Stato di abbandono: rimedio estremo contro un pregiudizio più grave

Se il contesto offerto dalla famiglia d’origine non è idoneo allo sviluppo psicofisico del minore, lo stato di abbandono art. 8 della l. n. 184/1983 costituisce il solo strumento in grado di escludere un più grave pregiudizio per il bambino. L’eventuale recupero delle capacità genitoriali deve essere possibile in tempi compatibili con le esigenze del minore in caso contrario, è legittimo rilevare lo stato di abbandono dello stesso.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione. con la sentenza n. 23976/15 depositata il 24 novembre. Il caso. Il Tribunale per i minorenni di Milano dichiarava lo stato di adottabilità di un minore, rilevando la sussistenza di un grave stato di abbandono dello stesso, in ossequio al disposto degli artt. 8 e 15 della l. n. 184/1983. Il giudice competente, pertanto, disponeva l’allontanamento del minore dalla madre, con sospensione della stessa dalla potestà genitoriale ed affidamento del bambino al Comune del capoluogo. La madre del minore impugnava il provvedimento, ma la Corte d’Appello rigettava la domanda di gravame. La donna, quindi, ricorreva per cassazione, lamentando la violazione degli artt. 1, 8 e 15 della l. n. 184/1983 e degli artt. 6 e 8 CEDU. La ricorrente rilevava, nello specifico, come non ci fosse stata da parte della Corte territoriale un’adeguata valutazione in merito alla sussistenza dello stato di abbandono del minore, presupposto necessario ai fini della declaratoria dello stato di adottabilità. L’interesse del minore ad un adeguato e stabile contesto familiare prevale. La Suprema Corte ha preliminarmente precisato che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità rappresenta soltanto un rimedio estremo, essendo d’obbligo per il giudice accertare l’assenza di altre soluzioni idonee a garantire al minore un adeguato contesto familiare. Quanto sopra al fine di tutelare il diritto del bambino a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine artt. 315 bis c.c. e 1 della l. n. 184/1983 . Gli Ermellini hanno, però, ribadito il costante orientamento giurisprudenziale per cui , ove il contesto offerto dalla famiglia d’origine non risulti idoneo allo sviluppo psicofisico del minore, lo stato di abbandono art. 8 della l. n. 184/1983 costituisce il solo strumento che possa escludere un più grave pregiudizio per il bambino. La Corte di legittimità ha chiarito che l’eventuale recupero delle capacità genitoriali deve essere possibile in tempi compatibili con le esigenze del minore in caso contrario, è legittimo l’accertamento dello stato di abbandono del medesimo. La Suprema Corte ha evidenziato che la stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo CEDU , pur sottolineando l’ extrema ratio di qualsiasi intervento atto ad interrompere i legami tra il minore e la sua famiglia, ha affermato che per valutare l’eventuale violazione dell’art. 8 CEDU rispetto della vita familiare deve essere considerato il giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi coesistenti . L’interesse del minore ad un adeguato e stabile contesto familiare, in tale bilanciamento, può prevalere rispetto a quello del genitore a tenere con sé il figlio. Nel caso di specie, gli Ermellini hanno rilevato come sia stata ampiamente motivata da parte della Corte territoriale l’inadeguatezza della ricorrente a farsi carico delle necessità del figlio, rispondendo alle sue esigenze di cura ed educazione. La Suprema Corte ha evidenziato, infine, come, nel procedimento per la dichiarazione di adottabilità, le relazioni degli operatori coinvolti servizi sociali e psicologi siano indizi idonei a fondare il convincimento del giudice tale documentazione, peraltro, può essere oggetto di cognizione e di opposizione da parte dei soggetti coinvolti e deve, dunque, escludersi una violazione del diritto di questi al contraddittorio. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 ottobre – 24 novembre 2015, n. 23976 Presidente Forte – Relatore Valitutti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 45/2014, depositata il 31.1.2014, il Tribunale per i Minorenni di Milano dichiarava lo stato di adottabilità del minore C.G.B.J.B. , in conseguenza della ritenuta sussistenza di una situazione di abbandono del medesimo, ai sensi degli artt. 8 e 15 della l. n. 184 del 1983, disponendo che il bambino venisse allontanato dalla madre, C.M. . Quest'ultima veniva, altresì, sospesa dalla potestà genitoriale, con nomina del Comune di Milano come tutore provvisorio del minore. 2. Avverso tale decisione proponeva impugnazione la C. . 3. Il gravame veniva, peraltro, rigettato dalla Corte di appello di Milano con sentenza n. 30/2014, depositata il 3.7.2014 e notificata nella stessa data, con la quale il giudice di seconde cure reputava sussistente alla stregua delle risultanze di causa una situazione di abbandono del predetto minore, tale da legittimarne la dichiarazione di adottabilità. 4. Per la cassazione della sentenza n. 30/2014 ha proposto, quindi, ricorso C.M. nei confronti dell'avv. F.E. , nella qualità di curatore speciale del minore, del Comune di Milano, quale tutore del minore e del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano e presso la Corte di Cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c 5. I resistenti avv. F.E. e Comune di Milano hanno replicato con controricorso. Considerato in diritto 1. Con il primo, secondo e quinto motivo di ricorso che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente C.M. denuncia la violazione degli artt. 1, 8, 10, 12, co. 4 e 15 della l. n. 184 del 1983, 6 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4.11.1950, 3 e 9 della Convenzione di New York del 20.11.1989, ratificata con legge 27.5.1991 n. 176, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c 1.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello, in palese violazione del disposto degli artt. 1, 8 e 15 della l. n. 184 del 1983 e degli artt. 6 e 8 della CEDU, non abbia condotto un effettivo ed adeguato accertamento della situazione di abbandono nella quale il minore deve versare, al fini della dichiarazione dello stato di adottabilità. Il giudice di seconde cure avrebbe, invero, effettuato la verifica dello stato di abbandono del piccolo C.G. sulla base di una valutazione prognostica astratta, senza considerare i concreti elementi probatori emersi dall'istruttoria espletata. In tal modo la Corte territoriale sarebbe pervenuta, ad avviso dei ricorrenti, all'erronea ed illegittima decisione poiché emessa in contrasto con le fonti, anche internazionali, succitate di interrompere i legami del piccolo G. con la madre soluzione, questa, che costituirebbe, per contro, alla stregua delle disposizioni in questione, la extrema ratio, da adottarsi solo in casi di assoluta necessità. 1.2. In realtà, ad avviso della C. , sulla decisione avrebbe gravato certamente la pesante eredità del passato della ricorrente , mentre le risultanze della disposta c.t.u., che avrebbero evidenziato la possibilità di recupero di un'adeguata capacità genitoriale in capo alla madre, non sarebbero state adeguatamente prese in considerazione dall'organo giudicante. La Corte territoriale avrebbe, difatti, omesso di esaminare le decisive conclusioni cui il consulente sarebbe pervenuto circa la positività della relazione madre-figlio, le notevoli risorse affettive della madre nei confronti di un figlio molto piccolo , e l'idoneità di quest'ultima ad occuparsi delle esigenze attuali del figlio, se adeguatamente supportata. 1.3. Di più, l'impugnata sentenza sarebbe, altresì, incorsa a parere della ricorrente nella violazione dell'art. 12, co. 4, della l. n. 184 del 1983, non avendo tenuto conto del fatto che in primo grado non era stato predisposto un adeguato progetto di sostegno del nucleo familiare e non erano stati neppure adottati i provvedimenti previsti dalla norma succitata. 1.4. Le censure sono infondate. 1.4.1. È bensì vero, infatti, che il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine artt. 315 bis, co. 2, c.c. e 1 l. n. 184 del 1983 comporta che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità sia praticabile solo come soluzione estrema , quando, cioè, ogni altro rimedio appaia inadeguato con l'esigenza dell'acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l'esigenza del minore stesso. E tuttavia, va osservato al riguardo che, qualora a prescindere dagli intendimenti dei genitori e dei parenti la vita da loro offerta a quest'ultimo risulti inadatta al suo normale sviluppo psico-fisico, la situazione di abbandono ai sensi dell'art. 8 della l. n. 184 del 1983 e la rescissione del legame familiare costituiscono l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio cfr. Cass. 11758/2014 881/2015 . In altri termini, laddove risulti impossibile, quand'anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono Cass. 6137/2015 . 1.4.2. In tal senso si è, del resto, espressa anche la Corte Europea dei diritti dell'Uomo CEDU , la quale pur evidenziando che, in via di principio, le misure che conducono alla rottura dei legami tra un minore e la sua famiglia debbono essere applicate solo in circostanze eccezionali, ossia solo nei casi in cui i genitori si siano dimostrati particolarmente indegni CEDU, 21.10.2008, C 19537/03, Clemeno e altri c. Italia , o quando siano giustificate da un'esigenza primaria che riguarda l'interesse superiore del minore ha, nondimeno, più volte affermato che ai fini di valutare l'eventuale violazione dell'art. 8 della Convenzione, che sancisce il rispetto effettivo della vita familiare si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi coesistenti. A tal fine devesi tenere conto, peraltro, del fatto che l'interesse superiore del bambino deve costituire in ogni caso la considerazione determinante che, a seconda della sua natura e gravità, può prevalere su quello del genitore ad occuparsi ed a tenere con sé il minore CEDU 10.1.2008, C 35991/04, Kearns e. Francia CEDU 16.7.2015, C 9056/14, Akinnibosun c. Italia . 1.4.3. Orbene, nel caso di specie, la Corte di Appello ha fondato l'accertamento, non tanto e non solo come dedotto dalla C. , secondo la quale sul giudizio di secondo grado avrebbe influito in maniera determinante la pesante eredità del passato della ricorrente -, sulle, pur rilevanti, manifestazioni di aggressività e di intolleranza poste in essere dalla donna in precedenza, bensì soprattutto come si evince dall'esame dell'impugnata sentenza sui comportamenti tenuti dalla medesima in epoca successiva alla nascita del suo bambino. Il giudice di appello ha, difatti, evidenziato che la donna come era emerso dalle segnalazioni dei servizi sociali aveva continuato a vivere per strada, di espedienti, utilizzando stupefacenti e commettendo reati , senza svolgere nessun tipo di lavoro, e che la medesima non aveva mai tollerato inserimenti comunitari . 1.4.2.1. Difatti, dal 2006, anno in cui le era stato diagnosticato, dapprima, un disturbo reattivo dell'attaccamento , dipoi, un disturbo di personalità istrionico in associazione ad un funzionamento intellettivo limite , la C. era stata ospitata in ben 11 Comunità terapeutiche ed educative, senza avere ottenuto alcun apprezzabile benefici. Anche la stessa c.t.u. come ben evidenziato dalla sentenza di appello sebbene, per un verso, metta in luce l'esistenza di un atteggiamento affettuoso ed amorevole della madre per il figlio , per altro verso, pone in evidenza l'estrema aggressività della donna, soprattutto in presenza di situazioni di contrasto con figure di autorità . E tale condotta aggressiva della C. è stata ulteriormente sottolineata come rileva la Corte territoriale dalle relazioni della Comunità Oasi, dalle quali è emerso che, al di là del generale atteggiamento della madre affettuoso nei confronti del piccolo G. , la medesima ha posto in essere, in comunità, diversi episodi di aggressività, sì da indurre i responsabili della stessa a richiedere un immediato trasferimento del nucleo madre-bambino in quanto C.M. rappresenta un serio pericolo per sé, il minore e gli altri ospiti della struttura p. 4 della sentenza di appello . 