Lui diventa testimone di Geova: il cambio di fede non ha provocato la crisi coniugale

Respinta la richiesta della moglie che chiedeva fosse addossata al marito la responsabilità per la separazione. Legittima la scelta dell’uomo di abbandonare la fede cattolica, originariamente condivisa con la consorte e certificata anche dal matrimonio celebrato in chiesa. Vanno però adottate alcune precauzioni nel rapporto tra l’uomo e i figli ancora piccoli.

Felicemente sposati in chiesa. Poi, all’improvviso, il marito cambia ‘casacca’ religiosa non più cristiano cattolico, ma testimone di Geova. Svolta epocale per lui, con ripercussioni sui rapporti con la moglie. Nonostante tutto, però, l’adesione alla nuova fede, pur distante da quella cattolica, non può essere valutata come causa principale della rottura definitiva della coppia. Tuttavia, bisogna evitare che le mutate credenze del padre possano stravolgere gli equilibri dei figli, ancora piccoli Cassazione, ordinanza n. 14728, sezione Sesta Civile, depositata il 19 luglio 2016 . Crisi. Nessun dubbio per i giudici, sia in Tribunale che in appello il fatto che il marito sia diventato testimone di Geova , abbandonando la fede cattolica condivisa con la moglie, non è catalogabile come fattore decisivo per la crisi coniugale. Di conseguenza, una volta pronunciata la separazione della coppia – lui, come detto, diventato testimone di Geova e lei cristiana cattolica sin dalla nascita –, viene escluso che si possa attribuire all’uomo la rottura. Secondo la donna, però, i giudici hanno commesso un errore, ignorando il peso della conversione del marito al credo religioso dei testimoni di Geova . Ella sostiene che la scelta compiuta dall’uomo ha comportato il disconoscimento dei lavori da lui fino ad allora accettati e trasmessi ai figli e l’adesione a valori inconciliabili con quelli propri del cattolicesimo, accettati con il matrimonio concordatario celebrato anni prima. Fede. Le osservazioni proposte dalla donna non vengono però condivise dai Magistrati della Cassazione. Anche a loro avviso, difatti, il mutamento di fede religiosa da parte di uno dei coniugi e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto , pur avendo incidenza sull’armonia della coppia , non può automaticamente giustificare la pronuncia di addebito della separazione . A meno che l’adesione al nuovo credo religioso , osservano i Giudici, non si traduca in comportamenti incompatibili con i doveri di coniuge e di genitore . In questa vicenda è emerso semplicemente, invece, che le affermazioni di principio contenute nei testi ufficiali dei testimoni di Geova sono espressione di una concezione della vita e della famiglia diverse da quella cattolica . E secondario è il fatto che la scelta compiuta dall’uomo abbia comportato l’inadempimento dell’impegno, concordemente assunto dai coniugi con la celebrazione del matrimonio religioso, a conformare l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli ai dettami della religione cattolica . Resta aperto proprio il capitolo relativo alla prole E anche su questo fronte vengono respinte le obiezioni mosse dalla donna e finalizzate ad ottenere l’affidamento dei figli minori . Secondo i Giudici, difatti, si può escludere che la scelta spirituale compiuta dall’uomo possa costituire di per sé una ragione sufficiente ad escludere l’affidamento condiviso . Anche perché è emerso che, nonostante le diverse convinzioni religiose , entrambi i coniugi paiono effettivamente legati ai figli e capaci di accudirli nella quotidianità . Allo stesso tempo, però, vengono confermate alcune precauzioni finalizzate a far sì che l’uomo assicuri la continuità nelle abitudini e negli impegni dei figli, provvedendovi direttamente o, qualora a ciò ostino le sue convinzioni religiose, facendo ricorso alla collaborazione della madre o dei nonni . Obiettivo è, chiariscono i Magistrati, evitare che l’armonio sviluppo della personalità dei minori di 13 e 10 anni possa essere pregiudicato dall’effetto traumatico di un improvviso contatto con le nuove convinzioni religiose del padre, così diverse da quelle finora professate nell’ambito familiare .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 11 aprile – 19 luglio 2016, n. 14728 Presidente Ragonesi – Relatore Mercolino Fatto e Diritto E' stata depositata in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. 1. - Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d'Appello di Trieste ha ri gettato l'appello proposto da R.S. avverso la sentenza emessa il 4 gennaio 2013, con cui il Tribunale di Pordenone aveva pronunciato la separazio ne personale dell'appellante dal coniuge F.Z., disponendo l'affidamento condivisa dei figli S. e J. ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, con incarico al Consultorio familiare di Pordenone, Distretto urbano, di monitoraggio e sostegno ai genitori secondo le modalità rite nute opportune, e con ascolto periodico dei minori alfine di vigilare sulle dina miche relazionali dei genitori con la prole, ed ha disposto in via integrativa che i coniugi si attengano alle indicazioni contenute nella relazione della Azienda So cio-sanitaria n. 6 Friuli occidentale del 17 settembre 2013, imponendo allo Z. di assicurare, anche nei tempi di permanenza presso di sci, la continuità nelle abitudini e negl'impegni dei figli, provvedendovi direttamente o, qualora a ciò o stino le sue convinzioni religiose, facendo ricorso alla collaborazione della madre e dei nonni dei minori. 2. - Avverso la predetta sentenza la S. ha proposto ricorso per cas sazione, articolato in due motivi. Lo Z. ha resistito con controricorso. 3. - A sostegno dell'impugnazione, la ricorrente ha dedotto a l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione degli arti. 151 e 337-quater già 155 cod. civ. e dell’art. 112 cod, proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di addebito della separa zione allo Z. e la richiesta di affidamento esclusivo dei figli ad essa ricorren te, nonostante la conversione dell'uomo al credo religioso dei Testimoni di Geova, il conseguente disconoscimento dei valori da lui fino ad allora accettati e trasmessi ai figli e la sua adesione a valori inconciliabili con quelli propri del catto licesimo, accettati con il matrimonio concordatario e coincidenti con quelli costi tuzionali,-b la violazione dell’art. 115 cod proc. civ. e degli art. 151 e 337-quater già 15.5 cod. civ., lamentando il mancato accoglimento delle istanze istruttorie for mulate da essa ricorrente nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 183 cod proc, civ. e l'esclusione dell'applicabilità dell’art. 115 cit. ai fini della prova delle caratteristiche della confessione religiosa dei Testimoni di Geova. 4. -- I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti la me desima questione, sono infondati. Nell'escludere che la separazione potesse essere addebitata al controricor rente in virtù della mera adesione dello stesso al credo religioso dei Testimoni di Geova, la sentenza impugnata si è infatti attenuta al principio enunciato da que sta Corte, secondo cui, nonostante l'incidenza sull'armonia della coppia, il muta mento di fede religiosa da parte di uno dei coniugi e la conseguente partecipazio ne dello stesso alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come eser cizio dei diritti garantiti dall’art. 19 Cost., non possono rappresentare, in quanto tali, ragioni sufficienti a giustificare la pronuncia di addebito della separazione, a meno che l'adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti in compatibili con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore previsti dagli artt. 143 e 147 cod. civ., in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l'interesse della prole cfr. Cass., Sez. 1, 6 agosto 2004, n. 15241 6 dicembre 1989, n. 5397 23 agosto 1985, n. 4498 . Correttamente, in questa prospettiva, la Corte di merito ha ritenuto inconferente qualsiasi indagine in ordine ai principi ispiratori della nuova confessione religio sa abbracciata dallo Z. ed al sistema di valori dalla stessa predicato tra i suoi aderenti e propagandato tra il pubblico, limitandosi a rilevare che si tratta di un culto riconosciuto dallo Stato indipendentemente dalla possibilità di desume re da tale riconoscimento un giudizio positivo in ordine alla compatibilità dei predetti principi e valori con quelli che l'ordinamento dello Stato pone a fonda mento dell'istituto, familiare, così come delineato dalla Carta costituzionale e dal la disciplina codicistica, l'accettazione degli stessi da parte del controricorrente in tanto avrebbe potuto legittimare l'affermazione della sua responsabilità nel fal limento dell'unione in quanto avesse trovato espressione in atteggiamenti concreti non meramente dissonanti dal predetto modello, ma chiaramente contrari ai do veri di condotta che ne scaturiscono a carico dei coniugi. La sentenza impugnata ha ritenuto invece non provato che le affermazioni di principio contenute nei testi ufficiali della confessione religiosa in questione, citate dalla ricorrente quali e spressioni di una concezione della vita e della famiglia diverse da quella cattoli ca, precedentemente professata dal controricorrente, lo avessero indotto all'as sunzione di siffatti comportamenti. Nessun rilievo può attribuirsi, in proposito, all'inadempimento dell'impegno, concordemente assunto dai coniugi con la cele brazione del matrimonio religioso, a conformare l'indirizzo della vita familiare e l'educazione dei figli ai dettami della religione cattolica, trattandosi di un accor do che, nonostante il riconoscimento di effetti civili al matrimonio, derivante dall'adozione del rito concordatario, è tuttavia destinato a spiegare efficacia esclusivamente nell'ambito dell'ordine morale cattolico e dell'ordinamento canoni co, restando estraneo alla disciplina civilistica del vincolo, integralmente regola ta dall'ordinamento dello Stato. Per analoghe ragioni, deve escludersi che la scelta spirituale compiuta dallo Z. potesse costituire di per sé una ragione sufficiente a giustificare l'affida mento esclusivo dei figli minori alla S., essendo stato accertato, sulla base delle relazioni trasmesse dal Consultorio familiare dell'ASS n. 6 Friuli Occi dentale, che, nonostante le diverse convinzioni religiose, entrambi i coniugi appa rivano effettivamente legati ai figli e capaci di accudirli nella quotidianità. In te ma di affidamento dei figli minori, questa Corte ha infatti ribadito costantemente che il criterio fondamentale al quale deve attenersi il giudice della separazione o del divorzio è costituito dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, previsto in passato dall'art. 155 ed oggi consacrato nell'art. 337-quater cod. civ., il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicu rare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio pro gnostico in ordine alla capacità del padre e della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, da esprimersi sulla base di ele menti concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno di essi ha svolto in passato il proprio ruolo, ed in particolare alla sua capacità di relazione affettiva, di at tenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue con suetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore cfr. Cass., Sez. VI, 23 settembre 2015, n. 18817 Cass., Sez. 1, 27 giugno 2006, n. 14840 . Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto infondate le censure proposte dalla ricorrente in ordine all'affidamento condiviso, confermando i provvedimenti adottati dalla sentenza di primo grado ed imparten do, ad integrazione degli stessi, ulteriori prescrizioni volte da un lato ad assicura re che il nuovo orientamento religioso del padre non influisca sulla continuità dell'indirizzo finora seguito nell'educazione dei, figli, dall'altro ad evitare che le preoccupazioni manifestate al riguardo dalla madre si traducono in un eccessivo irrigidimento dei rapporti con l'altro genitore. In quanto disposte a tutela dell'e sigenza di stabilità dei minori, contro il conflitto interiore innescato dai contrasti tra i genitori, tali precauzioni non si pongono affatto in contraddizione con la de cisione adottata in ordine all'affidamento, ma costituiscono espressione del pote re, riconosciuto al giudice nei giudizi di separazione e divorzio, d'impartire di sposizioni in materia di affidamento e mantenimento della prole, il quale può es sere esercitato anche d'uffcio, trattandosi di provvedimenti volti a soddisfare esi genze e finalità pubblicistiche sottratte all'iniziativa ed alla disponibilità delle parti cfr. Cass., Sez. 1, 18 marzo 2010, n. 6606 3 agosto 2007, n. 17043 13 gen naio 2004, n. 270 . . Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ritie ne condivisibile l'opinione espressa dal relatore e la soluzione da lui proposta, non risultando meritevoli di accoglimento le contrarie argomentazioni svolte nella memoria depositata dalla ricorrente, la quale si limita ad insistere nella propria te si difensiva, senza addurre ragioni idonee a giustificare una rimeditazione delle predette conclusioni. Non merita consenso, in particolare, l'affermazione della ricorrente, secondo cui il rifiuto della Corte d'Appello di esprimere un giudizio di valore in ordine alle credenze religiose dello Z. si pone in contrasto con le cautele da essa adottate nella disciplina dei rapporti tra il controricorrente ed i figli tali precauzioni trova no infatti giustificazione nella giovanissima età dei minori tredici e dieci anni e nella conseguente esigenza di evitare che l'armonioso sviluppo della loro persona lità possa risultare pregiudicato dall'effetto traumatico di un improvviso contatto con le nuove convinzioni religiose del padre, così diverse da quelle finora profes sate nell'ambito familiare, e dai mutamenti che l'adesione alle stesse ha determina to nelle sue abitudini di vita e nelle sue frequentazioni. Tale preoccupazione può ben legittimare, in linea con l'interesse del minore, che ai sensi dell’art. 337-ter cod. civ. costituisce il parametro essenziale di riferimento per l'adozione dei prov vedimenti relativi alla prole, la previsione di misure idonee a garantire che la con servazione di un intenso rapporto affettivo e di una stabile consuetudine di vita con il genitore non collocatario, nonché il contributo che quest'ultimo ha il potere-dovere di fornire all'educazione ed all'istruzione dei figli, anche in campo religio so, non si traducano nella sottoposizione degli stessi ad indebite pressioni o con dizionamenti, volti ad imporre l'accettazione del credo paterno, in contrasto con la libertà dei minori di seguire, nell'ambito del processo di maturazione complessiva della loro personalità, un proprio particolare percorso anche nel predetto settore. In mancanza di specifici elementi, nella specie neppure dedotti, dai quali possa desumersi la violazione da parte del genitore dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o l'abuso dei relativi poteri, ovvero l'assunzione di condotte comunque pregiudizievoli per i figli, non possono trovare tuttavia giustificazione provvedi menti restrittivi tali da condurre ad una sostanziale interruzione o ad una grave li mitazione della loro frequentazione tali misure, infatti, incidendo sul rapporto af fettivo tra il genitore ed i figli ed impedendo al primo di esercitare efficacemente la propria funzione, si porrebbero irrimediabilmente in contrasto con il diritto dei minori a conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei geni tori, riconosciuto dall'art. 337-ter cit., e con il diritto al rispetto della vita familiare ed alla libertà religiosa, tutelati dagli artt. 19, 29 e 30 Cost. e dagli artt. 8 e 9 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, nonché con il diritto al rispetto delle convinzioni religiose e filoso fiche dei genitori nella sfera dell'educazione, sancito dall'art. 2 del Protocollo n. 1 della predetta Convenzione, che conferisce ai genitori il diritto di crescere i figli esprimendo e promuovendo le proprie convinzioni religiose cfr. Corte EDU, sent. 12 febbraio 2013, Vojnity e Ungheria Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova appli cazione l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma diciassettesimo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna S. Roberta al pagamento delle spe se processuali, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00, ivi compresi Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omessi le generalità e gli altri dati iden tificativi delle parti.