Il rifiuto di sottoporsi al test del DNA non è comportamento idoneo ad integrare il dolo processuale

Il mero rifiuto di sottoporsi all’esame del DNA non può ritenersi comportamento idoneo a sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l’accertamento della verità.

Quanto sopra è stato ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 25317 depositata in data 16 dicembre 2015. Il fatto. Tanto in primo grado quanto in sede di gravame veniva dichiarata la paternità naturale. Avverso la sentenza d’appello il dichiarato padre naturale proponeva azione di revocazione straordinaria ex art. 395 comma 1, n. 1 c.p.c. assumendo che tale pronuncia fosse il frutto del dolo dell’altra parte il figlio il quale si era rifiutato di sottoporsi all’esame del DNA. Il rigetto della revocazione. Il Collegio respingeva la domanda revocatoria rilevando che, nel caso di specie, non fosse accertata un’attività fraudolenta di una delle parti di cui la sentenza ne fosse conseguenza. Secondo i giudici, infatti, la condotta del figlio di opporre un rifiuto agli esami del DNA era successiva alla sentenza e, pertanto, non poteva esser in un rapporto causa-effetto con la sentenza emessa che lo stesso rifiuto non costituiva attività fraudolenta mancando l’alterazione della realtà che richiede il dolo processuale. Il giudizio in Cassazione. Avverso il rigetto della revocazione, il ricorrente lamentava che i giudici avessero erroneamente escluso la sussistenza del dolo processuale. Secondo il dichiarato padre, infatti, la condotta del figlio – contumace nel giudizio di revocazione – di rifiuto di sottoporsi al test del DNA sarebbe stata rivelatrice del suo dolo, dal momento che così aveva manifestato la volontà di beneficiare della sentenza favorevole di primo grado sfuggendo ad ulteriori accertamenti. Inoltre, secondo il ricorrente sarebbe stato possibile ravvisare gli estremi del dolo processuale anche nel mendacio o nel silenzio, laddove integranti un’attività diretta a trarre in inganno la controparte sui fatti decisivi della causa, sviandone o pregiudicandone la difesa. La Suprema Corte come giudici delle leggi. La Cassazione ribadisce la propria funzione nomofilattica e di Giudice delle leggi, ritenendo affrontabile unicamente la questione del dolo e non anche dell’erronea valutazione del rifiuto del figlio a sottoporsi agli esami del DNA. La valutazione della condotta del figlio naturale sfugge dall’ambito cognitivo della Corte di Cassazione. Il dolo processuale. Secondo un orientamento giurisprudenziale richiamato, viene espressamente escluso che il mero rifiuto di sottoporsi all’esame del DNA costituisca comportamento idoneo a sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l’accertamento della verità nonché l’efficienza causale della condotta del figlio rispetto alla decisione del giudice, essendo quest’ultima intervenuta antecedentemente. Per questi motivi, la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso che, tra l’altro, si è focalizzato sulla riconducibilità generica del mendacio e del silenzio al dolo processuale revocatorio senza tuttavia spiegare in che modo la condotta di controparte avrebbe sviato e pregiudicato la difesa avversaria e alterato la realtà.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 20 ottobre – 16 dicembre 2015, n. 25317 Presidente Dogliotti – Relatore Acierno Fatto e diritto Il ricorrente, G.S., proponeva appello dinanzi la Corte territoriale di Palermo avverso la sentenza che aveva dichiarato il medesimo padre naturale di F.L Il Collegio, confermando la sentenza resa in primo grado, rigettava l'impugnazione. Avverso la sentenza di rigetto proponeva azione di revocazione, ai sensi dell'art. 395, comma 1, n. 1 c.p.c., lo S. assumendo che la stessa fosse il frutto del dolo del L. dolo dimostrato dal rifiuto di sottoposizione all'esame del DNA . Premesso che ai fini della sussistenza del dolo processuale revocatorio è necessario accertare un'attività fraudolenta di una delle parti e che la sentenza sia conseguenza di tale attività, il Collegio respingeva la domanda revocatoria rilevando a che la condotta del L. era successiva alla sentenza e, quindi, per definizione non poteva avere avuto alcuna efficacia causale rispetto alla decisione adottata b che il rifiuto di sottoporsi ad esami non potesse in alcun modo essere considerato alla stregua di attività fraudolenta, mancando quell'alterazione della realtà che la contraddistingue c l'assoluta inconferenza dell'art. 116 c.p.c. che, riguardando il comportamento processuale delle parti, non può riguardare un'attività posta in essere in epoca successiva al processo. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo proponeva ricorso per cassazione, affidandosi ai seguenti motivi di ricorso 1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 269, comma 2, c.c., in relazione all'art. 23 Cost. Evidenzia il ricorrente che l'iniziale rifiuto di sottoporsi alle indagini ematologiche era stato opposto per ragioni di salvaguardia del proprio nucleo familiare e che successivamente lo stesso aveva prestato la propria disponibilità, sia in sede stragiudiziale che in grado di appello, depositando altresì il proprio certificato emofiliaco. Per converso, la condotta del L. - contumace nel giudizio di revocazione - di rifiuto di sottoporsi al test del DNA sarebbe rivelatrice del suo dolo, stante la sottesa volontà di beneficiare della sentenza favorevole di primo grado sfuggendo ad ogni ulteriore verifica. 2. Violazione e o falsa applicazione dell'art. 395 n. 1 c .c. in relazione all'art. 88 c.p.c, per non avere il Collegio considerato che è ben possibile ravvisare gli estremi del dolo processuale anche nel mendacio o nel silenzio ove questi integrino un'attività diretta a trarre in inganno la controparte su fatti decisivi della causa, sviandone o pregiudicandone la difesa e così precludendo il loro accertamento Cass. 05/5329 01/888 94/7576 . I motivi di ricorso, poiché logicamente connessi, meritano un'analisi congiunta. In entrambi, sia pur sotto diversi profili, il ricorrente lamenta l'avere il Collegio erroneamente escluso la sussistenza del dolo processuale del L. ai fini dell'accoglimento dell'azione di revocazione ex art. 395, comma 1, n. 1 c.p.c Si ritiene la questione del dolo come l'unica affrontabile in questa sede, atteso che il diverso aspetto relativo all'errata valutazione del rifiuto dello S. di sottoporsi ai prelievi ematologici non è stato oggetto del giudizio di revocazione ed il provvedimento impugnato dinanzi a questa Corte è la sola sentenza di rigetto della domanda di revocazione straordinaria. Orbene, le doglianze di parte ricorrente appaiono inammissibili. Quest'ultimo nonostante qualifichi entrambi i motivi di ricorso come violazione di norme di diritto, si duole della valutazione di merito svolta dal Giudice della revocazione, richiedendo a questa questa Corte una valutazione dei fatti alternativa che identifichi nella condotta del figlio naturale un dolo rilevante ai fini dell'accoglimento della revocazione. Come noto tale valutazione sfugge dall'ambito cognitivo di questa Corte limitato al solo sindacato di legittimità. Peraltro, la difesa del ricorrente richiama una giurisprudenza che nulla sposta rispetto al giudizio di merito della Corte territoriale nella sentenza impugnata, infatti, viene anzitutto spiegato, alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale, quali attività integrano il dolo processuale revocatorio, per poi applicare tali principi al caso concreto. Viene espressamente escluso che il mero rifiuto di sottoporsi all'esame del DNA possa ritenersi comportamento idoneo a sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l'accertamento della verità nonché l'efficienza causale della condotta del L. rispetto alla pronuncia del Giudice, essendo questa intervenuta in epoca antecedente. Tali statuizioni non vengono censurate nel ricorso in esame che al contrario si focalizza sulla riconducibilità generica del mendacio e del silenzio al dolo processuale revocatorio, senza spiegare in che modo la condotta di controparte avrebbe sviato la difesa e alterato la realtà dei fatti. Si propone pertanto la declaratoria d'inammissibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 375, comma 1, n. 1 c.p.c Il collegio aderisce senza rilievi alla relazione depositata e dichiara non fuori luogo alla pronuncia delle spese del procedimento, non essendosi costituita la controparte P.Q.M. La Corte, dichiara l'inammissibilità del ricorso. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. 115 del 2002 e successive modificazioni si dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.