Determinazione assegno: parametro indispensabile è il tenore di vita durante il matrimonio

Nelle controversie concernenti l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di mantenimento l’apprezzamento della documentazione fiscale prodotta dalla parte non ha efficacia vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, può fondare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie. Parametro di riferimento indispensabile ai fini della valutazione di congruità dell’assegno resta il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6427/16, depositata il 4 aprile. Il caso. Due coniugi si separano dinanzi al Tribunale di Ragusa. Al marito viene imposto l’obbligo di corrispondere in favore della moglie, a titolo di contributo di mantenimento, un assegno mensile pari a duemila euro, nonché un ulteriore assegno mensile, di importo pari a mille euro, per il mantenimento del figlio maggiorenne, non economicamente autosufficiente, convivente con la madre. Avverso la sentenza di primo grado il marito propone ricorso alla Corte di appello di Catania, la quale, tuttavia, lo rigetta. Il marito, dunque, propone ricorso per cassazione contro la pronuncia della Corte di appello per due ordini di motivi. Sostanzialmente il marito lamenta che il giudice, nello stabilire l’entità dell’importo degli assegni mensili abbia fatto generico riferimento al tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio e ai redditi derivanti dall’esercizio della sua attività professionale, senza però dare rilievo alla documentazione prodotta, ritenuta inaffidabile, e senza andare nel concreto a verificare un’ulteriore serie di elementi, quali appunto l’assegnazione della casa coniugale data in godimento alla moglie, gli oneri connessi al mantenimento di un’altra figlia da lui procreata, la considerazione che la moglie, laureata e abilitata all’esercizio della relativa professione, non abbia mai lavorato. La signora resiste in giudizio con un controricorso. Assegno di mantenimento. L’assegno di mantenimento, costituito da un prestazione pecuniaria periodica, è espressione della solidarietà coniugale e ha funzione essenzialmente assistenziale. Pertanto, il coniuge obbligato al pagamento dell’assegno risulta essere quello che versa nelle condizioni economiche migliori, sia esso responsabile o meno della crisi dell’unione familiare. Principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità è quello secondo il quale parametro di riferimento indispensabile per valutare la congruità dell’assegno è rappresentato dal tenore di vita goduto nel corso del matrimonio da parte dei coniugi . Tenore di vita. Il giudice del merito, al fine di quantificare l’assegno di mantenimento, deve accertare il tenore di vita goduto dai coniugi durante la vita matrimoniale, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma dovrà considerare anche altre variabili di carattere economico o apprezzabili in termini economici , suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti come, nel caso in esame, il possedere un cospicuo patrimonio immobiliare, nonché di beni mobili registrati autovetture, motoveicoli, natanti , condurre uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso. Le dichiarazioni dei redditi. In giurisprudenza si è affermato che le dichiarazioni dei redditi dell’obbligato hanno una funzione tipicamente fiscale, pertanto nelle controversie relative ai rapporti estranei al sistema tributario, come quelle in esame, concernenti l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di mantenimento, non hanno efficacia vincolante per il giudice, il quale, quindi, nella sua valutazione discrezionale, può fondare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie. Capacità di lavoro del coniuge. Certamente l’attitudine al lavoro del coniuge, considerata come potenziale capacità di guadagno, costituisce un elemento importante, da prendere in considerazione ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice. Tuttavia, tale attitudine assume rilievo soltanto qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di una attività lavorativa retribuita e non di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. Soluzione della Suprema Corte. Ad avviso dei Supremi Giudici, il ricorrente, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, dimostra di voler sollecitare una rivisitazione del giudizio di merito, non consentita, però, alla Suprema Corte di Cassazione alla quale non spetta il compito di riesaminare la vicenda processuale bensì quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. La Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso e condannare il marito al pagamento delle spese processuali dà atto dell’esistenza dei presupposti per il versamento da parte di questi di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 febbraio – 4 aprile 2016, n. 6427 Presidente Ragonesi – Relatore Mercolino Fatto e diritto È stata depositata in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. 1. - Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d’Appello di Catania ha rigettato l’appello proposto da G.P. avverso la sentenza emessa il 21 maggio 2013, con cui il Tribunale di Ragusa, dopo aver pronunciato la separazione personale dell’appellante dalla moglie M.M. , aveva posto a carico del Gallo l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 2.000,00 a titolo di contributo per il mantenimento del coniuge ed un assegno mensile di Euro 1.000,00 per il mantenimento del figlio maggiorenne A. , convivente con la madre e non ancora economicamente autosufficiente. 2. - Avverso la predetta sentenza il Gallo ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, al quale la Magro ha resistito con controricorso. 