Sentenza di divorzio (all'estero) e successivo riconoscimento dell'assegno divorzile in Italia

La richiesta di corresponsione dell'assegno periodico di divorzio si configura come una domanda autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio e, pertanto, la parte che nel corso del giudizio non l'abbia ritualmente proposta, potrà avanzarla successivamente senza che a ciò sia di ostacolo l'intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo coniugale anche se questa è intervenuta all'estero e in conformità ad un ordinamento che non ne consente la proposizione nel medesimo giudizio di modifica dello stato di coniugio.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1863/16, depositata l’1 febbraio. Il fatto. L'ex consorte ricorre in Cassazione avverso il decreto della Corte d'Appello che accoglieva il reclamo della ex moglie con il quale la donna impugnava il rigetto del Tribunale avverso la sua istanza di riconoscimento di un assegno divorzile, proposta dopo la sentenza di divorzio pronunciata nella repubblica ceca. Il Tribunale aveva ritenuto improponibile la domanda della ex consorte ai sensi dell'art. 9 della legge sul divorzio in quanto la previsione normativa non consente la proposizione di un giudizio inteso al riconoscimento di un assegno divorzile al di fuori del giudizio di divorzio. Le parti, infatti, avevano adito il giudice ceco per sentir pronunciare il divorzio e la sentenza emessa da detto Tribunale era già passata in giudicato al momento della proposizione avanti al giudice italiano del riconoscimento dell'assegno divorzile. La Corte d'Appello, al contrario, invece, aveva correttamente ritenuto che la domanda fosse non solo proponibile, ma aveva anche determinato l'assegno a favore della ex consorte con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza ceca di divorzio e con rivalutazione istat a decorrere da un anno dalla data del decreto. L'onerato, quindi, impugnava il decreto della Corte d'appello e ribadiva l'improponibilità della domanda ai sensi della legge sul divorzio e richiamava altresì il diritto europeo secondo il quale, se la sentenza del Tribunale ceco è immediatamente e automaticamente riconosciuta nello Stato italiano, questa doveva essere assimilata, quanto ai suoi effetti, ad una qualsiasi sentenza emessa dallo stato italiano e, pertanto, doveva essere ritenuta soggetta alle medesime preclusioni processuali che impediscono l'accertamento del diritto all'assegno divorzile. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha ritenuto che la domanda di assegno è autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio e che la parte ha la facoltà di introdurla o meno nel medesimo giudizio di scioglimento del matrimonio o di proporla successivamente. La Corte di legittimità ha inoltre precisato che, il riconoscimento automatico della sentenza ceca derivante dal regolamento europeo 2201/2003/CE comporta la ricezione nel nostro ordinamento del contenuto specifico di quella decisione che, nel caso di specie, si è limitata conformemente al diritto ceco ad accertare le condizioni per lo scioglimento del matrimonio, lasciando aperta la possibilità di far valere le pretese economiche in un separato procedimento che non devono, quindi, considerarsi coperte dal giudicato e da alcun accertamento implicito sull'insussistenza delle condizioni per il riconoscimento dell'assegno divorzile. L'assegno di divorzio è una domanda connessa, ma autonoma rispetto allo scioglimento del vincolo coniugale. La ratio dell'art. 9 della legge sul divorzio è quella di delimitare e delineare la competenza del giudice del divorzio, di favorire la contestuale proposizione delle domande di scioglimento e di riconoscimento dell'assegno divorzile, oltre ad escludere la proponibilità di altre domande a contenuto patrimoniale conseguenti allo scioglimento del matrimonio dalla sede del giudizio di divorzio. La norma non impone, quindi, un necessario collegamento contestuale fra le due pronunce ed anzi questo collegamento non può essere imposto come preclusione processuale derivante da una pronuncia della sentenza di divorzio passata in giudicato. La richiesta di corresponsione di un assegno periodico di divorzio è una domanda connessa e conseguente al riconoscimento sullo stauts , ma comunque autonoma rispetto a quella dello scioglimento del matrimonio è una pronuncia volta a tutelare i soggetti più deboli, e cioè i minori e il coniuge economicamente sfavorito, dallo scioglimento del matrimonio e la sua ratio non è può essere quella di precludere la proposizione di tali domande in un separato giudizio rispetto a quello sullo status . Inoltre, la previsione dell'art. 9 sulla contestuale pronuncia dello scioglimento e delle