Il cognome paterno si aggiunge a quello materno, non lo sostituisce

L’aggiunta del patronimico al cognome materno fa salva l’esigenza di evidenziare, all’esterno, l’avvenuto riconoscimento della figlia da parte del padre, e il superiore interesse della minore a conservare la propria identità.

Quanto sopra è stato affermato nella sentenza depositata il 19 ottobre 2016 dal Tribunale di Caltanissetta a definizione di un procedimento avente ad oggetto il riconoscimento successivo di un figlio nato fuori dal matrimonio. Il caso. A seguito del procedimento per il riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio – al quale la madre che aveva per prima riconosciuto la figlia si era opposta – il Tribunale di Caltanissetta, pronunciandosi non definitivamente, autorizzava il padre a riconoscere come propria la figlia. Avvenuto il riconoscimento avanti l’Ufficiale dello Stato Civile, il procedimento proseguiva nel merito per l’emissione dei provvedimenti riguardanti l’affidamento, il contributo al mantenimento, il cognome della figlia riconosciuta. La conflittualità tra i genitori. Il Tribunale disponeva l’affido condiviso della figlia minore ad entrambi i genitori nonostante l’alta conflittualità che non può di per sé elidere il beneficio per la minore derivante da una piena conservazione e da un equilibrato sviluppo di un rapporto affettivo con entrambi i genitori . In considerazione della tenera età della minore, prossima al compimento dei tre anni, veniva disposto il collocamento prevalente presso la madre. La conflittualità, però, se non era stata determinante per un affido esclusivo ad uno dei due genitori, veniva tenuta in considerazione nella regolamentazione delle visite paterne, disposte in spazio protetto. Il cognome della minore. Una volta divenuto effettivo il riconoscimento, il Tribunale si pronunciava anche sul nuovo cognome della minore posto che è il giudice a stabilire se il figlio debba assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per secondo, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello del genitore che lo ha riconosciuto per primo. A tal proposito, si deve aver riguardo al miglior interesse del minore che è quello di evitare un danno alla sua identità personale intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avendo anche riguardo all’ambiente in cui il minore è cresciuto fino al successivo riconoscimento, escludendo il favore per il cognome paterno. Tenuto conto dell’età della bambina quasi tre anni , inserita in una fase in cui il minore assume una maggiore consapevolezza di sé come individuo nei rapporti con i pari e gli adulti, tenuto conto dell’ambiente circostante e del fatto che la bambina frequentava un asilo nido che l’ha portata ad interagire con gli altri bambini, il Tribunale disponeva l’aggiunta al cognome materno della bambina quello del padre. La responsabilità aggravata. Infine, per l’opposizione al riconoscimento proposta dalla madre, ritenuta infondata dai giudici, la madre veniva condannata al risarcimento in favore del padre ricorrente di una somma a titolo di responsabilità aggravata, ex art. 96 ultimo comma c.p.c Tale disposizione, infatti, prevede che anche in assenza di una domanda di parte il giudice, d’ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento a favore dell’altra di una somma equitativamente determina.

Tribunale di Caltanissetta, sez. Civile, sentenza 19 ottobre 2016 Presidente Cammarata – Relatore Balsamo Motivi della decisione 1. Con sentenza non definitiva n. 159/16 Reg. Sent. del 17 febbraio 2016 il Tribunale di Caltanissetta autorizzava A in accogli-mento del ricorso ex art. 250 comma 4 c.c. dallo stesso proposto a procedere al riconoscimento, quale propria figlia, di C , nata a il e già riconosciuta dalla madre B . Nulla veniva disposto invece riguardo al cognome, all'affidamento e al mantenimento della minore, ritenendosi necessario che il ricorrente procedesse, anzitutto, all'effettivo riconoscimento della figlia. All'udienza del 12 maggio 2016, quindi, il sig. A produceva un estratto dell'atto di nascita della minore, attestante l'avvenuto riconoscimento, ed insisteva per l'adozione dei provvedimenti di cui al citato art. 250 comma 4 c.c. Terminata l'istruttoria, all'udienza del 21 settembre 2016 le parti precisavano le rispettive conclusioni, rinunciando ai termini di cui all'art. 190 c.p.c. 2. Tanto premesso, si osserva in primo luogo che, avendo il ricorrente proceduto al riconoscimento della figlia C innanzi all'Ufficiale dello Stato Civile, così come richiesto in sentenza non definitiva al fine di tutelare gli interessi della minore , è adesso possibile adottare i provvedimenti ex artt. 315 bis e 262 c.c., in ossequio al dettato dell'art. 250 comma 4 c.c., a