1.4.2.2. Di più, dalle medesime relazioni è stato possibile alla Corte di Appello desumere ulteriori circostanze rilevanti ai fini di escludere l'idoneità della donna all'espletamento della responsabilità genitoriale. La C. , infatti, benché abbia continuato a mostrare attaccamento al figlio minore, ha ulteriormente ampliato nel tempo gli aspetti aggressivi e persecutori del proprio carattere il che ha addirittura reso necessario, in un'occasione, l'intervento dei Carabinieri presso la struttura che la ospitava , evidenziando la sua incapacità di riconoscere le proprie responsabilità ed i propri doveri di madre v. la sentenza di appello, pp. 5 e 6 . Tale condotta della donna ha determinato, quindi, la frequente somministrazione al bambino di alimenti non consoni all'età , il mancato rispetto degli orari del sonno del minore con conseguente patologica alterazione dei ritmi veglia-sonno, la cui puntuale osservanza è, per contro, essenziale per una crescita serena ed equilibrata del minore e perfino la trascuratezza delle regole dell'igiene e dell'ordine, anche con riferimento alla stanza nella quale l'odierna ricorrente ha vissuto con il figlio. 1.4.2.3. Sono da reputarsi, infine, decisive le conclusioni finali della consulenza, trascritte dalla medesima istante nel ricorso per cassazione pp. 11 e ss. , laddove il perito oltre alla menzionata aggressività della donna non manca di evidenziare che non si può ritenere che la madre possa al presente o nell'immediato futuro occuparsi in autonomia del minore , e che deve essere mantenuto l'affidamento del minore ai comune di Milano p. 13 , attesa la mancanza come evidenziato dalla Corte di Appello di comunità terapeutiche idonee a prendersi adeguatamente cura sia della madre che del bambino. 1.4.3. Il quadro complessivo che se ne ricava è, dunque, senza dubbio tale da indurre la Corte a concludere per la sussistenza, nel caso concreto, di una palese inidoneità della C. a svolgere il suo essenziale compito di cura, assistenza ed educazione del minore, le cui esigenze come si evince dal suesposto quadro giurisprudenziale nazionale ed internazionale di riferimento non possono in alcun modo essere recessive di fronte della contrapposta esigenza della madre, reputata inidonea a svolgere il suo ruolo, di tenere il figlio con sé. 1.4.4, Quanto alla mancata adozione di prescrizioni idonee, ai sensi dell'art. 12 della l. n. 184 del 1983, va osservato che, nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, il decreto motivato con il quale il presidente del Tribunale per i minorenni o il giudice da lui delegato, a norma dell'art. 12, co. 3, della l. 184 del 1983, ove ne ravvisi l'opportunità , impartisce ai genitori o ai parenti prescrizioni idonee a garantire l'assistenza morale, il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del minore, costituisce un provvedimento che rientra nella discrezionalità del giudice minorile. La mancata adozione di detto provvedimento non è, pertanto, prospettabile come vizio di legittimità del procedimento in questione, deducibile in Cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c. Cass. 3044/1994 . 1.5. Per le ragioni suesposte le censure vanno, pertanto disattese. 2. Con il terzo motivo di ricorso, C.M. denuncia l'omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c 2.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello non abbia disposto un supplemento di c.t.u., per un approfondimento ed aggiornamento della condizione neuropsichiatrica del minore. 2.2. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato. 2.2.1. Deve, invero, osservarsi al riguardo che l'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne discende che l'omesso esame di elementi di prova o di istanze istruttorie non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie in atti Cass. S.U. 8053 e 8054/2014 Cass. 25216/2014 . Sotto tale profilo, dunque, la censura si palesa inammissibile. 2.2.2. Ad ogni buon conto, va osservato, in proposito, che la consulenza tecnica d'ufficio è un mezzo istruttorio non una vera e propria prova sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario, o l'integrazione dell'incarico al medesimo a suo tempo conferito E la motivazione dell'eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio, unitariamente considerato, effettuata dal suddetto giudice Cass. 15219/2007 9461/2010 . 2.2.3. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha, con ampia ed esauriente motivazione, dimostrato di avere implicitamente ritenuto ultronei ulteriori accertamenti peritali sulla madre e sul bambino, alla stregua delle risultanze della disposta c.t.u. e degli altri elementi di prova acquisiti agli atti. E siffatta valutazione discrezionale, per le ragioni suesposte, non è censurabile in questa sede. 2.3. li mezzo in esame va, pertanto, rigettato. 3. Con il quarto motivo di ricorso, C.M. denuncia la violazione degli artt. 111 Cost., 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali CEDU del 4.11.1950, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c 3.1. La C. lamenta che la decisione di appello si sia fondata su due relazioni della Comunità Oasi di Capralba, datate 28.5.2014 e 10.6.2014, messe a conoscenza della difesa della ricorrente solo all'udienza di discussione della causa. Ne deriverebbe una violazione del diritto della ricorrente al contraddittorio ed un vulnus al diritto della medesima ad un equo processo ed all'effettività della tutela giurisdizionale, sanciti dalle disposizioni nazionali ed internazionali succitate. 3.2. Il motivo è infondato. 3.2.1. Deve osservarsi, in proposito, che, nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, le relazioni degli assistenti sociali e degli psicologi, ancorché non asseverate da giuramento, costituiscono, nel quadro dei rapporti informativi, degli accertamenti e delle indagini da compiere in via sommaria e secondo il rito camerale, indizi sui quali il giudice ben può fondare il suo convincimento e la cui valutazione non comporta violazione dei diritti di difesa dei genitori, atteso che questi ultimi, nel successivo giudizio di opposizione alla dichiarazione di adottabilità, hanno il diritto di prendere cognizione di dette relazioni, nonché di controdedurre e di offrire prova contraria Cass. 6494/1990 232/2013 21893/2013 . 3.2.2. Sotto tale profilo, non vi è dubbio che il principio del contradditorio trovi piena applicazione nel processo per la dichiarazione dello stato di adottabilità, e tuttavia esso si esplica con modalità diverse. Ed invero, con riferimento alle relazioni degli istituti e operatori specializzati di aggiornamento all'autorità giudiziaria delle condizioni psico-fisiche del minore, allegate agli atti del processo, il contraddittorio consiste nella facoltà di tutte le parti di esaminarle, estrarne copia e svolgere deduzioni o richieste di approfondimenti, ovvero accertamenti ulteriori, riguardando il disposto di cui all'art. 10, co. 2, della l. n. 184 del 1983 che prevede il diritto delle parti di partecipare a tutti gli atti istruttori solo gli accertamenti disposti dal giudice nel corso del processo Cass. 2780/2013 . 3.2.3. Ne discende che, avendo la C. e le altre parti del processo avuto tutte egualmente modo di prendere visione di dette relazioni all'udienza di discussione, con possibilità per le stesse di estrarne copia, richiedere un termine per ulteriore esame, o proporre in via immediata ulteriori istanze di approfondimento e di indagine, la dedotta violazione del principio del contraddittorio non può considerarsi sussistente. Tanto più che la ricorrente non ha neppure dedotta che eventuali domande in tal senso siano state immotivatamente disattese dal giudice di merito. Né può considerarsi fondato l'assunto della ricorrente, secondo la quale la Corte di Appello avrebbe basato il suo convincimento solo sulle relazioni degli operatori della Comunità , avendo come dianzi detto il giudice di secondo grado fondato, per contro, la propria decisione soprattutto sulle risultanze della disposta c.t.u 3.3. La censura va, pertanto, disattesa. 4. Il ricorso proposto da C.M. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato. 5. In considerazione della natura della controversia, le spese del giudizio di cassazione vanno compensate tra le parti. Non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per essere il processo esente dal versamento del contributo unificato. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso dichiara compensate le spese del presente giudizio. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, debba essere omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52.