Rifiuto alle indagini ematologiche: paternità accertata e diritto di regresso della madre

Il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda di accertamento della paternità.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10933/16, depositata il 26 maggio. Ne consegue pertanto che, per gli obblighi derivanti dagli art. 147 e 148 c.c. di mantenimento, mai adempiuti dalla nascita, il genitore che si è assunto sino al riconoscimento in via esclusiva il mantenimento ha diritto ad agire in regresso nei confronti dell'altro genitore inadempiente. Il fatto. Con ricorso al Tribunale per i minorenni la madre chiedeva l'accertamento della paternità della propria figlia e la condanna del padre al pagamento di un contributo mensile di mantenimento, al rimborso del 50% delle spese mediche sostenute, al risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla figlia per il mancato riconoscimento, oltre che il rimborso della metà delle somme destinate dalla ricorrente al mantenimento della figlia dalla nascita alla domanda di accertamento della paternità. Il Tribunale per i minorenni ha accolto parzialmente le domande della ricorrente e, accertata la paternità, ha condannato il genitore al pagamento del contributo mensile di mantenimento oltre che al pagamento in favore della ricorrente di una somma a titolo di contributo al mantenimento della figlia dalla nascita di questa sino alla domanda di riconoscimento di paternità. Il padre ricorreva in appello chiedendo l'accertamento della nullità della CTU per mancata notificazione presso il proprio domicilio eletto e per l'eccessiva quantificazione del contributo al mantenimento impostogli. L'appello veniva respinto rilevando che l'appellante aveva avuto rituale comunicazione della CTU e soprattutto che il rifiuto del padre e dei legittimi eredi a sottoporsi ai prelievi ematologici ne confermavano la notizia e avevano altresì pieno rilievo probatorio. L'appellante ricorreva in Cassazione la quale respingeva il ricorso. Diritto di regresso della madre e determinazione del rimborso forfettario. Accertata la paternità, il genitore ha diritto anche al rimborso delle spese sostenute per il mantenimento della prole dalla nascita sino alla proposizione della domanda. Infatti, l'accoglimento della domanda di regresso del genitore che sin dalla nascita del figlio ha adempiuto in via esclusiva al suo mantenimento si fonda sugli obblighi previsti a carico dei genitori ex artt. 147 e 148 c.c. dei quali si deve far carico ovviamente anche colui la cui paternità è stata accertata giudizialmente. Per quanto riguarda poi la liquidazione di detto credito, il suo ammontare deve essere determinato tenendo in considerazione gli esborsi presumibilmente sostenuti in concreto dal genitore che ha per intero sostenuto la spesa, senza però prescindere nè dalla considerazione del complesso delle specifiche e molteplici esigenze effettivamente soddisfatte o notoriamente da soddisfare nel periodo da prendere in considerazione, nè dalla valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore quali all'epoca goduti, nè infine dalla correlazione con il tenore di vita di cui il figlio ha diritto di fruire, da rapportare a quello dei suoi genitori.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 febbraio – 26 maggio 2016, n. 10933 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. L.M. con ricorso, depositato l’11 marzo 2010, ha chiesto al Tribunale per i minorenni di Catania che fosse accertata la paternità di A.A. nei confronti della figlia L.A. , nata ad omissis dalla relazione fra l’A. e la L. . Ha chiesto la condanna di A.A. al pagamento, in favore della figlia, di un contributo mensile di 500 Euro, oltre al rimborso del 50% delle spese mediche, nonché la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla figlia per il mancato riconoscimento, danno liquidabile indicativamente in 80.000 Euro. Ha chiesto infine la condanna dell’A. al rimborso della metà delle somme destinate dalla ricorrente al mantenimento della figlia, dalla nascita alla domanda di accertamento della paternità, quota che ha quantificato in 100.000 Euro. 2. Si è costituito in giudizio A.A. che ha contestato la domanda e ne ha chiesto il rigetto. 3. Il Tribunale per i minorenni di Catania con sentenza n. 35/2012 ha accolto parzialmente le domande della L. e accertata la paternità della figlia L.A. da parte di A.A. lo ha condannato al pagamento di un contributo mensile di 350 Euro con decorrenza dalla domanda e rivalutazione annuale secondo indici ISTAT. Ha inoltre condannato A.A. al pagamento in favore di L.M. della somma di 50.000 Euro a titolo di contributo al mantenimento dalla nascita della figlia alla domanda di riconoscimento della paternità. 