La rilevabilità d’ufficio della nullità del negozio testamentario

Ove sia proposta una domanda di impugnativa negoziale, tra le quali rientra evidentemente anche la domanda di annullamento del testamento, la contestazione circa la validità del negozio riproposta in appello, impedisce che possa ritenersi formatosi il giudicato sulla sua validità, anche laddove la nullità non sia stata rilevata da parte del giudice di primo grado, con la conseguenza che il giudice di appello conserva il potere di rilevazione della nullità, sebbene ai sensi dell’art. 345 c.p.c., che non permette la proposizione di domande nuove in grado di appello, non sia consentito alle parti di trarre occasione dal rilievo officioso per chiedere un accertamento della nullità.

Adempimento del legato e validità del testamento. Con la pronuncia n. 8841/2017, depositata il 5 aprile, la Corte di Cassazione afferma importanti principi in tema di invalidità del negozio testamentario, in relazione al quale applica i principi recentemente affermati dalle Sezioni Unite in tema di rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale. La vicenda sottesa alla sentenza trae spunto dalla domanda di adempimento di un legato proposta nei confronti degli eredi, i quali resistevano in giudizio chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento della non veridicità della data apposta sulla scheda testamentaria. Tanto in primo grado quanto in appello, i giudici di merito rigettavano la domanda riconvenzionale accogliendo invece quella principale e condannando quindi i convenuti all’adempimento del legato. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale rigettava la domanda avente ad oggetto l’invalidità della scheda testamentaria ritenendo preclusa, pena il vizio di ultrapetizione, la valutazione di altri profili di invalidità del testamento, nella specie quelli derivanti dall’intervento di terzi nella redazione delle disposizioni di ultima volontà, avendo gli appellanti proposto unicamente la domanda di accertamento della invalidità per la non veridicità della data apposta al testamento. Vizi del testamento e poteri del giudice. Avverso la pronuncia di merito veniva proposto ricorso per cassazione, deciso con la pronuncia in rassegna, censurando sotto vari profili la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di appello, il quale sarebbe altresì incorso nella violazione dell’art. 1421 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità più recente, la quale ha affermato la rilevabilità d’ufficio della nullità a prescindere dalla specifica impugnativa negoziale proposta. La Corte accoglie il ricorso, ritenendo che la decisione di merito si sia discostata dalle indicazioni offerte dalla giurisprudenza di legittimità in tema di potere di rilevazione d’ufficio della nullità ai sensi dell’art. 1421 c.c. Cass., SSUU, nn. 26242 e 26243/2014 , ritenuti dalla stessa applicabili anche al negozio testamentario. Afferma quindi la Corte che ove sia proposta una domanda di impugnativa negoziale, tra le quali rientra evidentemente anche la domanda di annullamento del testamento, la contestazione circa la validità del negozio riproposta in appello, impedisce che possa ritenersi formatosi il giudicato sulla sua validità, anche laddove la nullità non sia stata rilevata da parte del giudice di primo grado, con la conseguenza che il giudice di appello conserva il potere di rilevazione della nullità, sebbene ai sensi dell’art. 345 c.p.c., che non permette la proposizione di domande nuove in grado di appello, non sia consentito alle parti di trarre occasione dal rilievo officioso per chiedere un accertamento della nullità. A supporto di tale affermazione, la Corte rileva che detto principio si giustifica ancor più nel caso di specie, il quale scaturisce dalla domanda di adempimento del legato, domanda che, pur contrastata dalla riconvenzionale di annullamento, deve essere scrutinata dal giudice consentendogli di verificare d’ufficio l’esistenza di una causa di nullità, sebbene al solo fine di pervenire al rigetto di una domanda fondata su un titolo negoziale affetto da nullità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 3 marzo – 5 aprile 2017, n. 8841 Presidente Petitti – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione B.