Istituzione di erede universale e liquidazione della legittima in denaro: credito di valore o di valuta?

Nel caso di divisione ereditaria effettuata dal testatore, ai legittimari va attribuito l’equivalente monetario della quota di legittima che costituisce un credito di valore da accertarsi al momento dell’apertura della successione e da attualizzarsi al momento della sentenza, secondo il prudente apprezzamento del Giudice del merito che ne determina la rivalutazione.

Il principio di cui sopra è stato ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 25346/16 depositata il 12 dicembre. I fatti di causa. Il procedimento, iniziato in primo grado nel 1987, ha per oggetto un testamento olografo con cui la de cuius , madre di tre figli, aveva istituito una figlia erede universale e determinato la legittima riservata agli altri due figli mediante liquidazione per equivalente in denaro. La decisione nel merito. Il giudice di merito di secondo grado, dichiarato lo scioglimento della comunione ereditaria, aveva condannato l’erede universale al pagamento in favore di ciascuno dei due suoi fratelli ad una somma equivalente alla legittima, oltre ad interessi con decorrenza dalla data della domanda del giudizio di primo grado. La decorrenza degli interessi. Per la Corte Suprema, la decisione dei giudici di merito è errata in punto di debenza degli interessi legali sulle somme di denaro che l’erede universale dovrebbe corrispondere ai due fratelli a titolo di reintegra della loro legittima lesa per contrasto con quanto chiesto dall’attore in primo grado il quale, infatti, aveva richiesto la decorrenza degli interessi legali non dalla domanda bensì dalla più recente stima della quota di legittima. Il credito di valore. Non solo, la decisione di merito è errata in quanto, nel caso di specie, si è in presenza di una divisione ereditaria svolta dal testatore, mediante l’istituzione di erede universale e la determinazione della legittima con equivalente in denaro, in cui ai legittimari va attribuito l’equivalente monetario della quota di eredità che la legge riserva loro. Ciò costituisce un credito di valore, e non di valuta, con la conseguenza che la reintegrazione della quota di legittima deve essere adeguata al mutato valore, al momento della decisione giudiziale, del bene a cui il legittimario avrebbe diritto affinché ne costituisca l’esatto equivalente Cass. 14449/13 . Il credito di valore, pertanto, deve essere accertato al momento dell’apertura della successione ma attualizzato e rivalutato al momento della decisione del giudice. I beni costituenti la massa ereditaria. Un alto tema analizzato dai Giudici di legittimità viene introdotto con ricorso incidentale da uno dei figli legittimari che lamenta che i giudici di merito erroneamente hanno escluso alcuni beni dalla massa ereditaria. Tale motivo di ricorso viene accolto in Cassazione posto che al fine dell’esatto computo delle quote spettanti ai legittimari avrebbero dovuto essere presi in considerazione tutti i beni presenti al momento dell’apertura della successione, escludendosi ogni influenza a tal proposito di eventi successivi. Ha pertanto errato la Corte di merito allorquando ha escluso dalla stima all’attualità beni interessati da vicende espropriative successive all’apertura della successione testamentaria. La non rilevanza degli eventi successivi all’apertura della successione. Sul punto la Corte di Cassazione afferma il principio secondo il quale gli eventi succedutisi temporalmente dopo il momento dell’apertura della successione ereditaria sono indifferenti in relazione alla concreta individuazione e determinazione della massa ereditaria, di guisa che gli elementi costituenti quest’ultima, anche se all’attualità del successivo momento della loro valutazione, risultano di altro proprietario devono essere comunque considerati e stimati al fine della corretta determinazione delle quote ereditarie.