Cosa entra in successione se prima del trasferimento di proprietà si verifica il decesso dell’assegnatario?

In tema di assegnazione di un terreno di riforma fondiaria mediante vendita con pagamento rateale del prezzo e riserva di dominio in favore dell’ente assegnante, essendosi verificata la morte dell’assegnatario originario anteriormente al riscatto del bene, e perciò prima del trasferimento della proprietà, il fondo non può dirsi entrato nel patrimonio ereditario del de cuius.

Quanto sopra è stato affermato dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 8467 depositata in cancelleria il 28 aprile 2016 a conferma delle pronunce rese tanto dal Tribunale quanto dalla Corte d’appello. Il caso. I figli del de cuius impugnavano il testamento olografo con cui il proprio padre aveva disposto in ordine ad un podere ricevuto dallo stesso in concessione ex lege n. 379/1967. Con la medesima azione gli attori chiedevano la determinazione dell’asse ereditario e la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima a loro riservata. La vendita con riserva di proprietà. La cessione originaria di tale podere era stata effettuata mediante la conclusione di una vendita con patto di riservato dominio tale per cui l’effetto reale del trasferimento in capo all’acquirente poteva dirsi realizzato solo con il pagamento dell’ultima rata prevista. La morte del disponente prima del riscatto. Il de cuius , però, era deceduto prima del pagamento dell’ultima rata e dunque prima del realizzarsi dell’effetto reale della vendita con la conseguenza che non si era perfezionato il trasferimento di proprietà di tale podere in capo al disponente. Il podere non entra in successione Pertanto, i giudici, tanto di prime cure quanto di appello, escludevano che il podere oggetto della causa potesse esser considerato facente parte dell’asse ereditario, rientrando in quest’ultimo solo il credito risultante dalla somma delle quote di ammortamento versate dal de cuius in vita al fine di riscattare il fondo per divenirne proprietario e dall’eventuale aumento di valore del podere. Conseguentemente, veniva riconosciuto il diritto degli attori alla quota di legittima esclusivamente su tali somme e non anche sul podere. ma le somme sì. La successione ereditaria si apriva nei confronti di tutti gli eredi esclusivamente per il credito derivante dalle quote di ammortamento e dalle migliorie apportate al fondo dal de cuius . In particolare, la Suprema Corte, seguendo le motivazioni dei giudici di merito, afferma che spettano ai coeredi un credito verso l’assegnatario nei limiti della somma risultante dall’ammontare delle annualità versate dal de cuius , aumentato dall’incremento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti apportati.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 31 marzo – 28 aprile 2016, n. 8467 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa Svolgimento del processo Pa.An. , Pa.Ad. e P.L. con citazione del 7 e 9 aprile 1985 convenivano davanti al Tribunale di Roma P.A. nonché, a seguito della disposta integrazione del contraddittorio , Pa.Al. , P.N. e S.C. , proponendo più domande incentrate sulla nullità del testamento olografo con il quale il loro genitore Pa.Ar. aveva attribuito ad P.A. in relazione al podere n. 1513, sito in Campagnano Roma , località Casalino, ricevuto dal de cuius in concessione ex legge n. 379/1967 dall’Ente Maremma Ersal . Veniva ulteriormente chiesta la determinazione dell’asse ereditario e la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della legittima. Con sentenza parziale del 3 giugno 1996, numero 8499/1996, non impugnata , il Tribunale di Roma così statuiva c dichiara che l’asse relitto è costituito esclusivamente dal credito pari all’ammontare delle quote di ammortamento versate e dall’eventuale aumento di valore del fondo e dichiara che gli attori hanno diritto alla quota di riserva sul suddetto asse , rimettendo quindi la causa in istruttoria per la determinazione delle quote ereditarie. 3. Con successiva sentenza del 10 giugno 2003, numero 19142/2003, il Tribunale di Roma attribuiva a ciascuno degli attori Pa.An. , Pa.Ad. e P.L. la somma di Euro 42.662,70, a titolo di conguaglio posto a carico di P.A. cui era riconosciuto l’intero asse ereditario . Avverso tale ultima pronuncia proponeva appello P.A. , e la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4739/2010 del 16 novembre 2010, rigettava l’impugnazione. La Corte di merito osservava come il gravame non avesse colto la ratio della decisione del Tribunale, avendo questo escluso contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, che il fondo rientrasse nell’asse ereditario considerato facente parte dell’asse relitto solo il credito risultante dalla somma delle quote di ammortamento versate al fine del riscatto del fondo di cui poi si era avvantaggiato P.A. infine, attualizzato il valore del fondo. Spiegava la Corte come, essendo, nella vendita con patto di riservato dominio, l’effetto reale della alienazione sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento integrale delle rate, correttamente il Tribunale avesse determinato il credito relitto tenendo conto di quanto versato dal de cuius