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Treviso G.S. e C. al fine di conseguire dai convenuti, nella qualità di eredi, il legato disposto nel testamento olografo del 7/11/2000 della defunta B.P. , con il quale si disponeva che lascio i solidi in banca ai miei nipoti S. C. ed a mia sorella L. . I convenuti contestavano la domanda chiedendo in via riconvenzionale accertarsi la non veridicità della data apposta alla scheda testamentaria e la conseguente nullità. Evidenziavano altresì che l’attrice aveva gestito i trattamenti previdenziali della de cuius e chiedevano ex art. 2028 c.c., ovvero in subordine ex art. 2041 c.c., la restituzione di quanto impiegato e trattenuto dall’attrice per esigenze personali. In ogni caso chiedevano che il legato fosse interpretato nel senso che era limitato alle sole somme contenute sul conto corrente intestato alla de cuius, con esclusione degli altri valori mobiliari gestiti dalla banca. Il Tribunale di Treviso con la sentenza del 23 settembre 2011 rigettava le domande riconvenzionali, e condannava gli attori al pagamento della terza parte delle somme tutte percepite dalla Banca Popolare Friuladria S.p.A. con gli interessi a far data dall’apertura della successione al saldo. La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 150 del 27 gennaio 2016 rigettava l’appello promosso dai G. . Rilevava che le due consulenze tecniche d’ufficio disposte in grado di appello, finalizzate a verificare la capacità naturale della testatrice e l’eventuale falsità della data, avevano permesso di escludere che la de cuius, alla data riportata nel testamento, fosse affetta da patologie tali da escluderne la capacità naturale. Peraltro, poiché era emerso che alla data del giugno 2001 il testamento era stato già redatto, in quanto già inserito nel dossier titoli intestato alla defunta, l’aggravarsi delle condizioni di salute era riferibile ad epoca sicuramente successiva a quella di redazione del testamento, dovendosi quindi rigettare la domanda di annullamento ex art. 591 c.c Diveniva quindi anche irrilevante accertare la falsità o meno della data apposta dalla testatrice all’atto di ultime volontà. Quanto poi alle indagini grafologiche, osservavano i giudici di appello che, sebbene la CTU avesse ritenuto altamente probabile che la mano della de cuius fosse stata a tratti aiutata o guidata da una mano altrui. tuttavia non si potevano valutare altri profili di invalidità, quale ad esempio la nullità per apocrifia, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, posto che le conclusioni della parte appellante erano state sia in primo grado che in appello, nel senso della proposizione della sola domanda di accertamento della invalidità per la non veridicità della data. Quindi riteneva corretta la estensione del legato a tutte le somme depositate, ivi inclusi gli investimenti mobiliari, e confermava il rigetto della domanda di rendiconto e arricchimento senza causa, per l’assenza di prova circa la gestione da parte dell’appellata delle somme appartenenti alla sorella. Infine, condannava gli appellanti al rimborso delle spese del grado nei confronti dell’appellata, e compensava le spese di giudizio tra gli appellanti e la banca, rilevando che non era stata formulata alcuna domanda verso quest’ultima, se non in sede di precisazione delle conclusioni in appello. G.S. e C. hanno proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di tre motivi. B.E. ha resistito con controricorso. La Banca Popolare Friuladria S.p.A. ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. I ricorrenti principali hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale. I tre motivi del ricorso principale lamentano sotto vari profili la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di appello. In particolare con il primo, richiamando anche la violazione falsa applicazione dell’art. 1421 c.c., nonché degli artt. 101 e 345 c.p.c., e degli artt. 602 e 606 c.c., i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’Appello, sebbene in motivazione abbia riferito che le indagini grafologiche avevano evidenziato come altamente probabile che la mano della testatrice fosse stata aiutata o guidata nella redazione delle ultima volontà, ha escluso che fosse possibile accertare la nullità del testamento, in quanto gli attori avevano fatto valere la sola annullabilità per falsità della data. Si deduce che in realtà la previsione di cui all’art. 1421 c.c., come interpretata dalle Sezioni Unite deve condurre alla rilevabilità d’ufficio della nullità, a prescindere dalla specifica impugnativa negoziale proposta. Si aggiunge che peraltro il tema della nullità per apocrifia era stato reiteratamente sviluppato negli scritti difensivi sia in primo che in secondo grado. Il secondo motivo, sempre denunziando la violazione dell’art. 112 c.p.c. evidenzia che in realtà la domanda, così come proposta dagli attori, era volta ad ottenere anche la declaratoria di nullità, sicché la Corte distrettuale non poteva esimersi dal rilevare la nullità. Il terzo motivo ribadisce che anche in sede di appello le parti ricorrenti avevano inteso richiedere l’accertamento della nullità del testamento per difetto di autografia, e che tale richiesta era stata espressamente ribadita in sede di conclusioni. I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono, ad avviso del Collegio, fondati. Reputa il Collegio che infatti la decisione impugnata si sia discostata dalle autorevoli indicazioni offerte dalla Suprema Corte nelle decisioni nn. 26242 e 26243 del 2014, con le quali si è chiarita l’esatta portata del potere di rilevazione d’ufficio della nullità ex art. 1421 c.c Ed, infatti, ove sia proposta una domanda di impugnativa negoziale, tra le quali rientra evidentemente anche la domanda di annullamento del testamento apparendo al Collegio che le affermazioni contenute nelle menzionate sentenze debbano estendersi, attesa la natura negoziale, anche al testamento , la contestazione circa la validità del negozio riproposta in appello impedisca che possa ritenersi formato il giudicato sulla sua validità, anche laddove la nullità non sia stata rilevata da parte del giudice di primo grado, e che pertanto il giudice di appello, conservi intatto il potere di rilevazione della nullità, sebbene ai sensi dell’art. 345 c.p.c., che non permette la proposizione di domande nuove in grado di appello, non sia consentito alle parti di trarre occasione dal rilievo officioso per chiedere un accertamento della nullità. A tali considerazioni deve poi aggiungersi che il presente giudizio scaturisce da una richiesta di adempimento del legato, e che quindi a fronte di una domanda di adempimento, ancorché contrastata da una riconvenzionale di annullamento del testamento, a maggior ragione deve ritenersi consentito al giudice, anche laddove la diversa impugnativa negoziale si riveli infondata, di poter verificare d’ufficio l’eventuale esistenza di una causa di nullità, sebbene al solo fine di pervenire al rigetto di una domanda fondata su di un titolo negoziale affetto da nullità. Non è dato quindi trincerarsi dietro l’asserita differenza tra l’azione di annullamento e la diversa ipotesi di nullità per apocrifia del testamento, in quanto anche disattesa la prima, il thema decidendum continua ad essere rappresentato dalla domanda di adempimento del legato, che presuppone verificata la validità dell’atto che lo contiene, nonostante la patologia possa derivare da cause diverse da quelle poste a sostegno della domanda riconvenzionale. A ciò può altresì aggiungersi che anche a voler ritenere limitata la domanda riconvenzionale alla sola richiesta di annullamento del testamento per falsità della data, la deduzione della sussistenza di una causa di nullità costituisce sicuramente un’eccezione in senso lato cfr. punto 6.14.1 della motivazione della sentenza n. 26242/2014 , suscettibile di essere riproposta liberamente anche in grado di appello, e comunque di rilievo officioso. Il richiamo nella citazione d’appello al concorso di un soggetto terzo nella redazione dell’atto di ultima volontà, quale si evince dalla riproduzione del contenuto del relativo atto, vale quanto meno a rappresentare la volontà di proporre in via di eccezione la questione della nullità in conseguenza del detto intervento. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in ordine all’affermazione circa l’impossibilità di poter rilevare la possibile causa di nullità per difetto di autografia, in quanto in contrasto con i principi espressi dalle menzionate sentenze delle Sezioni Unite, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia che riesaminerà il merito attenendosi agli stessi. Quanto invece al ricorso incidentale avanzato dalla Banca Popolare Friuladria S.p.A. con il quale ci si duole dell’erronea compensazione delle spese del giudizio di appello, reputa il Collegio che lo stesso sia assorbito, in conseguenza dell’accoglimento del ricorso principale e della necessità di dover provvedere, all’esito del giudizio di rinvio, ad una nuova regolamentazione delle spese di lite. Il giudice del rinvio, appunto, provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Venezia anche per le spese del presente giudizio.