Rifiuta di sottoporsi al test del dna: il giudice può valutarlo tra le prove per dichiarare la paternità

Nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 3479/16, depositata il 23 febbraio. Il fatto. Con sentenza, confermata poi in sede di appello, il Tribunale di primo grado dichiarava la paternità dell’odierno ricorrente sulla base dell’esito delle prove testimoniali e del ripetuto ed ingiustificato rifiuto a sottoporsi ai prelievi genetici disposti dal CTU. Con l’unico motivo di interesse che merita approfondimento in questa sede, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norma di diritto, il nuovo testo dell’art. 274 c.c Principio della libertà della prova. La Suprema Corte ritiene, al contrario, che i giudici dell’appello abbiano fornito correttamente i riferimenti giurisprudenziali necessari in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, secondo i quali deve escludersi qualsiasi subordinazione dell’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici all’esito della prova storica sull’esistenza di un rapporto sessuale tra il presento padre e la madre. Questo per il principio della libertà della prova sancito, in materia, dall’art. 269, comma 2, c.c., che non tollera surrettizie limitazioni avendo tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge. Accertamento giudiziale di paternità. I Giudici del Palazzaccio ricordano e ribadiscono l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in base al quale, nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda Cass. n. 6025/2015 . In altri termini, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice anche in assenza della prova di rapporti sessuali tra le parti. Per i Giudici di legittimità, nel caso di cui si tratta, la Corte d’appello, peraltro, non ha fondato sul solo rifiuto di sottoporsi agli accertamenti peritali la dichiarazione di paternità, ma ha rilevato come da tutte le deposizioni testimoniali emerge la prova di una lunga relazione sentimentale tra le parti. La S.C. ha, pertanto, respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 25 novembre 2015 – 23 febbraio 2016, n. 3479 Presidente Forte – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Tribunale di Termini Imerese, con sentenza del 15-16 marzo 2011, ha dichiarato che S.A. è il padre di M.C. , nato a OMISSIS da M.A. . Nella motivazione della sentenza si da atto dell'esito delle prove testimoniali e del ripetuto e non giustificato rifiuto del S. a sottoporsi ai prelievi genetici disposti dal C.T.U 2. La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 1488/13, ha respinto l'impugnazione del S. ritenendo insussistenti le cause di nullità della sentenza denunciate con il gravame omessa esposizione sintetica delle ragioni di fatto e diritto della decisione e delle conclusioni delle parti e corretta la valutazione del materiale probatorio, specificamente delle deposizioni testimoniali addotte da entrambe le parti. Ha inoltre rilevato la conformità alla giurisprudenza di legittimità della valutazione del rifiuto del S. a sottoporsi agli accertamenti peritali, rifiuto attuato con un comportamento ostruzionistico e non giustificato da reali ragioni ostative alla presentazione alle numerose convocazioni disposte dal CTU. 3. Propone ricorso per cassazione S.A. affidandosi a quattro motivi di impugnazione. 4. Si difende con controricorso M.C. e deposita memoria difensiva. Ritenuto che 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce che la Corte di appello di Palermo, accogliendo il primo motivo di appello, doveva dichiarare la nullità e inefficacia della sentenza n. 124/11, emessa dal Tribunale di Termini Imerese in data 15/16 marzo 2011, per violazione dell'art. 132 c.p.c Il ricorrente ritiene che la sentenza di primo grado non contiene la benché minima esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione e l'esame delle rispettive conclusioni delle parti. 2. Il motivo è palesemente inammissibile in quanto del tutto privo di autosufficienza e intesto a impugnare il contenuto e le motivazioni della sentenza di primo grado che come lo stesso ricorrente riporta nel suo motivo si è improntata al principio della libertà di prova di cui all'art. 269 comma c.c. e ha valorizzato le dichiarazioni delle parti e dei testimoni fra cui quella del fratello dell'odierno ricorrente. 3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata e l'omesso esame di risultanze decisive. Il ricorrente afferma che la Corte di appello, prima della decisione del merito della controversia, doveva disporre, come era stato richiesto dall'appellante, l'espletamento della C.T.U., disposta dal Tribunale con l'ordinanza 5 maggio 2008, con coevo accertamento di quanto dedotto dal C.T. di parte prof. C.E. con la relazione del 15 maggio 2008 e non doveva ritenere che S.A. si era rifiutato di sottoporsi agli esami genetici, oggetto dell'ordinanza. 