4. Ha proposto appello A.A. chiedendo accertarsi la nullità della CTU rilevando la mancata notificazione presso il proprio domicilio elettivo delle convocazioni effettuate dal CTU al fine di svolgere l’esame peritale. Ha impugnato altresì la decisione del T.M. di Catania per l’eccessiva quantificazione del contributo al mantenimento impostogli nonostante le sue precarie condizioni economiche. 5. La Corte di appello di Catania, con sentenza n. 2777/13 ha respinto l’appello rilevando che l’appellante non solo aveva avuto rituale comunicazione della CTU disposta dal Tribunale minorile ma aveva avuto anche notizia delle convocazioni effettuate dal CTU per poter effettuare i prelievi necessari all’espletamento della perizia, come era attestato dalla dichiarazione del figlio di A.A. , latore della richiesta del padre di non sottoporsi all’esame a domicilio perché produttivo di stress. La Corte ha dato pertanto pieno rilievo probatorio all’esplicito rifiuto di sottoporsi alle analisi biologiche. 6. Ricorre per cassazione A.A. affidandosi a due motivi di impugnazione illustrati da memoria difensiva. 7. Non svolgono difese L.M. e A. . Ritenuto che 8. Con il primo motivo di impugnazione si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 170 c.p.c. in riferimento agli artt. 90 comma 1, disp. att. c.p.c. e 194 e 195 c.p.c., in riferimento all’art. 360 n. 3 relativamente al principio di diritto in base al quale, dopo la costituzione in giudizio, il procuratore costituito in giudizio è, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., destinatario di tutte le notificazioni e comunicazioni, pena la nullità della notifica e comunicazione Cass. civ. 1.12.2010 n. 24373, Cass. S.U. 17.1.1997 n. 479, Cass. n. 7012/1994 ed altre nullità della CTU per difetto del contraddittorio e conseguente nullità della sentenza impugnata che esclusivamente su di essa ha fondato la decisione, in riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c., ed in correlazione al principio di diritto che la mancata comunicazione al difensore di una delle parti costituite, da parte del consulente tecnico di ufficio, autorizzato dal giudice a compiere indagini da solo art. 194 c.p.c. del tempo e del luogo di inizio di inizio delle operazioni peritali art. 90 comma 1 disp. att. c.p.c. determina la nullità della consulenza tecnica, rilevante ove tempestivamente eccepita, né il vizio è escluso dalla presenza alle operazioni peritali della parte personalmente, che debba essere sottoposta ad indagine medico legale Caso. 27.9.2000 n. 12785, Cass. 11.6.1990 n. 5659, Cass. 14.2.1994 n. 1459, Cass. 23.12.1997 n. 14483, ed altre . 9. Il motivo non coglie la complessità della motivazione che si è basata, per ciò che concerne la rilevanza e l’utilizzabilità della CTU, su almeno due rationes decidendi . In primo luogo si è rilevato che le modalità di comunicazione della fissazione del tempo e del luogo delle operazioni peritali non ne hanno impedito al ricorrente la tempestiva conoscenza e non hanno provocato un vulnus al suo diritto di difesa dato che egli ha potuto, avvalendosi del figlio, interloquire con il consulente, e comunicargli che non era disponibile a sottoporsi al prelievo. Sul punto va rilevato come la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato Cass. civ. sezione I, n. 5775 del 19 aprile 2001 che l’omissione della comunicazione dà luogo a nullità, sempreché dalla stessa sia derivato un concreto pregiudizio del diritto di difesa che, nella specie, il ricorrente non ha dedotto se non astrattamente con riferimento alla necessità che la comunicazione dell’inizio delle operazioni peritali avvenga nei confronti del difensore costituito e non della parte personalmente come è avvenuto nel caso in esame. In secondo luogo la Corte dì appello ha preso atto di quanto riferito dal consulente nella sua relazione e cioè del rifiuto reiterato da parte del ricorrente a rendere possibile l’espletamento della CTU. Tale relazione negativa pienamente conosciuta dalla parte costituita non è stata contestata dal ricorrente sotto l’ulteriore profilo, rilevante e assorbente ai fini della decisione, ovverosia la sua indisponibilità, a prescindere dalla contestazione sulla regolarità della comunicazione dell’inizio delle operazioni peritali, a consentire lo svolgimento dell’indagine peritale anche successivamente al deposito della relazione e anche nel corso del giudizio di appello. Né tale rilievo, decisivo nella valutazione della Corte territoriale, ha costituito l’oggetto di una specifica impugnazione nel ricorso per cassazione. Correttamente quindi la Corte di appello ha valutato il comportamento processuale dell’A. come rifiuto a consentire lo svolgimento dell’indagine peritale che sarebbe stata decisiva ai fini dell’accertamento della paternità, per il grado di certezza scientifica che tale tipo di esame consente. La Corte di appello ha attribuito valore decisivo a tale rifiuto coerentemente alla giurisprudenza di legittimità Cass. civ. sezione I, n. 6025 del 25 marzo 2015, n. 11223 del 21 maggio 2014, n. 12971 del 24 luglio 2012, n. 27237 del 14 novembre 2008, n. 5116 del 3 aprile 2003 secondo cui, nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche - nella specie opposto da tutti gli eredi legittimi del preteso padre - costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., di cosi elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda . 10. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 277 e 148 c.c. anche in riferimento agli artt. 1223 e 1226 c.c., per l’assenza di ogni proporzione tra le risorse economiche dell’obbligato, solo titolare del modesto reddito costituito dalla predetta pensione di 660 mensili e l’ammontare del contributo di mantenimento liquidato in 350 mensili in favore di L.A. , con riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio. 11. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia fatto riferimento, nel determinare l’assegno di mantenimento, alla giurisprudenza Cass. civ. n. 3974 del 19 marzo 2002, n. 9915 del 24 aprile 2007 e n. 19113 del 6 novembre 2011 secondo cui il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, secondo il disposto dell’art. 148 c.c., è costituito non soltanto dalle sostanze, ma anche dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge ciò che implica anche una valorizzazione delle accertare potenzialità reddituali laddove l’età del ricorrente nato nel 1935 impediva di presumere qualsiasi ulteriore capacità reddituale oltre la modesta pensione. Riguardo alla condanna al risarcimento del danno patito da L.M. il ricorrente ha censurato la decisione della Corte di appello rilevando che la parte che chiede una liquidazione equitativa del danno deve comunque fornire la prova delle sue componenti e può ottenere la liquidazione equitativa solo in caso di grave difficoltà di dimostrare la misura del danno Cass. civ. 12256/1997 e 1799/1995 . 12. Il motivo appare infondato sotto entrambi i profili prospettati. 13. La Corte di appello, nel confermare l’entità dell’assegno di mantenimento, ha richiamato la giurisprudenza che prescrive una valutazione complessiva delle risorse economiche dell’obbligato al mantenimento al fine di evidenziare come il ricorrente oltre la modesta pensione percepita fosse anche titolare di un patrimonio immobiliare documentato nel corso del giudizio sul quale di recente aveva eseguito atti di disposizione. 14. L’accoglimento della domanda di L.M. è basata sul riscontro della sussistenza a carico del ricorrente degli obblighi derivanti dagli artt. 147 e 148 c.c. di mantenimento della figlia Alessandra, mai adempiuti dalla sua nascita 4 maggio 1992 e sino alla domanda proposta con ricorso dell’11 marzo 2010 e sul diritto della madre, che si è assunta in tutto questo periodo l’onere esclusivo del mantenimento della figlia, ad agire in regresso nei confronti del padre cfr. fra le molte decisioni in materia Cass. civ., sezione I, n. 26575 del 17 dicembre 2007, n. 23630 del 6 novembre 2009, n. 17914 del 30 luglio 2010 e n. 22506 del 4 novembre 2010 . Per quanto riguarda la liquidazione del credito di L.M. la Corte di appello ha ritenuto che la somma di 50.000 Euro è un rimborso forfetario minimo equivalente a un contributo pro quota di circa 280 Euro mensili . Si tratta di una valutazione di merito non censurabile alla luce del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 per quanto concerne il quantum ritenuto congruo dalla Corte territoriale sulla base peraltro di una motivazione del tutto logica e che si fonda sul legittimo ricorso alla liquidazione equitativa per l’evidente difficoltà di una prova delle somme concretamente versate dalla L. e in considerazione della complessità dei parametri di riferimento per una corretta determinazione del diritto al regresso così come indicati dalla giurisprudenza cfr. Cass. civ. sez. 1 n. 22506 del 4 novembre 2011 secondo cui l’ammontare dovuto trova limite negli esborsi presumibilmente sostenuti in concreto dal genitore che ha per intero sostenuto la spesa senza però prescindere né dalla considerazione del complesso delle specifiche e molteplici esigenze effettivamente soddisfatte o notoriamente da soddisfare nel periodo in considerazione né dalla valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore quali all’epoca goduti ed evidenziati, eventualmente in via presuntiva, dalle risultanze processuali, né infine dalla correlazione con il tenore di vita di cui il figlio ha diritto di fruire, da rapportare a quello dei suoi genitori . 15. Il ricorso va pertanto respinto senza alcuna statuizione sulle spese del giudizio di cessazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 1 bis dello stesso articolo 13.