3. A sostegno dell’impugnazione, il ricorrente ha dedotto a la violazione e la falsa applicazione dell’ara 156 cod. civ., anche in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., sostenendo che, ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, la sentenza impugnata ha fatto generico riferimento al tenore di vita goduto dai coniugi nel corso della convivenza ed ai redditi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale svolta da esso ricorrente, senza tener conto dei concreti elementi di valutazione forniti al riguardo, ed ha reputato inaffidabile la documentazione prodotta, senza individuare alcun elemento contrastante con le relative risultanze, trascurando invece altre circostanze, quali l’assegnazione in godimento della casa coniugale alla moglie, la riduzione di reddito da lui subita dopo la cessazione della convivenza e gli oneri connessi al mantenimento di un’altra figlia da lui procreata b la violazione e la falsa applicazione dell’art. 156 cod. civ., anche in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., affermando che, nella valutazione della capacità reddituale della Magro, la sentenza impugnata ha illogicamente escluso che la stessa potesse intraprendere un’attività lavorativa, per il solo fatto che, nonostante il possesso di una laurea in scienze agrarie e della relativa abilitazione professionale, ella non aveva mai lavorato. 4. - Il ricorso è in parte infondato, in parte inammissibile. Ai fini dell’imposizione a carico del ricorrente dell’obbligo di contribuire al mantenimento del coniuge e del figlio, la sentenza impugnata si è infatti attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di separazione, secondo cui il parametro indispensabile di riferimento per la valutazione di congruità dell’assegno è costituito dal tenore di vita di cui i coniugi hanno goduto nel corso della convivenza, quale elemento condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, al cui accertamento il giudice di merito deve procedere verificando le disponibilità patrimoniali dell’onerato, senza limitarsi a considerare il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma tenendo conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 11 luglio 2013, n. 17199 24 aprile 2007, n. 9915 27 giugno 2006, n. 14840 . Nell’ambito del predetto apprezzamento, la Corte distrettuale ha posto correttamente in risalto una pluralità di elementi, univocamente attestanti la disponibilità di considerevoli mezzi economici da parte del Gallo, e segnatamente la titolarità di un cospicuo patrimonio immobiliare nonché di beni mobili registrati, quali autovetture, motoveicoli e natanti, il cui possesso, risultando di per sé sintomatico di uno standard di vita particolarmente elevato, può ritenersi ampiamente sufficiente a giustificare il giudizio d’inattendibilità espresso in ordine ai dati reddituali emergenti dalla documentazione fiscale prodotta dal ricorrente. Tale valutazione non si pone in alcun modo in contrasto con l’efficacia probatoria delle dichiarazioni dei redditi, la cui funzione, tipicamente fiscale, esclude la possibilità di attribuirvi portata vincolante al di fuori delle controversie riguardanti rapporti tributari, restando il loro apprezzamento rimesso alla discrezionalità del giudice, il quale è libero di andare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie cfr. Cass., Sez. VI, 16 settembre 2015, n. 18196 Cass., Sez. 1, 12 giugno 2006, n. 13592 28 aprile 2006, n. 9876 . Nel porre a confronto le potenzialità economiche delle parti, la sentenza impugnata non ha poi affatto omesso di valutare la capacità di lavoro della Magro, avendo dato puntualmente atto delle opportunità connesse al titolo di studio universitario ed all’abilitazione professionale di cui la donna è in possesso, ma avendone anche ridimensionato la portata, alla luce delle difficoltà, ineccepibilmente desunte da nozioni di comune esperienza, che ella è verosimilmente destinata ad incontrare nell’inserimento del mondo del lavoro, a causa dell’età ormai avanzata e della mancanza di precedenti esperienze professionali. È noto d’altronde che l’attitudine al lavoro del coniuge, quale elemento di valutazione della sua capacità di guadagno, in tanto può assumere rilievo ai fini del riconoscimento e della liquidazione dell’assegno di mantenimento, in quanto venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche cfr. Cass., Sez. I, 13 febbraio 2013, n. 3502 25 agosto 2006, n. 18547 2 luglio 2004, n. 12121 . In definitiva, nel contestare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, il ricorrente non è in grado di evidenziare lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento seguito per giungere alla decisione, ma si limita ad invocare ulteriori elementi, asseritamente trascurati, la cui valutazione non potrebbe tuttavia condurre a risultati diversi, avuto riguardo all’accertata consistenza delle risorse a sua disposizione ed alla mancata indicazione di circostanze idonee a comprovare il deterioramento della sua situazione economica o il mancato peggioramento di quella del coniuge. In tal modo, egli dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una rivisitazione del giudizio di merito, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare la vicenda processuale, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui competono, in via esclusiva, l’individuazione delle fonti del proprio convincimento ed il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonché la scelta, tra le complessive risultanze processuali, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 4 novembre 2013, n. 24679 Cass., Sez. E 16 dicembre 2011, n. 27197 Cass., Sez. lav., 19 marzo 2009, n. 6694 . Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione e gli scritti difensivi in atti, ritiene condivisibile l’opinione espressa dal relatore e la soluzione da lui proposta, non risultando meritevoli di accoglimento le contrarie argomentazioni svolte nella memoria depositata dal ricorrente, il quale si limita ad insistere su questioni di fatto già dedotte nel ricorso, senza addurre ragioni idonee a giustificare una rimeditazione delle predette conclusioni. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna G.P. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 4.100,00, ivi compresi Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13. Ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.