4. Il motivo è inammissibile in quanto consiste in una contestazione di merito alla decisione della Corte di appello di ritenere concretizzato un rifiuto da parte del S. di sottoporsi ai test genetici disposti con la C.T.U., decisione che appare estesamente e logicamente motivata dalla Corte distrettuale palermitana si vedano pagg. 7-9 della motivazione . 5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norma di diritto nuovo testo dell'art. 274 c.c. ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c Il ricorrente ritiene che, ai sensi della legge n. 151/1975, che ha modificato il testo dell'art. 274 primo comma del codice civile, la dichiarazione giudiziale di paternità deve essere fondata su specifiche circostanze che attestino i rapporti sessuali fra le parti e che non possono essere provate con le dichiarazioni delle parti o con valutazioni indiziarie. Contrariamente a quanto ha fatto la Corte di appello, che ha solamente accertato l'esistenza di una relazione sentimentale intercorsa fra le parti fra il 1968 e il 1975, la dichiarazione di paternità poteva essere fondata solo su una prova certa della convivenza e del rapporto sessuale fra la madre e il presunto padre. Era necessaria altresì la prova di un comportamento del presunto padre tale da dimostrare il riconoscimento della paternità. Nella specie i testi si sono limitati a riferire su una generica complessità della relazione sentimentale. La deposizione del teste S.S. , fratello del ricorrente, il quale ha dichiarato che il S. aveva rapporti sessuali con la M. pur non essendo formalmente il suo fidanzato, deve ritenersi inattendibile, secondo il ricorrente, per i gravi contrasti e risentimenti esistenti nei rapporti con il fratello. 6. Il motivo è infondato. La Corte di appello ha correttamente fornito i riferimenti giurisprudenziali necessari in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, secondo cui, deve escludersi qualsiasi subordinazione dell'ammissione degli accertamenti immuno-ematologici all'esito della prova storica sull'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre di quest'ultimo, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall'art. 269, secondo comma, cod. civ., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternità naturale, né, conseguentemente, mediante l'imposizione al giudice di una sorta di ordine cronologico nella loro ammissione ed assunzione, a seconda del tipo di prova dedotta, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge. Una diversa interpretazione, si risolverebbe in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., in relazione ad un'azione volta alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status. A tale precedente giurisprudenziale va ricollegato poi l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche - nella specie opposto da tutti gli eredi legittimi del preteso padre - costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., di cosi elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda Cass. civ. sezione I n. 6025 del 25 marzo 2015, n. 12971 del 24 luglio 2012 e n. 11223 del 21 maggio 2014, secondo cui nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell'art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all'assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l'uso dei dati nell'ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l'accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali . 7. Nel caso in esame la Corte di appello non ha peraltro fondato sul solo rifiuto di sottoporsi agli accertamenti peritali la dichiarazione di paternità ma ha rilevato come da tutte le deposizioni testimoniali emerga la prova di una lunga relazione sentimentale di S.A. con la madre di M.C. , relazione che viene espressamente riconosciuta come si è visto dallo stesso ricorrente il quale però ritiene non provata la convivenza e la consumazione di rapporti sessuali. Se la prova della convivenza deve ritenersi del tutto ininfluente quella della consumazione di rapporti sessuali è stata ritenuta dalla Corte di appello sulla base della citata deposizione testimoniale di S.A. che la Corte di appello ha ritenuto attendibile nonostante i non buoni rapporti con il ricorrente. 8. Il ricorso va pertanto respinto, restando assorbito l'esame del quarto da intendere come richiesta subordinata all'accoglimento del ricorso, e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 4.800 Euro, di cui 200 Euro per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a. titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.