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 luglio – 12 dicembre 2016, n. 25346 Presidente Mazzacane – Relatore Oricchio Considerato in fatto R.S. conveniva in giudizio nel 1987 innanzi al Tribunale di Roma i propri germani R.A. e V. . L’attore chiedeva lo scioglimento della comunione ereditaria costituita dal patrimonio relitto dalla genitrice M.G. deceduta il omissis senza aver lasciato testamento. Costituitisi in giudizio i convenuti contestavano l’avversa domanda deducendo che la dante causa aveva istituito erede universale la figlia R.V. , con previsione di liquidazione della legittima in denaro, a mezzo di testamento olografo del omissis , testamento del quale l’attore contestava, in giudizio, l’autografia della sottoscrizione. L’adito Tribunale di prima istanza, all’esito dell’istruttoria ed, in particolare, della seconda perizia grafologica, dichiarava con sentenza n. 11203/1998 valido ed efficace il testamento de quo e, per conseguenza, R.V. erede universale con attribuzione alla stessa dei cespiti di cui in atti. Avverso la suddetta decisione il R.S. interponeva appello resistito dalle parti appellate, che chiedevano il rigetto del gravame. L’adita Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4045/2001, accoglieva l’appello limitatamente all’attribuzione alla R. della somma di cui al deposito di conto corrente presso la banca Monte dei Paschi, di cui in atti. Avverso la suddetta sentenza ricorreva per Cassazione il R.S. -con atto fondato su quattro ordini di motivi, resistito con separati controricorsi dal R.A. e dalla R.V. . Con sentenza n. 10030/2005 questa Corte, accogliendo il solo quarto motivo del ricorso esaminato relativo al mancato accoglimento della domanda del ricorrente di vedersi attribuita la quota di legittima in denaro cassava la gravata decisione e rinviava alla Corte di Appello di Roma. Quest’ultima, all’esito della riassunzione del giudizio, dichiarava con sentenza n. 1285/2015 lo scioglimento della comunione ereditaria, condannando la R.V. al pagamento in favore di ciascuno dei due suoi fratelli della somma di Euro 737.555,56, oltre interessi, provvedendo ad ulteriori conseguenti statuizioni di cui in atti e dichiarando interamente compensate le spese dell’intero giudizio. Per la cassazione di tale ultima sentenza della Corte di Appello di Roma ricorre la R.V. con atto fondato su sette ordini di motivi. Resistono con separati controricorsi R.A. e R.S. , quest’ultimo proponendo, altresì, ricorso incidentale basato su un motivo e resistito con controricorso ex art. 371, IV co. c.p.c. dalla ricorrente principale. Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la R.V. ed il R.A. . Ritenuto in diritto 1. Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 345 e 394 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3.e 4 c.p.c Il motivo è infondato. Senonché già nella prima decisione di questa Corte del 2005 era stato significativamente affermato che l’attribuzione della quota di legittima aveva formato oggetto del dibattito processuale . Inoltre e decisivamente va evidenziato che il R.A. , con comparsa di costituzione del 15 giugno 1989, aveva -già in primo grado chiesto di procedere alla divisione del patrimonio relitto secondo quanto risulterà di giustizia con salvezza di danni . Il R.A. , quindi, formulava, nella sostanza, domanda anche per gli interessi e, pertanto, l’assunto su cui si basa il motivo qui in esame, che va respinto, non è fondato. 2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 345 e 394 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4 c.p.c Il secondo motivo, qui in esame, sostanzia -in effetti una riproposizione della medesima censura già svolta con il primo motivo. Pertanto, per lo stesso ordine di ragioni di cui innanzi su l., anche tale secondo motivo, in quanto non fondato, va respinto. 3. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. Parte ricorrente lamenta una violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, nonché il conseguente vizio di ultrapetizione. La questione sottesa al motivo è, nella sostanza, quella degli interessi sulla quota ereditaria dovuta e della di loro decorrenza statuita, con la gravata decisione, da data più remota ovvero dalla domanda rispetto alla stessa richiesta del R.S. . Quest’ultimo, secondo l’assunto della odierna ricorrente, aveva invece concluso per la decorrenza degli interessi dalla più breve data della stima all’effettivo pagamento più breve rispetto a quella reclamata con l’atto introduttivo del giudizio . L’assunto è fondato. Il suddetto R.S. -nel giudizio di rinvio aveva, infatti, concluso -così definitivamente esplicitando le proprie istanze per la condanna della R.V. alla corresponsione dei due noni dei valori dei beni immobili all’attualità con gli interessi e la rivalutazione dalla data della stima all’effettivo pagamento . Pertanto con l’impugnata sentenza, la Corte territoriale è incorsa nel vizio di ultrapetizione ancorando la decorrenza degli interessi non alla richiesta alla data della stima, ma da quella della domanda. Il motivo deve, dunque, essere accolto. 4. Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione degli artt. 1224, 1282, 718, 726, 727, 728 e 766 c.c. con riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c Viene lamentata la statuita decorrenza degli interessi legali a carico della odierna ricorrente principale a far data dalla domanda del giudizio di primo grado 14 novembre 1987 . Si prospettata la violazione delle suddette norme di legge prospettando la debenza dei detti interessi con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza del giudizio di rinvio che liquidava la quota in denaro in favore dei R.S. ed A. . La censura è fondata. La Corte di Appello, con la gravata decisione v. f. 10 , ha fatto risalire la debenza dei detti interessi dalla data della domanda. Ciò argomentando, che sulle somme dovute da R.V. a R.S. e R.A. sono inoltre dovuti gli interessi legali dalla data della domanda, data alla quale va fatto risalire lo scioglimento della comunione e dovendosi presumere, in mancanza di prova diversa, che in costanza della stessa comuni siano stati anche i frutti riferibili all’asse ereditario . L’impugnata sentenza è, in punto, errata. Nella fattispecie si è, infatti, al cospetto di una divisione svolta dal testatore, in base alla quale -per l’ipotesi che qui interessa-non si è al cospetto di conguagli, ma di una differente fattispecie. In tale tipo di divisione va attribuito ai legittimari l’equivalente monetario della legittima attraverso un ben preciso meccanismo. L’anzidetto equivalente monetario costituisce, difatti, credito di valore, accertato al momento dell’apertura della successione ed attualizzato al momento della sentenza, secondo il prudente apprezzamento del Giudice del merito, che ne determina la rivalutazione. Deriva da quanto testé chiarito che la Corte territoriale ha errato nella configurazione e nell’attuazione del succitato procedimento di rivalutazione. Al riguardo va ribadito il noto e condiviso principio, già espresso da questa Corte, secondo cui nel caso in cui il testatore abbia diviso i propri immobili liquidando in denaro la quota di uno dei condividendi, il conguaglio in denaro cui questi ha diritto costituisce credito di valore, esprimendo l’equivalente economico in termini monetari della sua quota sui beni immobili attribuiti agli altri coeredi Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 16 gennaio 2007, n. 862 . Il motivo deve, dunque essere accolto e l’accoglimento, in punto del ricorso, comporta l’assorbimento dell’analogo successivo settimo motivo del ricorso . 5. Con il quinto motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 556, 564, secondo comma e 727 c.c. con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c Parte ricorrente lamenta sostanzialmente l’errata interpretazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 10030/2005 da parte del giudice rinvio. In particolare si deduce che, a fronte delle due divisioni la prima senza testamento e la seconda successiva la ritrovamento del testamento , si doveva tenere in conto del maggior valore dei beni a suo tempo ricevuti in costanza della medesima suddetta prima divisione. Più specificamente, ancora, la ricorrente prospetta che, divisi in parti uguali -senza testamento i beni del cuius, ritenendo allora i coeredi che la divisione dovesse rispettare le norme in tema di eredità legittima, il Giudice del rinvio, nella determinazione del valore in denaro della quota spettante ai due fratelli, avrebbe dovuto tenere conto del maggior valore dei beni a suo tempo ricevuti dai due fratelli rispetto a quelli loro spettanti in base al testamento successivamente rinvenuto . La questione, così qui in breve riassunta riassunta, posta col motivo in esame è superata e coperta dall’intervenuto giudicato in punto. Peraltro e per di più nel particolare tipo di divisione per cui si discute testamento con determinazione di legittima per equivalente monetario il momento costitutivo di ogni pretesa è ancorato alla data di apertura del testamento sulla cui base si procede in considerazione dell’immediata esecutività rivestita, per la successione, dal testamento stesso Cass. n. 12307/2015 . Il motivo, in quanto infondato, va, pertanto, respinto. 