Legge n. 40/2004 ancora nel mirino della Consulta: non è reato la selezione degli embrioni

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 229/2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lett. b , e 4, legge n. 40/2004 nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lett. b , L. n. 194/1978 e accertate da strutture pubbliche.

Lo smantellamento della legge 40. A soli sei mesi di distanza dalla pronuncia n. 96/2015 con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità della L. n. 40/2004, nella parte in cui vietava l’accesso alle tecniche di PMA per le coppie fertili affette o portatrici di patologie genetiche, la Consulta torna a pronunciarsi sulla stessa legge 40 a seguito dei dubbi di conformità alla Costituzione sollevati dal Tribunale di Napoli. La questione di legittimità. Nel corso di un processo penale, il Tribunale di Napoli sollevava una duplice questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lett. b , e 4 e dell’art. 14, commi 1 e 6, L. n. 40/2004 nella parte in cui dette norme vietano, sanzionando penalmente, rispettivamente le condotte di selezione eugenetica e di soppressione degli embrioni soprannumerari, senza alcuna eccezione, compresa dunque l’ipotesi in cui una tale condotta sia finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affette da malattie genetiche e la soppressione concerna gli embrioni soprannumerari affetti da siffatte patologie. L’art. 13. Secondo il giudice a quo tale articolo, nel vietare e penalmente sanzionare in modo indiscriminato ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni senza escludere l’ipotesi in cui la condotta dei sanitari sia finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche, contrasterebbe con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza con l’art. 32 Cost., per contraddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’embrione di cui all’art. 1, L. n. 40 con l’art. 117, comma 1, Cost. in relazione alla violazione dell’art. 8 Cedu laddove tutela il desiderio delle coppie di generare un figlio non affetto da malattia genetica. L’art. 14. Secondo il giudice a quo tale articolo, nel vietare e sanzionare penalmente la condotta di soppressione degli embrioni soprannumerari risultati affetti da malattie genetiche a seguito di selezione finalizzata ad evitarne l’impianto nell’utero della donna pregiudicherebbe il diritto di autodeterminazione tutelato dall’art. 2 Cost violerebbe l’art. 3 Cost. in punto di ragionevolezza violerebbe l’art. 117, primo comma, per contrasto con l’art. 8 Cedu laddove l’assoggettare a sanzione penale l’operatore medico che proceda alla soppressione degli embrioni soprannumerari affetti da malattie genetiche costringerebbe le coppie che fanno ricorso alla PMA e che volessero evitare il procreare un figlio affetto da malattia genetica a subire in ogni caso l’impianto degli embrioni affetti da tale malattie nonché ad interrompere la gravidanza. Ciò che è lecito non può essere penalmente rilevante. Nel ritenere fondata la prima questione di legittimità costituzionale, la Consulta coerentemente richiama la recente pronuncia n. 96/2015 con cui è stata dichiarata la illegittimità della stessa legge 40 nella parte in cui non consente il ricorso alle tecniche di PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità. In tale sentenza si faceva riferimento al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomali o malformazioni del nascituro. La selezione non è reato. Posto quanto sopra, è costituzionalmente illegittimo vietare e sanzionare penalmente la condotta del sanitario che sceglie gli embrioni sani, non affetti da malattie genetiche, al fine esclusivo di evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità delineati dalla L. n. 194/78. Ancora in vigore il divieto di soppressione di embrioni. Non è, invece, fondata la seconda questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice napoletano. Permane, pertanto, il divieto e la rilevanza penale della condotta di soppressione di embrioni affetti da grave malattia genetica, con riferimento ai quali sussiste l’esigenza di tutelarne la dignità mediante la crioconservazione con la conseguenza che a detti embrioni, ancorché malformati, spetta un ugual trattamento rispetto a tutti quelli embrioni sani creati in numero superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto. Gli embrioni non sono mero materiale biologico”. L’embrione, affermano i giudici, quale che ne sia il grado di soggettività correlato alla genesi della vita non è certamente riducibile a mero materiale biologico. La tutela dell’embrione può essere affievolita solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale come la salute della donna che a seguito di bilanciamento risultino prevalenti. Nel caso di specie, tuttavia, il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione, non trova giustificazione in termini di bilanciamento nella tutela di un altro interesse contrapposto.