statuizioni relative all'affidamento dei figli e alle condizioni economiche non risponde nè a un principio costituzionale che ne impedisce una regolamentazione separata tanto è vero che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva del divorzio , nè può derogare il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere concretamente, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi come sono appunto il riconoscimento dell'assegno e quella di divorzio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 29 settembre – 1 febbraio 2016, n. 1863 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Il Tribunale di Firenze, in data 30 gennaio 2013, ha respinto il ricorso di N.O. inteso ad ottenere, nei confronti dell'ex coniuge D.F. , un assegno divorzile in relazione alle sperequate condizioni economiche e alla sua condizione di povertà, tale da non consentirle neanche di raggiungere un livello minimo di sussistenza. Il Tribunale ha ritenuto che la domanda della N. è improponibile, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898/1970 che non consente la proposizione di un giudizio inteso al riconoscimento di un assegno divorzile al di fuori del giudizio di divorzio. 2. La Corte di appello di Firenze con decreto n. 1813/13, depositato il 9 ottobre 2013, ha accolto il reclamo della N. . Ha rilevato che, nella specie, la reclamante aveva proposto la domanda di assegno al giudice ceco il Tribunale di Zlin che aveva pronunciato sentenza di divorzio passata in giudicato il 19 dicembre 2009. La sua domanda non era stata ritenuta proponibile in quella sede prevedendo la legislazione ceca la possibilità della proposizione di un separato giudizio per le statuizioni di carattere economico. La Corte distrettuale fiorentina ha determinato in 300 Euro mensili l'assegno divorzile, con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza ceca di divorzio e con rivalutazione ISTAT a decorrere da un anno dalla data del decreto. 3. Ricorre per cassazione D.F. affidandosi a due motivi di impugnazione. 4. Si difende con controricorso N.O. ed eccepisce, preliminarmente alla richiesta di rigetto, l'inammissibilità del ricorso. Ritenuto che 5. Le eccezioni di inammissibilità del ricorso sono infondate dato che le censure mosse dal ricorrente D.F. si sostanziano nella deduzione di specifiche violazioni connesse alla interpretazione recepita dalla Corte di appello che ha contestato anche in questo giudizio. Né può ritenersi che la specificità del caso in esame consenta comunque una automatica applicazione della giurisprudenza costante di questa Corte. 6. Con il primo motivo di ricorso D.F. deduce la violazione dell'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell'art. 5 e dell'art. 9 legge 1 dicembre 1970 n. 898. Il ricorrente, dopo aver rilevato come sia pacifico che alla controversia debba applicarsi la legge italiana, ritiene preclusa la possibilità di richiedere in sede separata dal giudizio di divorzio la corresponsione di un assegno ai sensi dell'art. 5 della legge n. 898/1970 dato che questa norma prevede la sola possibilità di una pronuncia attributiva dell'assegno con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Ritiene altresì inapplicabile l'art. 9 della legge n. 898/1970 in quanto non sussiste la condizione prevista in questo articolo per la successiva revisione delle disposizioni relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 e cioè la sopravvenienza di giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. 7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell'art. 29 e dell'art. 30 L. 218/1995. Il ricorrente rileva che, anche in forza del diritto Europeo art. 21 del regolamento 2201/2003/CE la sentenza di divorzio del Tribunale di Zlin è immediatamente e automaticamente riconosciuta nello Stato italiano e, quindi, produttiva dei relativi effetti. Da ciò consegue secondo il ricorrente che detta pronuncia deve essere assimilata, quanto agli effetti, ad una qualsiasi sentenza emessa dall'autorità giudiziaria italiana e pertanto deve essere ritenuta soggetta alle medesime preclusioni processuali che impediscono l'accertamento del diritto all'assegno divorzile. 8. I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente stante la loro stretta connessione logico-giuridica. 9. La previsione, da parte dell'art. 5 della legge sul divorzio, della contestuale pronuncia dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio e delle statuizioni relative all'affidamento dei figli e alle condizioni economiche del divorzio - come lo stesso ricorrente ha ricordato citando la sentenza di questa sezione della Corte di Cassazione n. 13556 del 30 luglio 2012 - non risponde a un principio costituzionale che imponga la regolamentazione contestuale dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status tant'è che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce sullo status, e rinvia al successivo corso del giudizio per l'adozione dei provvedimenti conseguenti. 