cominciare da quelli relativi all'affidamento della piccola C . Sul punto è opportuno rammentare che l’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori è previsto nel nostro sistema come il regime ordinario regolante i rapporti intercorrenti tra geni-tori e figli a seguito dell’adozione di provvedimenti relativi alla separazione giudiziale dei coniugi. Tale dato appare tanto più confermato ove si tenga conto della recente riforma introdotta con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 con-tenente la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione” , a seguito della quale è stato inserito il nuovo Capo II, Titolo IX, Libro I del codice civile. Tra le norme di nuova introduzione si segnala l’art. 337 ter c.c., il quale ribadisce, al suo primo comma, il diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”, invitando il giudice, al suo secondo comma, a valutare prioritariamente” la possibilità dell’affidamento dei figli minori ad entrambi i genitori. Di particolare importanza appare il fatto che il legislatore abbia voluto raggruppare tutte le disposizioni concernenti i provvedimenti in materia di esercizio della responsabilità genitoriale” termine che sostituisce la precedente dicitura potestà genitoriale”, rimarcando la sussistenza di precisi obblighi in capo ai genitori nei riguardi dei figli in un unico Capo applicabile ai procedimenti in materia di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ed a quelli relativi ai figli nati fuori del matrimonio. Ed invero, tramite tale diversa collocazione e rubricazione delle norme nel libro I, si è voluto definitivamente por-re al centro l’interesse superiore del minore a mantenere rapporti con entrambi i genitori senza dare alcun preminente peso allo status di figlio legittimo o meno dello stesso , in modo tale che le decisioni giudiziali che lo riguardano tengano conto, per quanto possi-bile, dell’esigenza di salvaguardare tale fondamentale diritto. Si osserva altresì che alla menzionata regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti contraria all’interesse del minore come sancito dall’art. 337 quater c.c. . Prendendo le mosse dal quadro normativo sopra descritto e venendo all'esame del merito della vicenda oggetto del presente pro-cedimento, va disposto che la figlia minore della coppia, C , venga affidata ad entrambi i genitori, non emergendo dalla documenta-zione versata in atti, al di là di una accesa conflittualità tra i genitori e tra le loro famiglie di origine inequivocabilmente attestata dal tenore degli scritti difensivi, nonché dall'acquisita relazione del Consultorio Familiare di , circostanze suscettibili di fare ritenere detto regime contrario all’interesse della minore. Ed invero, l’anzidetta conflittualità, seppure astrattamente idonea a rendere più difficoltoso l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale, non può di per sé elidere il beneficio per la minore derivante da una piena conservazione e da un equilibrato sviluppo di un rapporto affettivo con entrambi i genitori, che il regime di affidamento condiviso è presuntivamente più idoneo ad assicurare ciò, soprattutto, in assenza di emergenze probatorie idonee a dimostrare l’adozione di comportamenti pregiudizievoli da parte di uno dei genitori nei riguardi della minore. In considerazione della tenera età della figlia della coppia e dell’esigenza di salvaguardare le consolidate abitudini di vita della medesima, appare opportuno prevederne la prevalente domicilia-zione presso l’abitazione materna presso la quale la bambina attualmente stabilmente dimora . 3. Della conflittualità dei genitori dovrà invece tenersi necessariamente conto ai fini della disciplina del diritto di visita da parte del padre. Come infatti rilevabile dall'esame della relazione del Consultorio, nonostante, per un verso, il sig. A abbia manifestato il desiderio di essere messo nelle condizioni di svolgere il suo ruolo genitoriale e, per altro verso, la sig.ra B abbia dichiarato di non volere ostacolare il suo rapporto con C , di fatto, a causa dei difficili rapporti tra i genitori, la minore non ha instaurato alcuna relazione significativa con il padre v. pag. 2 relazione Consultorio . In considerazione delle circostanze di cui sopra e tenuto conto dell'età di C che compirà tre anni il prossimo 20 ottobre , ritiene il Collegio opportuno, allo stato, disporre che gli incontri tra la minore C e il padre A avvengano in ambiente protetto presso il competente Consultorio Familiare, secondo le modalità e i tempi che la medesima struttura riterrà più opportuni in relazione all'età e alle esigenze della minore. Entrambi i genitori vanno altresì onerati di comunicare ogni cambiamento di residenza o domicilio, di comunicare il recapito an-che telefonico dei luoghi di villeggiatura e di concedersi il reciproco assenso all'iscrizione della figlia sul passaporto di entrambi e alla sottoscrizione delle necessarie autorizzazioni per il rilascio della carta di identità della figlia minore valida anche per l'espatrio. 4. Per ciò che attiene alle modalità di contribuzione dei genitori al mantenimento di C , tenuto conto della domiciliazione della stessa presso l’abitazione materna e, dunque, della conseguente maggiore incidenza degli oneri correlati all’ordinario mantenimento della prole nei riguardi del genitore collocatario , nonché della capacità reddituale del sig. A il quale percepisce un reddito annuo complessivo di circa € 10.500,00 netti, pari a circa € 807,00 per tredici mensilità, così come ricavabile dall'esame della documentazione fi-scale prodotta , va posto a carico di quest'ultimo l’obbligo di corrispondere in favore della sig.ra B , entro il giorno cinque di ciascun mese, la somma di € 250,00 annualmente rivalutabile alla stregua dell’indice I.S.T.A.T. a titolo di contributo indiretto per il mantenimento della figlia minore ciò in attuazione del dovere di contribuzione posto a carico di entrambi i genitori dall’art. 316 bis, comma 1, c.c. e commisurato alla rispettiva capacità patrimoniale e reddituale. Va, infine, distribuito tra entrambi i genitori in ragione del 50% per ciascuno il carico delle spese straordinarie intese quali spese di istruzione e spese mediche la cui copertura non sia assicurata dal Servizio Sanitario Nazionale da sostenere nell’interesse della mino-re. 5. Con riferimento al cognome della minore, deve aversi riguardo a quanto stabilito dall'art. 262 c.c. In particolare, la disposizione normativa in parola stabilisce che, nel caso di minori, è il giudice a stabilire se il figlio debba assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per secondo, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello del genitore che lo ha riconosciuto per primo. Circa la scelta di una delle soluzioni illustrate, ritiene il Collegio di aderire all'orientamento anche di recente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, a mente della quale, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, poiché i criteri di individuazione del co-gnome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta, la scelta anche officiosa del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più convniente di individuare il minore in relazione all'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata né dal favor per il patronimico, né dall'esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall'art. 262 c.c., che presiedono all'attribuzione del co-gnome al figlio legittimo cfr. Cass. 12640/15 . Orbene, per quanto attiene alla fattispecie in esame, questo Collegio ritiene maggiormente rispondente all'interesse della minore la conservazione del cognome della madre con l'aggiunta di quello del padre. A tale scelta si perviene tenendo in considerazione anzitutto l'età della bambina che, lo si ripete, è ormai prossima al compimento del terzo anno di vita . Si tratta, infatti, di un delicato momento del-la crescita, caratterizzato dall'assunzione, da parte del bambino, di una sempre maggiore consapevolezza di sé come individuo e nei rapporti con i pari e con gli adulti. Come poi rilevato dal Consulto-rio Familiare, C frequenta un asilo nido, il che comporta che la stessa ha già iniziato ad interagire con gli altri bambini della sua età. Ne consegue che la totale sostituzione del cognome paterno a quello della madre rischierebbe di essere percepito dalla minore come un radicale mutamento di identità, tale da ingenerare confusione e de-stabilizzazione. Per tali ragioni, si reputa preferibile la soluzione dell'aggiunta del patronimico al cognome materno, che fa salva sia l'esigenza di evidenziare, all'esterno, l'avvenuto riconoscimento della figlia da parte del padre, sia il superiore interesse della minore a conservare la propria identità. 6. Ritiene infine il Collegio che sussistano gli estremi per con-dannare la resistente al pagamento, in favore del ricorrente, di una somma a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. A tal proposito, mette conto rilevare che l’ultimo comma della disposizione in parola, aggiunto dall’art. 45 comma 12 della l. 18 giugno 2009 n. 69, stabilisce che in ogni caso il giudice, quando pronuncia sulle spese, può, anche d’ufficio, condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata. L’inciso utilizzato dal legislatore va interpretato nel senso che tale condanna non solo può prescindere da una specifica domanda di parte, ma anche dalla dimostrazione di un danno concreto, ferma restando la necessità della prova dell’elemento