Corte Costituzionale, sentenza 21 ottobre – 11 novembre 2015, n. 229 Presidente Criscuolo – Redattore Morelli Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b , e 4, e dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , promosso dal Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento penale a carico di D.B. ed altri con ordinanza del 3 aprile 2014, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2014. Visto l’atto di costituzione di D.B. ed altri udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli udito l’avvocato Gennaro Lepre per D.B. ed altri. Ritenuto in fatto 1.− Nel corso di un processo penale, il Tribunale ordinario di Napoli – premessane la rilevanza e la non manifesta infondatezza in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, nonché per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU , firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, duplice questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b , e 4, e dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , nella parte in cui dette norme contemplano quali ipotesi di reato – come quelle, appunto, tra le altre contestate ai professionisti, imputati in quel giudizio – rispettivamente, la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni soprannumerari, senza alcuna eccezione , non facendo, quindi, salva l’ipotesi in cui una tale condotta sia finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche e la soppressione concerna, conseguentemente, gli embrioni soprannumerari affetti, invece, da siffatte malattie. 1.1.− In particolare, secondo il rimettente, l’art. 13, commi 3, lettera b , e 4, della su citata legge n. 40 del 2004 – con il sanzionare penalmente anche la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche – violerebbe l’art. 3, sotto il profilo della ragionevolezza, e l’art. 32 Cost., per contraddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’embrione di cui all’art. 1 della medesima legge n. 40. E contrasterebbe, altresì, con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan contro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57 . 1.2.− A sua volta sempre ad avviso del Tribunale a quo, il successivo art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40, pregiudicherebbe il diritto di autodeterminazione garantito dall’art. 2 Cost. violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e si porrebbe, pure esso, in contrasto con il richiamato art. 8 della CEDU, con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. Ciò sul rilievo che l’assoggettare a sanzione penale l’operatore medico che proceda alla soppressione degli embrioni soprannumerari affetti da malattie genetiche, costringerebbe le coppie che fanno ricorso alle tecniche di PMA, e che volessero evitare il procreare un figlio affetto da malattia genetica, a subire in ogni caso l’impianto degli embrioni affetti da malattie genetiche – con evidente pregiudizio della salute dalla donna se non sotto il profilo fisico, quantomeno da un punto di vista psicologico – nonché a seguire necessariamente la strada dell’interruzione volontaria della gravidanza . 2.− Nell’introdotto giudizio incidentale di legittimità costituzionale si sono costituiti, con memoria depositata il 29 settembre 2014, cinque degli imputati nel procedimento penale a quo, per chiedere l’accoglimento delle questioni nei termini come prospettati dal giudice rimettente. 3.− Non si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto 1.− Il Tribunale ordinario di Napoli sospetta che l’art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita – con il vietare, sub comma 3, lettera b , e penalmente sanzionare, sub comma 4, in modo indiscriminato, ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni , senza escludere, dalla fattispecie di reato così configurata, l’ipotesi in cui la condotta dei sanitari sia finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna degli embrioni affetti da malattie genetiche − contrasti con gli artt. 3 e 32 della Costituzione, per violazione del principio di ragionevolezza, corollario del principio di uguaglianza e per vulnus al diritto alla salute, tutelato dalla stessa legge 40” anche nei confronti della coppia generatrice e violi altresì l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU , firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan contro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57 . Lo stesso Tribunale sottopone al vaglio di costituzionalità anche il successivo art. 14, commi 1 e 6, della predetta legge n. 40 del 2004, nella parte in cui parallelamente vieta e penalmente sanziona la condotta di soppressione degli embrioni, anche ove trattasi di embrioni soprannumerari risultati affetti da malattie genetiche a seguito di selezione finalizzata ad evitarne appunto l’impianto nell’utero della donna. Il rimettente dubita, con riguardo a detto disposto normativo, che ne risultino violati l’art. 2 Cost., sotto il profilo della tutela del diritto all’autodeterminazione della coppia l’art. 3 Cost., per irragionevolezza e contraddittorietà rispetto al disposto dell’art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194 Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza , che consente agli operatori sanitari di praticare l’aborto terapeutico – anche oltre il termine di 90 giorni dall’inizio della gravidanza – in presenza di processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro” oltre che l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al medesimo parametro europeo come sopra evocato. 