10. Per altro verso la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la richiesta di corresponsione dell'assegno periodico di divorzio di cui all'art. 5 della legge n. 898 del 1970 si configura come domanda connessa ma autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio, e, pertanto, la parte che, nel corso del giudizio divorzile, non l'abbia ritualmente avanzata ben può proporla successivamente, senza che, a ciò, sia di ostacolo la ormai intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo di coniugio, operando il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi come appunto, quella di riconoscimento dell'assegno rispetto a quella di divorzio , che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso giudizio Cass. civ. sezione 1 n. 15064 del 9 ottobre 2003, n. 1032 del 2 febbraio 1998, n. 2725 del 27 marzo 1997, n. 8700 del 24 agosto 1990 . 11. A fronte di questa riconosciuta autonomia della domanda di assegno la fattispecie in esame si caratterizza per la autonomia del giudizio sullo scioglimento del matrimonio da quello sulle condizioni economiche del divorzio vigente nell'ordinamento ceco in cui la sentenza sullo status è stata pronunciata. Questo dato di riferimento deve essere tenuto in considerazione nella controversia in esame proprio in relazione alla disposizione invocata dal ricorrente. Infatti l'art. 5 della legge sul divorzio, nel prevedere che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l'obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell'altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi delinea l'ambito di competenza del giudice del divorzio, e pertanto esclude la proponibilità di altre domande a contenuto patrimoniale conseguenti allo scioglimento del matrimonio dalla sede del giudizio di divorzio, ma non impone un necessario collegamento contestuale fra la pronuncia sullo status e quella sull'assegno divorzile. Tanto meno dunque questo collegamento può essere imposto come preclusione processuale derivante dall'intervenuta pronuncia della sentenza di divorzio in un ordinamento straniero che prevede esplicitamente la possibilità di proporre la domanda di assegno in un giudizio separato da quello sullo scioglimento del matrimonio. 12. Il riferimento al regime di riconoscimento automatico derivante dal regolamento Europeo non rafforza ma indebolisce ulteriormente la tesi del ricorrente proprio perché tale riconoscimento comporta la ricezione nel nostro ordinamento del contenuto specifico di quella decisione che si è limitata ad accertare le condizioni per lo scioglimento del matrimonio e lo ha pronunciato lasciando aperta la possibilità di far valere le pretese economiche in un separato procedimento. Non può di certo dunque attribuirsi alla sentenza ceca di divorzio il contenuto di un accertamento implicito sulla insussistenza delle condizioni per il riconoscimento di un assegno divorzile e neanche quello di un giudicato costituente una preclusione processuale alla proposizione di una successiva domanda di assegno divorzile basata sulle condizioni economiche degli ex coniugi anche se coincidenti con quelle esistenti al momento della pronuncia di divorzio. Né può ritenersi che la odierna controricorrente fosse tenuta a proporre la domanda di assegno nella Repubblica ceca perché tale interpretazione inciderebbe, limitandola illegittimamente, sulla competenza del giudice italiano e, nello stesso tempo, costringerebbe le parti di un giudizio di divorzio instaurato davanti al giudice ceco a rinunciare a una facoltà che quell'ordinamento esplicitamente attribuisce. 13. La preclusione che il ricorrente configura è a ben vedere in contrasto con la stessa ratio della disposizione di cui all'art. 5 della legge sul divorzio che è, oltre a quella di delimitare la competenza del giudice del divorzio, quella di favorire la contestuale proposizione delle domande, autonome ma conseguenti al giudizio sullo status, che concernono i soggetti più deboli e cioè i minori e il coniuge economicamente sfavorito dallo scioglimento del matrimonio. Sicuramente la ratio della disposizione invocata non è quella di precludere la proposizione di tali domande in un separato giudizio tanto più se la sentenza che trova automatico riconoscimento in Italia è pronunciata in un ordinamento che prevede espressamente tale possibilità. 14. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 2.200 Euro, di cui 200 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.