La Chiesa annulla il matrimonio. L’Italia chiede prova contraria all’ultratriennalità della convivenza

Il requisito della convivenza ultratriennale dei coniugi può essere smentita solo da una prova contraria a carico di chi agisce per il riconoscimento della sentenza ecclesiastica di nullità.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 3315/17 depositata l’8 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Perugia respingeva la domanda del coniuge di riconoscimento in Italia dell’efficacia della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario contratto nel 2003. La motivazione risiedeva nel fatto che la coppia aveva convissuto stabilmente fino al 2009 superando il limite di 3 anni previsto dalle SS. UU., sentenza n. 16379/2014, quale requisito indice di una convivenza stabile e continua. Il coniuge ricorre per cassazione. Il requisito di ultratriennalità della convivenza. La Corte di legittimità afferma che il requisito della convivenza ultratriennale dei coniugi, dopo la celebrazione del matrimonio, può e deve essere smentito solo da una prova contraria a carico di chi agisce per il riconoscimento della sentenza di nullità . Nella fattispecie, nessun elemento di prova è desumibile dalla sentenza ecclesiastica, al contrario, le disposizioni raccolte attestano l’effettività della convivenza dei coniugi dal 2003 al 2009. Gli intervalli intervenuti a causa dell’allontanamento di un coniuge, dettati dalla necessità di visitare e assistere i propri familiari nel suo paese, non sono idonei a costituire prova contraria. Non rileva nemmeno il carattere problematico del rapporto coniugale smentito dal progetto di una vita comune realizzato dagli stessi anche attraverso la nascita dei figli. Per tutti questi motivi la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 novembre 2016 – 8 febbraio 2017, n. 3315 Presidente Giancola – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. La Corte di appello di Perugia, con sentenza n. 55/2015, ha respinto la domanda, proposta da M.M. , di riconoscimento in Italia dell’efficacia della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario con N.E. celebrato in omissis . Nella motivazione la Corte distrettuale umbra ha richiamato la sentenza n. 16379/2014 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione e ha rilevato che la convivenza fra i coniugi è durata stabilmente dalla data di celebrazione del matrimonio sino al 2009. 2. Ricorre per cassazione M.M. affidandosi a cinque motivi di impugnazione. 3. Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 797 comma 1 n. 7 c.p.c. anche alla luce della sentenza n. 16379/2014 delle S.U. della Corte di Cassazione e rileva che la convivenza ultratriennale non è stata caratterizzata, come si evince dal riscontro della motivazione della pronuncia di nullità del matrimonio, da quel requisito di continuità e stabilità che la citata sentenza delle Sezioni Unite ha affermato come presupposto necessario per escludere la possibilità del riconoscimento della sentenza della giurisdizione ecclesiastica. 4. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti e cioè la peculiarità della convivenza fra i coniugi M. e N. che porta ad escludere i predetti requisiti di continuità e stabilità come pure l’esistenza di un reale progetto di vita in comune. 5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 3 della Costituzione principio di ragionevolezza nonché dell’art. 7 della Costituzione e dell’art. 8 del Concordato Lateranense. Secondo il ricorrente la Corte di appello, nel negare la delibazione per il solo fatto della convivenza dopo le nozze senza alcuna indagine sui caratteri specifici di tale convivenza ha commesso una violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione. Inoltre l’attribuzione di una efficacia ostativa assoluta al dato fattuale della convivenza ultratriennale dei coniugi dopo il matrimonio comporta una esclusione del riconoscimento della pronuncia ecclesiastica di nullità senza alcuna considerazione circa la stabilità, continuità, il legittimo affidamento, la responsabilità della convivenza che non può non ritenersi in contrasto con l’art. 7 della Costituzione in relazione all’art. 8 del Concordato Lateranense. 6. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. corrispondenza fra chiesto e pronunciato nonché dell’art. 2697 c.c. onere della prova anche alla luce della sentenza delle S.U. n. 16379/2014. Il ricorrente ritiene che, essendosi la controparte limitata a eccepire la convivenza coniugale e la nascita dei figli senza dedurre e provare i fatti e i comportamenti specifici che attestano l’esistenza dei requisiti di stabilità e affidamento necessari per integrare una situazione giuridica di ordine pubblico, la Corte non avrebbe potuto rigettare la richiesta di riconoscimento della sentenza ecclesiastica violando così i principi della domanda e della corrispondenza fra chiesto e pronunciato. 7. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 132 comma II n. 4 c.p.c. Il ricorrente ritiene che la motivazione della Corte di appello, limitata al richiamo della più volte citata sentenza delle S.U. e alla mera constatazione della durata ultratriennale della convivenza matrimoniale, non consente di ritenere la decisione conforme ai principi che regolano la motivazione. Ritenuto che 8. I cinque motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e si dimostrano infondati. 9. Il requisito della convivenza ultratriennale dei coniugi, dopo la celebrazione del matrimonio, che, nella specie, ha costituito l’oggetto di specifica eccezione da parte della N. , può e deve essere smentito solo da una prova contraria a carico di chi agisce per il riconoscimento della sentenza di nullità del matrimonio concordatario una volta che sia incontestata la fissazione di una comune residenza anagrafica dei coniugi e la volontà di instaurare un rapporto coniugale effettivo. 10. Nessun elemento di prova desumibile dal testo della sentenza ecclesiastica ha consentito alla Corte di appello di affermare il carattere fittizio della residenza comune dei coniugi mentre le deposizioni raccolte, nel corso del giudizio di annullamento davanti al tribunale ecclesiastico, attestano, al contrario la effettività della convivenza dei coniugi dal 2003 al 2009. Non può ritenersi pertanto rilevante la circostanza per cui tale convivenza sia stata intervallata da periodi di allontanamento della N. dettati dalla necessità di visitare e assistere i propri familiari nel suo paese natio. Né può ritenersi rilevante il carattere problematico del rapporto coniugale dato che quello che rileva è la effettività del rapporto coniugale dopo la celebrazione del matrimonio, l’effettivo attuarsi del rapporto coniugale che, nella specie, la Corte di appello ha correttamente ritenuto provato sulla base della comune convivenza e della nascita dei figli ritenendo pertanto destituita di fondamento la affermazione del ricorrente secondo cui i coniugi non avrebbero avuto e attuato alcun progetto di vita in comune. 11. Il ricorso va pertanto respinto senza alcuna statuizione sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.