2.− La prima questione è fondata per l’assorbente ragione e nei limiti che si diranno. 2.1.− Con la recente sentenza n. 96 del 2015, questa Corte ha, infatti, già dichiarato l’illegittimità costituzionale dei precedenti artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della stessa legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b , della legge 22 maggio 1978, n. 194 [], accertate da apposite strutture pubbliche . E Ciò al fine esclusivo , come chiarito in motivazione, della previa individuazione , in funzione del successivo impianto nell’utero della donna, di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni se non la morte precoce del nascituro , alla stregua del suddetto criterio normativo di gravità”. 2.2.− Quanto è divenuto così lecito, per effetto della suddetta pronunzia additiva, non può dunque – per il principio di non contraddizione − essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante. Ed è in questi esatti termini e limiti che l’art. 13, commi 3, lettera b , e 4, della legge n. 40 del 2004 va incontro a declaratoria di illegittimità costituzionale, nella parte, appunto, in cui vieta, sanzionandola penalmente, la condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b , della legge n. 194 del 1978, accertate da apposite strutture pubbliche. 3.− La seconda connessa questione – di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40 del 2004 – è, invece, non fondata. Come reiteratamente, infatti, ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, la discrezionalità legislativa circa l’individuazione delle condotte penalmente punibili può essere censurata in sede di giudizio di costituzionalità soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto od arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza sentenze n. 81 del 2014, n. 273 del 2010, n. 364 del 2004, ordinanze n. 249 del 2007, n. 110 del 2003, n. 144 del 2001, ex plurimis . Nel caso in esame, deve escludersi che risulti, per tali profili, censurabile la scelta del legislatore del 2004 di vietare e sanzionare penalmente la condotta di soppressione di embrioni , ove pur riferita – ciò che propriamente il rimettente denuncia – agli embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica. Anche con riguardo a detti embrioni, la cui malformazione non ne giustifica, sol per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in numero [] superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto , ex comma 2 del medesimo art. 14, nel testo risultante dalla sentenza n. 151 del 2009, si prospetta, infatti, l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico. Con la citata sentenza n. 151 del 2009, questa Corte ha già, del resto, riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost. e l’ha bensì ritenuta suscettibile di affievolimento al pari della tutela del concepito sentenza n. 27 del 1975 , ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale come il diritto alla salute della donna che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti. Nella fattispecie in esame, il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione ancorché malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res, non trova però giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista. E ciò conferma la non manifesta irragionevolezza della normativa incriminatrice denunciata. La quale neppure contrasta con l’asserito diritto di autodeterminazione o, per interposizione, con il richiamato parametro europeo, per l’assorbente ragione che il divieto di soppressione dell’embrione malformato non ne comporta, per quanto detto, l’impianto coattivo nell’utero della gestante, come il rimettente presuppone e, in relazione ai suddetti parametri, appunto censura. Per Questi Motivi la Corte Costituzionale 1 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b , e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b , della legge 22 maggio 1978, n. 194 Norme per la tutela della maternità e sulla interruzione della gravidanza e accertate da apposite strutture pubbliche 2 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , sollevata − in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione ed all’art. 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU , firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 − dal Tribunale ordinario di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe.