Dice addio a un contratto a tempo indeterminato: niente mantenimento da parte del padre

Irrilevante il peggioramento lavorativo subito da una ragazza, poi costretta ad accontentarsi di un contratto a tempo determinato. Resta indiscutibile il fatto che ella abbia raggiunto una propria indipendenza economica. Sospiro di sollievo per il genitore.

Rinuncia a un contratto a tempo indeterminato e poi è costretta ad accontentarsi di un contratto a tempo determinato. Scelta personale sicuramente discutibile, ma che, comunque, legittima la richiesta del padre di vedere revocato il suo obbligo di versarle il mantenimento ogni mese Cassazione, ordinanza n. 6509/2017, Sezione Sesta Civile, depositata oggi . Lavoro. Per i giudici è importante, innanzitutto, il dato dell’età della figlia esso già è sufficiente per azzerare l’ipotesi del mantenimento da parte del padre. Ma ancor più significativa è ritenuta la incomprensibile decisione presa dalla ragazza, ossia lasciare un lavoro a tempo indeterminato per lavorare poi come magazziniere a tempo determinato . Questi due elementi sanciscono la vittoria del genitore, che, nonostante l’opposizione della ex moglie, si vede liberato dall’obbligo di provvedere al mantenimento della figlia. E questa vittoria è ora definitiva, grazie al pronunciamento della Cassazione. Anche per i magistrati del ‘Palazzaccio’, difatti, la situazione lavorativa della ragazza fa desumere che ella abbia raggiunto l’indipendenza economica . Irrilevante invece viene ritenuto il peggioramento a livello contrattuale in sostanza, la perdita di un’occupazione a tempo indeterminato non può, secondo i giudici, obbligare nuovamente il genitore al mantenimento della figlia .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 24 febbraio – 14 marzo 2017, numero 6509 Presidente/Relatore Di Virgilio Fatto e diritto La Corte Premesso che Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello di Firenze, premessa la mancata costituzione della B., e precisato che era stata a questa regolarmente notificato il decreto di fissazione dell'udienza, a valere sia per l'inibitoria che per il merito, ha rilevato che la figlia non solo era di età da escludere di per sé ogni ipotesi di mantenimento, ma che risultava, sulla base delle dichiarazioni rese dalla madre, avere lasciato il lavoro, da ritenersi a tempo indeterminato, per lavorare come magazziniera a tempo determinato, e che i problemi psichici della stessa, peraltro irrilevanti ai fini del mantenimento, non erano stati provati, mancando il fascicolo di parte della B Ricorre la B. sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria. Si difende con controricorso il L Rileva quanto segue. 1.1.- E' infondato il primo motivo, inteso a far valere il vizio processuale per la fissazione della medesima udienza per l'inibitoria e la presa in decisione, atteso che si applica il rito camerale ex articolo 4, L. 898/1970 e che la Corte d'appello ha evidenziato come fosse stata fissata udienza a valere sia per la sospensiva che per il merito, né evidentemente la ricorrente potrebbe dolersi della mancata assegnazione alla controparte del termine per gli scritti conclusivi, a cui questa aveva rinunciato chiedendo l'immediata presa in decisione. 1.2.- Il secondo mezzo è in parte inammissibile, in parte infondato. E' incongruo il richiamo al principio della vicinanza della prova, atteso che, molto semplicemente, la Corte d'appello ha dato atto della carenza probatoria in relazione alle condizioni psichiche della figlia, ma ha altresì ritenuto in ogni caso l'irrilevanza della questione, e tale rilievo non è stato censurato dalla B 1.3.- Il terzo mezzo è sostanzialmente inammissibile. Posto il principio, tra le ultime affermato nella pronuncia di questa Corte del 9/5/2013, numero 11020, va osservato che la Corte d'appello, dopo avere considerato l'età in sé della figlia, ha argomentato in ogni caso rilevando che, interpretando quanto dichiarato dalla B. in sede di audizione presidenziale, si doveva ritenere che la figlia avesse lasciato il precedente lavoro a tempo indeterminato, per trovare poi un'occupazione a tempo determinato, da cui l'applicazione del principio secondo cui, una volta raggiunta la capacità lavorativa, e quindi l'indipendenza economica, la successiva perdita dell'occupazione non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento così le pronunce di questa Corte del 28/1/2008, numero 1761 e del 2/12/2005, numero 26259 . E detta motivazione non è suscettibile di censura motivazionale, atteso che nella specie si applica ratione temporis l'articolo 360 numero 5 c.p.c. nel testo modificato dal D.L. 22/6/2012, numero 83, convertito nella legge 7/8/2012, numero 134/2012, atteso che, come ritenuto nella pronuncia delle Sez.U. del 2/4/2014, numero 8053, è oggi denunciabile soltanto l'omesso esame di un fatto decisivo, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, nei limiti in cui l'anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza in sé della motivazione, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto delle altre risultanze processuali nelle ipotesi quindi di mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , motivazione apparente , contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza di motivazione . 1.4.- Il quarto mezzo è infondato, atteso che la difformità dalle conclusioni del P.G. non configura alcun vizio ex articolo 360 cod. proc. civ. 1.5.- Il quinto motivo è infondato. La ricorrente si duole della conferma dell'assegno di mantenimento determinato dal Tribunale in Euro 400,00 mensili, senza considerare che tale determinazione era conseguente all'assegnazione della casa coniugale, revocata dalla sentenza impugnata è agevole rilevare che, per potere elevare a proprio favore l'assegno di mantenimento, la parte avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato. 3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. 115 del 30/5/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi.