A 26 anni decide di proseguire gli studi: “… e io pago”

Legittima, secondo i giudici, la scelta di non accontentarsi della semplice laurea triennale. La ragazza così punta a un inserimento più favorevole nel mondo del lavoro. Confermato l’obbligo del padre di versarle un assegno di mantenimento da 850 euro al mese.

Percorso di studi ancora da completare per la studentessa, di 26 anni, che non si accontenta della laurea triennale. Scelta legittima e che obbliga il padre a versarle ancora un corposo mantenimento mensile Corte di Cassazione, ordinanza n. 10207/17, sez. VI Civile, depositata oggi . Percorso di studi non ancora concluso. Chiusi definitivamente i rapporti tra moglie e marito, con tanto di divorzio, resta sul tavolo un’unica questione il mantenimento a favore della figlia. Per i giudici il papà deve versarle un assegno mensile di 850 euro , nonostante la ragazza sia maggiorenne – 26 anni di età, per la precisione – e abbia già ottenuto la laurea triennale in ‘Educazione professionale dei servizi sanitari’ . Questa decisione è poggiata soprattutto su un elemento la ragazza non pare avere rifiutato concrete opportunità lavorative e ha invece, legittimamente secondo i giudici, scelto di proseguire il proprio percorso di studi nell’ottica di un utile inserimento nel mondo lavorativo conforme alle proprie aspirazioni professionali . Tali valutazioni, pur duramente contestate dal genitore, vengono condivise dai magistrati della Cassazione. Anche a loro avviso, difatti, il padre deve continuare a versare alla figlia 850 euro al mese . Ciò perché non è contestabile la scelta presa dalla ragazza a 26 anni, cioè proseguire gli studi, non fermandosi alla semplice laurea triennale, per puntare un ingresso più favorevole nel mondo del lavoro.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 3 febbraio – 26 aprile 2017, n. 10207 Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni Rilevato che 1. Il Tribunale di Treviso, con provvedimento del 3 aprile 2015, ha respinto le domande proposte separatamente da G. B. C. e dalla ex moglie D. G. rispettivamente per ottenere l'incremento e la revoca o la riduzione dell'assegno mensile di 850 Euro posto nella sentenza di divorzio a carico del padre a titolo di contributo al mantenimento della figlia L. non ancora indipendente economicamente. 2. La Corte di appello di Venezia, con decreto dell'1/9 giugno 2015, ha respinto il reclamo principale proposto dal C. e quello incidentale proposto dalla G Ha rilevato la Corte veneziana che a in sede di revisione il giudice non può procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti ma deve limitarsi a verificare se, e in che misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto b l'obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggono volontariamente allo svolgimento di un'attività lavorativa adeguata Cass. n. 4555/2012 c la revoca dell'obbligo contributivo non può essere legata nel caso in esame al mero conseguimento di una laurea triennale in educazione professionale nei servizi sanitari in assenza della prova che la beneficiaria dell'assegno abbia rifiutato concrete opportunità lavorative ed avendo L. C. dimostrato di voler proseguire il proprio percorso di studi per realizzare un utile inserimento nel mondo lavorativo conforme alle proprie aspirazioni professionali d la riduzione dell'assegno, richiesta in via subordinata dal C., non può essere accolta per le stesse ragioni costituendo il titolo di studi conseguito solo una tappa del percorso formativo intrapreso. 3. Ricorre per cassazione G. B. C. affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 9 della legge n. 898/1970 e degli artt. 147, 148, 315 bis cc. Carenza e contraddittorietà della motivazione. 4. Si difendono con controricorso D. G. e L. C Ritenuto che 5. La giurisprudenza di legittimità ha anche di recente ribadito che la cessazione dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, da parte dell'avente diritto, dal momento del raggiungimento della maggiore età Cass. civ. sezione I, n. 12 952 del 22 giugno 2016 . 6. La Corte di appello di Venezia ha richiamato in modo sostanzialmente corretto la giurisprudenza in materia e ha accertato l'insussistenza delle condizioni per la cessazione dell'obbligo di mantenimento in primo luogo rilevando che non risulta provato né che L. Cipollotti abbia conseguito l'indipendenza economica né che abbia rifiutato concrete opportunità lavorative. Quanto invece alla prosecuzione del percorso di studi la Corte di appello ha ritenuto che si tratta di una scelta finalizzata a un utile inserimento nel mondo lavorativo corrispondente alle inclinazioni personali della giovane figlia del ricorrente e compatibile con la sua età al momento della decisione ventisei anni e con le condizioni socio-economiche della sua famiglia. Tali valutazioni che attengono al merito della controversia non sono soggette al sindacato di legittimità cfr. Cass. civ.,sez. I, n. 2392 del 4 marzo 1998 e n. 18076 del 20 agosto 2014 secondo cui il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere dell'obbligo di mantenimento, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori. 7. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi 3.200 Euro di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, pari a quello versato a titolo di contributo unificato, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.