento del figlio, quale titolare di un diritto autonomo e concorrente con quello del minore a ricevere il contributo alle spese necessarie a detto mantenimento . Tale legittimazione sussiste anche nel momento in cui il figlio sia divenuto maggiorenne ma non ancora autosufficiente ed in assenza di un’autonoma iniziativa in tal senso, salvo che venga meno il rapporto di coabitazione. Tornando al caso di specie, non essendo venuto meno quest’ultimo presupposto, correttamente i giudici hanno ritenuto che la ricorrente abbia agito in giudizio esclusivamente in proprio stante la mancata spendita del nome del figlio nell’atto di precetto. Escludendo ogni censura nel merito della decisione, la Corte conclude con il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile -1, ordinanza 24 febbraio – 23 maggio 2017, n. 12972 Presidente Di Virgilio – Relatore Cristiano Fatto e diritto 1 Il Tribunale di Forlì ha rigettato l’appello di B.R. contro la sentenza del G.d.P. che accogliendo l’opposizione proposta dall’ex marito, R.G. , avverso il precetto che ella gli aveva notificato in forza della sentenza di divorzio - aveva accertato l’inesistenza del titolo da lei azionato e l’aveva condannata al pagamento delle spese di lite. 2 Il tribunale ha in primo luogo respinto il motivo d’appello con il quale B. , deducendo di aver agito in rappresentanza del figlio minore, sul quale dovevano pertanto ricadere gli effetti positivi e/o negativi della pronuncia, aveva sostenuto l’illegittimità del capo della sentenza che l’aveva condannata in proprio al pagamento delle spese. Ha quindi rilevato che l’appello era infondato anche nel merito, atteso che la pretesa avanzata con l’atto di precetto si fondava sull’errato presupposto del retroagire alla data della domanda degli effetti della sentenza di divorzio, con la quale il giudice aveva quantificato l’assegno dovuto da R. per il i mantenimento del minore in misura maggiore di quella stabilita nella sentenza di separazione, precisando, tuttavia, che il maggior importo avrebbe dovuto essere corrisposto a partire dalla data di pubblicazione della decisione. 3 Contro la sentenza, pubblicata il 23.9.014, B.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi, cui R.G. ha resistito con controricorso. Il consigliere relatore ha depositato proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., tempestivamente notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale. 3 I primi tre motivi del ricorso investono il capo della pronuncia impugnata che ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della B. rispetto alla domanda sulle spese. La ricorrente ribadisce, secondo quanto già dedotto dinanzi al giudice dell’appello, di avere agito esclusivamente in nome e per conto del figlio all’epoca minore, ma divenuto maggiorenne nel corso del giudizio , sul quale dovrebbero pertanto ricadere gli effetti della sentenza, ed assume che a tal fine risulterebbe del tutto irrilevante il fatto che nel precetto non abbia specificato di agire in tale qualità. Osserva, inoltre, che, se così non fosse, la decisione sarebbe invalida, stante il suo difetto di legittimazione ad agire iure proprio , e la mancata costituzione in giudizio del figlio, una volta divenuto capace di agire, valevole quale ratifica del suo operato. 4 I motivi, che sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente, sono manifestamente infondati. Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte Cass. nn. 25300/013, 24316/013, 11320/05 , il genitore, separato o divorziato, a cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, è legittimato iure proprio ad ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento del figlio, quale titolare di un diritto autonomo e concorrente con quello del minore a ricevere il contributo alle spese necessarie a detto mantenimento e, pur dopo che il figlio è divenuto maggiorenne ma non ancora autosufficiente , in assenza di un’autonoma richiesta di quest’ultimo, mantiene tale legittimazione, salvo il venir meno del rapporto di coabitazione circostanza nella specie mai dedotta . Del tutto correttamente, pertanto, i giudici del merito, hanno ritenuto che, in mancanza di spendita del nome del figlio asseritamente rappresentato, B. abbia agito in giudizio esclusivamente in proprio. Restano assorbiti l’ottavo ed il nono motivo del ricorso, con il quale la questione è riproposta con esclusivo riguardo alla statuizione di condanna al pagamento delle spese. 5 Con il quarto, il quinto ed il sesto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver escluso che gli effetti della sentenza di divorzio, nel capo in cui aveva disposto l’aumento dell’assegno, decorressero dalla data di proposizione della domanda. Anche questi motivi, strettamente connessi ed esaminabili congiuntamente, sono manifestamente infondati, atteso che, secondo quanto accertato dal tribunale e non contestato da B. , il giudice del divorzio ha espressamente stabilito che R. è tenuto a corrispondere alla ex moglie, quale contributo al mantenimento del figlio, la somma di Euro 700 mensili, da versarsi entro il giorno 5 del mese e da rivalutarsi secondo gli indici ISTAT a far data dalla pubblicazione della presente sentenza . A fronte di una così chiara statuizione, non si vede come il giudice dell’opposizione a precetto avrebbe potuto fornire una diversa interpretazione della sentenza di divorzio, della cui eventuale erroneità la ricorrente avrebbe potuto dolersi solo proponendo appello. 5.1 Palesemente infondato è anche l’assunto di B. secondo cui vi sarebbe un contrasto fra motivazione e dispositivo della sentenza per il solo fatto che nel dispositivo non è stata indicata la data di decorrenza dell’assegno nel rito di cognizione ordinaria, infatti, l’esatto contenuto della sentenza va individuato integrando il dispositivo con la motivazione, nella parte in cui questa rivela l’effettiva volontà del giudice peraltro, nel caso di contrasto, è per l’appunto alla motivazione che va data prevalenza Cass. nn. 5765/016, 17910/015, 10727/013, 15321/012 . 6 È infine inammissibile, per la sua assoluta genericità, il settimo motivo del ricorso, con il quale la ricorrente lamenta che le spese non siano state compensate in ragione della peculiarità del caso di specie . Il ricorso va, in conclusione, integralmente respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi i nomi delle parti e degli altri soggetti in esso menzionati. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.PR. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1, 17 comma, della 1. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.