6. Con il sesto motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c Il cardine della censura svolta col motivo qui in esame è relativa alla valutazione di un terreno interessato da espropriazione il fondo omissis . Il motivo è, innanzitutto carente in punto di autosufficienza non essendosi provveduto alla prescritta indicazione, trascrizione ed enucleazione delle parti rilevanti degli atti idonee alla compiuta considerazione della allegata valutazione. In ogni caso il motivo è relativo a questione del tutto ininfluente giacché la Corte di Appello risulta aver correttamente considerato, nell’ipotesi, il valore di mercato dei beni e l’eventuale valore conseguente alla allegata espropriazione non poteva costituire punto di riferimento della decisione, in punto, della controversia. Il motivo è, dunque, inammissibile. 7. Con il settimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della Legge 25 giugno 1865, n. 2359 e del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c Il motivo è assorbito, come innanzi già affermato, dall’accoglimento del precedente motivo. 8. Con il motivo del ricorso incidentale si prospetta il vizio di violazione dell’art. 720 c.c. e dei principi disciplinanti lo scioglimento della comunione, la divisione ereditaria e la valutazione dei beni in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c Con il motivo si censura sotto un duplice profilo l’errore in cui sarebbe incorsa la gravata decisione quanto all’esclusione di beni dalla stima operata dal CTU con relazione recepita dalla Corte territoriale. La censura è fondata. Al riguardo va evidenziato che doveva essere ben chiaro l’ oggetto della procedura divisionale come riconosciuto anche nell’incipit della impugnata. sentenza laddove si afferma che .il presente giudizio di rinvio è circoscritto solo alla divisione ereditaria testamentaria dei beni indicati nell’atto di citazione del 14.1.1987 con liquidazione in danaro della quota spettante ai legittimari . Quindi, al fine dell’esatto computo delle quote, dovevano essere presi in considerazione tutti i beni suddetti ovvero quelli considerati al Momento dell’ apertura della successione, escludendosi ogni influenza a tal proposito di eventi successivi. Orbene nella relazione del CTU pag. 6 vengono viceversa esclusi dalla stima all’attualità beni interessati da vicende espropriative comunque successive all’apertura della successione testamentaria. Tanto sulla base dell’affermazione del CTU fatta, in sostanza, propria dalla Corte territoriale in sede di giudizio di rinvio per cui andavano esclusi dalla stima all’attualità i beni interessati da vicende espropriative. Tanto, ancora, in considerazione del rilievo che la valutazione con riferimento all’attualità non potrà prescindere dagli effetti determinati dalle varie espropriazioni . Gli assunti sono infondati, avendo, per di più, comportato una errata sottrazione alla valutazione di varie porzioni di terreno in atti e nel ricorso incidentale specificamente individuate relative a suoli di entità oscillante fra i mq. 2733 ed mq. 8213. Al riguardo va affermato il principio per cui gli eventi succedutisi temporalmente dopo il momento dell’apertura della successione ereditaria sono indifferenti in relazione alla concreta individuazione e determinazione della massa ereditaria, di guisa che gli elementi costituenti quest’ultima, anche se all’attualità del successivo momento della loro valutazione, risultano di altro proprietario devono essere comunque considerati e stimati al fine della corretta determinazione delle quote ereditarie. Il motivo e, con esso, il ricorso incidentale va, dunque, accolto. 9. Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto, vanno accolti il ricorso principale, per quanto di ragione ed i relazione ai motivi terzo e quarto dello stesso, ed il ricorso incidentale. Conseguentemente l’impugnata sentenza va cassata con rimessione ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, affinché la stessa provveda alla decisione attenendosi e uniformandosi ai principi innanzi enunciati. P.Q.M. La Corte. accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, assorbito il settimo e rigettati i rimanti motivi del medesimo ricorso, accoglie il ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti dei ricorsi e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.