Disoccupata over 60: assegno dall’ex marito

Secondario il fatto che l’uomo abbia sofferto una patologia cardiaca che ne ha ridotto la capacità lavorativa. L’ex moglie ha diritto a ricevere 600 euro mensili, soprattutto tenendo presenti le difficoltà che incontrerà nel trovare un impiego.

Disoccupata, 60 anni e una vita da casalinga. Posizione assai difficile, quella della donna, una volta ufficializzato il divorzio. Legittimo, di conseguenza, il suo diritto ad ottenere un assegno mensile dall’ex marito. Irrilevante il fatto che l’uomo abbia avuto problemi fisici che ne hanno ridotto la capacità lavorativa Cassazione, ordinanza n. 4100/2017, Sezione Sesta Civile, depositata oggi . Assegno. Battaglia giudiziaria centrata soprattutto sul fronte economico. Assieme alla pronuncia di separazione della coppia, viene riconosciuto il diritto della donna a ricevere un assegno mensile di un milione e duecentomila lire per il proprio sostentamento . Dieci anni dopo arriva l’ufficialità del divorzio , e in questo caso l’ assegno riconosciuto alla donna è più contenuto, appena 350 euro mensili . Tale cifra viene spiegata dai giudici con la patologia cardiaca che ha limitato la capacità lavorativa dell’uomo. Quest’ultimo dato viene però ritenuto secondario, invece, in Appello, laddove l’uomo viene obbligato a versare un assegno mensile di 600 euro all’ex moglie. Rilevanti per questa decisione due elementi primo, la durata del matrimonio secondo, la disoccupazione della donna. Lavoro. E ora la visione tracciata in Appello viene condivisa dai magistrati della Cassazione. A loro avviso, peraltro, è decisiva soprattutto la presa d’atto delle difficili condizioni attuali del mercato del lavoro , condizioni che rendono complicato un tardivo inserimento della donna. Su questo fronte, difatti, non può essere trascurato che lei è nata nel 1953 , non ha una specifica qualificazione professionale e, soprattutto, per oltre trent’anni si è dedicata esclusivamente all’ambito familiare . Così, proprio perché la donna è disoccupata e incontrerà, si presume, parecchie difficoltà nel trovare un lavoro, è necessario un contributo in suo favore da parte dell’ex marito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 11 novembre 2016 – 16 febbraio 2017, n. 4100 Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che in data 21 settembre 2016 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta Rilevato che 1. Il Tribunale di Trieste ha dichiarato la separazione giudiziale dei coniugi M. S. e F. B., affidando la figlia minore A. al padre, presso il quale ha dichiarato di voler risiedere la figlia maggiorenne Valentina, ha inoltre imposto al S. l'obbligo di corrispondere un assegno di lire 1.200,00 mensili per il sostentamento della moglie. 2. Dieci anni dopo, su ricorso del S., il Tribunale di Trieste, con sentenza n. 1084/12, ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e ha imposto al S. un assegno divorzile di Euro 350,00 mensili a favore della moglie. Il Tribunale ha fissato tale importo inferiore a quello di Euro 120,00, corrisposto in base alla sentenza di separazione, tenendo in considerazione la sopravvenuta patologia cardiaca del S. che aveva limitato la sua capacità lavorativa. 3. Avverso tale statuizione, ha proposto appello la signora B. che ha richiesto un assegno divorzile di almeno Euro 1.000,00 mensili. La Corte territoriale ha ritenuto l'appello della ricorrente parzialmente fondato e, richiamandosi ai criteri dell'art. 5 della legge n. 898/1970, ha rideterminato l'assegno in Euro 600,00 mensili. a Ricorre per Cassazione M. S., affidandosi a tre motivi di impugnazione a violazione e falsa applicazione dell'art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, in relazione alle modalità di applicazione del criterio di durata del matrimonio come parametro per la quantificazione dell'assegno divorzile, con conseguente violazione e falsa applicazione di cui all'art. 360 c.p.c, 1 comma, n. 3 il ricorrente ritiene che la Corte, nel valutare i parametri di riferimento previsti dalla richiamata normativa per la determinazione dell'assegno, abbia dato prevalente rilievo ai trentacinque anni di durata del matrimonio, non tenendo in considerazione il consolidato principio che prevede che si debba far riferimento alla durata della comunione legale, che cessa con la separazione personale in questo caso, dall'ottobre del 1977 al 1996 b contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio il ricorrente ritiene contraddittoria la motivazione della Corte distrettuale di Trieste che dà rilievo alla circostanza per cui la B. ha dedicato alla fami glia e all'impresa del coniuge la propria attività senza ricevere sostentamento, ma omette di valutare il fatto che la stessa, dal momento della separazione giudiziale, non si è mai attivata per reperire un'attività lavorativa remunerata c mancata contestualizzazione dell'esame della situazione economica dei coniugi il signor S. ritiene che la Corte territoriale si è limitata a riportare le valutazioni del precedente giudicato senza analizzare le condizioni economiche attuali dei coniugi che, rispetto alla data di pronuncia della separazione giudiziale, sono cambiate. 4. Si difende con controricorso la B. che eccepisce l'improcedibilità del ricorso e ne chiede comunque la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto. Ritenuto che 5. Il ricorso è inammissibile perché consiste in una contestazione al merito della decisione che peraltro non coglie le ragioni su cui è fondata. Infatti la durata del matrimonio peraltro considerevole 24 anni sino alla separazione e 33 sino al divorzio non è stato affatto l'unico criterio per la determinazione dell'assegno e la Corte territoriale ha valutato le condizioni attuali del mercato del lavoro ostative a un tardivo inserimento della B. e la situazione di salute e la capacità reddituale attuale del S. ai fini dell'accertamento del diritto all'assegno e della sua quantificazione. 6. Sussistono pertanto i presupposti per la discussione del ricorso in camera di consiglio e, se il collegio condividerà la presente relazione, per la sua dichiarazione di inammissibilità o eventualmente per il rigetto. La Corte, letta la memoria difensiva del ricorrente, condivide la relazione sopra riportata e rileva che il riferimento compiuto dal ricorrente nella memoria difensiva alla sentenza n. 11870/2015 di questa Corte non appare pertinente in quanto la decisione della Corte di appello triestina e la motivazione su cui si base è pienamente coerente al principio di diritto affermato nella sentenza citata secondo cui l'accertamento del diritto all'assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, mentre nella seconda procede alla determinazione in concreto dell'ammontare dell'assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio. Nell'ambito di questo duplice accertamento assumono rilievo, sotto il profilo dell'onere probatorio, le risorse reddituali e patrimoniali di ciascuno dei coniugi, quelle effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, nonché le rispettive potenzialità economiche . In particolare va rilevato che la condizione di disoccupazione della B. trova una logica giustificazione nella motivazione della Corte distrettuale che ha messo in risalto la condizione di crisi economica e occupazionale generale e la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro all'età della B. che è nata nel 1953 , senza avere una specifica qualificazione e avendo espletato la propria attività esclusivamente nell'ambito familiare. La Corte pertanto ritiene che il ricorso debba essere respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 3.100, di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.