e tenendo conto del valore attuale del cespite. Generico, infine, si definiva il motivo di appello sulle critiche alla C.T.U Avverso la sentenza della Corte di Roma P.A. ha proposto ricorso strutturato in due motivi. Pa.An. , Pa.Ad. , C.F. , C.G. , C.P. , C.R. quali eredi di P.L. , Pa.Al. e P.N. , nonché l’A.R.S.I.A.L. già ERSAL, estromesso in primo grado rimangono intimati senza aver svolto attività difensiva, mentre di S.C. è stato dichiarato il decesso avvenuto il omissis . Motivi della decisione Il primo motivo del ricorso di P.A. censura la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. . Si sostiene che la Corte di Appello sarebbe caduta in una palese e insanabile contraddizione, dapprima, al pari del Tribunale, escludendo che il fondo rientrasse nell’asse ereditario e correttamente considerando facente parte di esso solo il credito risultante dalla somma delle quote di ammortamento versate e le eventuali migliorie apportate dal concessionario premorto al riscatto e poi, invece, avendo dichiarato di doversi tener conto del valore attuale del cespite, apprezzando il credito in ragione dell’utilità economica odierna. Così, a dire del ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe fatto rientrare nell’asse ereditario il fondo ed il suo il valore attuale , pur non essendo lo stesso mai divenuto proprietà del disponente per premorienza rispetto al riscatto. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 29 maggio 1967, n. 379, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c Tale censura espone le vicende storiche a base del ricorso l’Ersal Ente Regionale di Sviluppo Agricolo del Lazio aveva concesso a Pa.Ar. un’azienda agricola esistente su un appezzamento di terreno in località Casilino del Comune di Campagnano di Roma, nella forma della vendita con patto di riservato dominio. Deceduto Pa.Ar. nel XXXX, era stata conferita nel 1989 una nuova concessione del fondo al figlio P.A. , sempre ai sensi della legge n. 379/1967, in quanto unico, fra i coeredi, avente il requisito di coltivatore diretto e, di fatto, conduttore del fondo unitamente al padre. Ricapitolato il quadro normativo di riferimento, il ricorrente richiama la regola fondamentale che sarebbe completamente sfuggita sia al Tribunale che alla Corte di Appello . il fondo dato in concessione non può in nessun caso costituire cespite ereditario . Nel caso di specie, il fondo oggetto di concessione non poteva rientrare nell’asse ereditario in quanto il de cuius , deceduto prima dell’affrancazione, non ne era diventato proprietario . Sicché, la successione di Pa.Ar. si è aperta nei confronti di tutti gli eredi . esclusivamente per il credito derivante dal versamento delle quote di ammortamento Euro 680,87 , e dalle migliorie da lui stesso apportate . Infine, il secondo motivo critica anche l’asserita genericità del motivo d’appello in ordine alla CTU. I due motivi di ricorso, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono del tutto infondati. La sentenza della Corte d’Appello di Roma ha categoricamente confermato quanto già asserito dal Tribunale, per cui il fondo in contesa non rientrava nell’asse ereditario ha poi affermato che il credito vantato dai coeredi per le quote di ammortamento versate dovesse tener conto del valore attuale del cespite. Non si ravvisano affatto i vizi denunciati dal ricorrente. Infatti, vertendosi in tema di assegnazione di un terreno di riforma fondiaria mediante vendita con pagamento rateale del prezzo e riserva di dominio in favore dell’ente assegnante, ed essendosi verificata la morte dell’assegnatario originario Pa.Ar. anteriormente al riscatto del bene, e perciò prima del trasferimento della proprietà con conseguente subingresso nel relativo rapporto di assegnazione di P.A. , erede dell’assegnatario medesimo, agli effetti della legge 29 maggio 1967, n. 379 , il fondo stesso non poteva certamente dirsi entrato nel patrimonio ereditario di Pa.Ar. . Spetta peraltro ai coeredi per la soddisfazione della loro quota di eredità o della parte non soddisfatta con l’attribuzione di altri beni, un credito verso l’assegnatario, che lo stesso art. 7 della legge n. 379/1967 vuole sia determinato nei limiti della somma risultante dall’ammontare delle annualità versate dal de cuius , ma aumentato dall’incremento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti da lui recati . A questo criterio normativo risultano essersi conformati la Corte d’appello di Roma che ha parlato di valore attuale del cespite e prima ancora il Tribunale di Roma che parlava di aumento di valore del fondo e di valore dei beni all’attualità . Il secondo motivo di ricorso è poi privo di autosufficienza laddove critica per difetto di motivazione la statuizione di inammissibilità resa dalla Corte di Roma sul profilo d’appello inerente la CTU, ma non riporta, nel suo impianto specifico, il predetto profilo d’appello e le considerazioni al riguardo svolte avverso l’elaborato peritale, che si assumono trascurate dal secondo giudice. Il ricorso va pertanto rigettato. Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese di questo giudizio, in quanto gli intimati non hanno svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.