Nuovo partner e poca voglia di lavorare: la donna può dire addio all’assegno divorzile

Definitiva la vittoria dell’uomo, che si vede liberato dall’obbligo di versare all’ex moglie 250 euro al mese. Decisiva la valutazione della posizione economica della donna.

Poco propensa ad affrontare il mondo del lavoro. E, per giunta, affiancata da un nuovo partner, pronto potenzialmente ad aiutarla economicamente. Elementi sufficienti per negare alla donna l’assegno divorzile Cassazione, ordinanza n. 14244/16, sezione Sesta Civile, depositata il 12 luglio . Divorzio. Rottura insanabile tra i coniugi. Il divorzio è logico. E inevitabili sono gli strascichi economici tra moglie e marito. Su quest’ultimo fronte i Giudici del Tribunale riconoscono alla donna il diritto a un assegno divorzile di 250 euro mensili . Decisione, questa, smentita però in appello, dove viene analizzata con attenzione la situazione economica dei due ex coniugi, e dove, soprattutto, viene presa in esame la posizione assunta dalla donna. Ella, come sostenuto dall’uomo, si è rifiutata di utilizzare sul mercato del lavoro le proprie capacità professionali . Per completare il quadro, poi, i Giudici pongono in rilievo anche la convivenza stabile della donna con un nuovo partner . Assegno. Ora la visione tracciata in appello viene condivisa dai magistrati della Cassazione. Non vi sono, in sostanza, le condizioni per riconoscere alla donna il diritto all’assegno divorzile . Detto in maniera ancora più chiara, mancano elementi sufficienti per desumere una situazione di non autonomia reddituale della donna. Ella non pare avere a disposizione mezzi economici così esigui da impedirle di procurarsi da sola un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto nel corso del matrimonio . E in questa ottica le obiezioni mosse dall’ ex marito si sono rivelate decisive.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 9 maggio – 12 luglio 2016, n. 14244 Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni Rilevato che in data 18 dicembre 2015 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta Rilevato che l. Il Tribunale di Viterbo, con sentenza n. 694/10, pronunciando nel giudizio di divorzio fra P.D.C. e F.R., ha riconosciuto alla D.C. il diritto a un assegno divorzile di 250 euro mensili. 2. Ha proposto appello F.R. deducendo l'insussistenza del diritto all'assegno in relazione alle condizione economica dei due ex coniugi, al rifiuto da parte della D.C. di utilizzare sul mercato del lavoro le proprie capacità professionali, alla convivenza stabile della D.C. con un nuovo partner. 3. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5824/13, ha revocato l'assegno divorzile. 4. Ricorre per cassazione P.D.C. affidandosi a tre motivi di impugnazione con i quali deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 c.c., 5 comma 6 della legge sul divorzio, 115 e 112 c.p.c. 5. Si difende con controricorso F.R Ritenuto che 6. Il ricorso è inammissibile quanto al primo motivo perché contiene sostanzialmente censure alla valutazione di merito compiuta dalla Corte di appello circa la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto della D.C. all'assegno divorzile. E' inammissibile e comunque infondato anche il secondo motivo che lamenta la considerazione, da parte della Corte di appello, della sua contumacia come elemento di prova su cui fondare la revoca dell'assegno divorzile. Infatti la Corte di appello ha semplicemente rilevato come la mancata costituzione in giudizio della D.C. ha comportato la mancata proposizione di mezzi di prova idonei a rappresentare una sua situazione di non autonomia reddituale e di disponibilità di mezzi economici tale da impedire di procurarsi da sola un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto nel corso del matrimonio. E' infine infondato il terzo motivo perché la domanda di accertamento negativo della sussistenza dei presupposti per la concessione di un assegno divorzile deve normalmente ritenersi riferita alla data di passaggio in giudicato della sentenza di divorzio cosicché deve escludersi l'esistenza di un vizio di ultrapetizione. Né può ritenersi che il carattere non definitivo e limitato allo status della pronuncia di divorzio dovesse comportare la limitazione dell'efficacia temporale della successiva pronuncia della Corte di appello di revoca dell'assegno divorzile solo dalla data della sentenza. La previsione di un assegno divorzile limitato nel tempo avrebbe semmai dovuto costituire l'oggetto di una esplicita motivazione da parte della Corte di appello che, avendo illustrato le ragioni dell'insussistenza del diritto all'assegno divorzile, ha, evidentemente, voluto riferire tale accertamento al momento del passaggio in giudicato della pronuncia sullo status, e cioè a partire dal momento in cui è venuta a cessare la efficacia della statuizione emessa nel giudizio di separazione sull'assegno di mantenimento. 7. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l'impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso. La Corte condivide la relazione sopra riportata e pertanto ritiene che il ricorso debba essere respinto con condanna alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione liquidate in 2.100 di cui 100 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.