soggettivo. Si è voluto, pertanto, introdurre uno strumento latamente san-zionatorio posto a disposizione del giudice e volto a scoraggiare abusi consistenti nell’utilizzo distorto dello strumento processuale cfr. sul punto Tribunale di Varese, sez. I civ., ordinanza 2 ottobre 2012 n. 27 . In ordine all’elemento soggettivo richiesto dal comma 1 della norma in esame, secondo consolidata giurisprudenza cfr. Cass. 9060/2003 9579/2000 2475/1995 , esso va ravvisato nella coscienza dell’infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza, e non già nella mera opinabilità del diritto fatto valere. Nel caso di specie, la condotta processuale tenuta dalla resistente deve ritenersi certamente censurabile ed ascrivibile quantomeno a colpa grave se non a vero e proprio dolo . Il riferimento è, anzi-tutto, alla proposizione di una opposizione al riconoscimento del tutto generica e sprovvista di concreti elementi fondanti, nonché al mancato consenso all’effettuazione del raffronto tra il patrimonio genetico del ricorrente e quello della figlia. In secondo luogo, va stigmatizzato il comportamento della resistente successivo all’emissione della sentenza non definitiva, caratterizzato dal persi-stente rifiuto di acconsentire lo svolgimento degli incontri tra il ri-corrente e la piccola C , pur dopo l’effettivo riconoscimento opera-to dal primo circostanza, questa, dedotta dal A e non contestata dalla B . La condotta della resistente, dunque, ha comportato un ingiusti-ficato prolungamento del giudizio, tanto più ingiustificato in quanto destinato ad incidere inevitabilmente sui preminenti interessi della figlia minore, primo fra tutti quello alla bigenitorialità. Per tali ragioni, appare equo condannare la resistente, ex art. 96 comma 3 c.p.c., al pagamento in favore del ricorrente della somma di € 1.000,00. 7.1. In considerazione dell’esito del giudizio, tenuto conto del rigetto dell'opposizione dalla stessa avanzata, la resistente va infine condannata alla rifusione delle spese di lite sostenute dal ricorrente, liquidate nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività in concreto svolta nelle varie fasi del giudizio, alla luce dei parametri di cui al D.M.G. 55/2014. 7.2. Per le medesime ragioni, la resistente va condannata al pagamento delle spese per la C.T.U. disposta in corso di causa. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione collegiale, uditi i procuratori delle parti costituite e sentito il Pubblico Ministero ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa definitivamente pronunciando 1 affida la figlia minore della coppia C , nata a il , ad entrambi i genitori, con domiciliazione prevalente presso l’abitazione della madre B 2 dispone che gli incontri tra la minore ed il padre A avvengano in ambiente protetto presso il Consultorio Familiare di , secondo le modalità e i tempi che la medesima struttura riterrà più opportuni in relazione all'età e alle esigenze della minore 3 obbliga entrambi i genitori a comunicare ogni cambiamento di residenza o domicilio, a comunicare il recapito anche telefonico dei luoghi di villeggiatura e a concedersi il reciproco assenso all'iscrizione della figlia sul passaporto di entrambi e alla sotto-scrizione delle necessarie autorizzazioni per il rilascio della carta di identità della figlia minore valida anche per l'espatrio 4 pone a carico di A l’obbligo di corrispondere in favore di B , entro il giorno cinque di ciascun mese a decorrere dal primo me-se successivo a quello del deposito del presente provvedimento, la somma di € 250,00 annualmente rivalutabile alla stregua dell’indice I.S.T.A.T. , a titolo di contributo per il mantenimento della figlia C 5 pone a carico di entrambi i genitori, in misura pari al 50% per ciascuno, le spese straordinarie intese quali spese di istruzione e spese mediche non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale da sostenere nell’interesse della figlia 6 dispone che la minore C , nata a il , aggiunga al proprio cognome quello del padre, assumendo quindi il nome di B A 7 ordina all’Ufficiale di Stato civile del Comune di di annotare, ai sensi dell'art. 49, 1 comma lett. p , d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, la presente sentenza nell'atto di nascita di C , nata a il atto di nascita n. , parte , serie , volume , dell'anno 2013 8 condanna la resistente al pagamento in favore del ricorrente del-la somma di € 1.000,00, a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 comma 3 c.p.c. 9 condanna B al pagamento in favore di A delle spese di lite da questi sostenute, che si liquidano in € 3.627,00, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, come per legge 10 pone a carico della resistente il pagamento delle spese per la C.T.U.